Quello del 5 marzo 2025 è stato un brutto risveglio per tutti gli italiani, appassionati di calcio e non. La morte di Bruno Pizzul ha sconvolto un paese che è stato segnato in maniera indelebile dalle sue parole e dai suoi racconti, conosciuti anche da chi non ha avuto la fortuna di viverli direttamente. Una perdita, la sua, che ha unito profondamente un ambiente che si nutre costantemente di astio e polemiche.
Probabilmente perché al volto e alla voce di Bruno Pizzul molti hanno legato i propri momenti di convivialità più genuina e spontanea, i ricordi delle partite della Nazionale vissute in compagnia di amici o in lunghe tavolate familiari in cui, tra l’accensione di uno zampirone e una fetta di pizza, si aspettavano le giocate e i gol degli azzurri commentate con quell’aplomb che solo lui possedeva. Sì, perché Pizzul era un uomo elegante e distinto, quasi un alieno se rapportato ai giorni nostri, in grado di saper scegliere alla perfezione il termine giusto per ogni occasione senza mai eccedere, anche nell’esprimere disappunto. In questo senso vale la pena citare il suo commento alla finale di Coppa dei Campioni 1985 tra Juventus e Liverpool, nota per le 39 vittime degli scontri pre-partita, in cui rimarca lo sdegno per la decisione dell’UEFA di far giocare la gara nonostante quanto fosse successo sugli spalti. L’ha definita più volte la partita che non avrebbe mai voluto commentare.
Oltre al dato tecnico è stata proprio la sua eleganza a renderlo un uomo in grado di svolgere a pieno il suo lavoro, il giornalista, che non è solo chi enuncia fatti di cronaca ma chi, in primis, divulga cultura e conoscenza consapevole della responsabilità che porta. Sono davvero in pochissimi quelli che possono vantarsi di averlo fatto come il loro collega udinese.
Dal suo esordio in cabina di commento sono state tantissime le partite accompagnate dal suo tono pacato e famigliare, altrettanti i programmi televisivi condotti con garbo e professionalità. È stato un uomo capace di scalare la montagna del giornalismo sportivo senza bisogno di spinte altrui ma solo grazie alle sue capacità e al suo continuo studiare e migliorarsi ogni giorno, venendo assunto in RAI dopo aver vinto un concorso pubblico aperto a tutti i laureati del Friuli Venezia Giulia. Chi ha avuto l’onore di conoscerlo, infatti, non ha mai perso l’occasione per esaltarne le qualità umane e lavorative, parlandone come se fosse una vera e propria enciclopedia calcistica. Del resto, per diventare un grande professore bisogna prima esser stato un grande studente.
Proprio grazie al servizio pubblico è diventato la voce del Bel Paese per tante estati, un simbolo al pari di chi scendeva in campo vestito d’azzurro, un cantore da imitare dopo aver segnato un gol fingendo di impersonare Schillaci, Baresi o Baggio.
Baggio, anzi, «Rrrrroberto Baggio» come diceva lui, è il nome che più di tutti ha segnato la carriera di Bruno Pizzul, configurando un binomio che ha segnato una generazione e un fenomeno culturale difficilmente eguagliabile. La telecronaca del gol del Divin Codino ai Mondiali di Italia ’90 contro la Cecoslovacchia è probabilmente una delle più celebri e riconoscibili da quando le partite vengono trasmesse su uno schermo televisivo, con quel «Baggio che converge» che è entrato prepotentemente nel vocabolario popolare italiano. Se il fantasista veneto avesse segnato quel gol al giorno d’oggi quasi sicuramente il telecronista incaricato di commentarlo avrebbe iniziato a gridare a squarciagola, lanciandosi in frasi dalla finta carica epica nel tentativo di restare impresso agli spettatori grazie ai social. Pizzul non ne aveva bisogno, gli è bastato usare il termine «impresa» per circoscrivere quella serpentina vincente. Lo stesso Baggio ha voluto ricordarlo così.
Se Baggio è amato incondizionatamente anche per le sue sconfitte si potrebbe dire lo stesso anche di Pizzul, telecronista ufficiale della Nazionale dal 1986 al 2002, subito dopo e appena prima la vittoria delle ultime due nostre Coppe del Mondo. Ha narrato il deludente mondiale da campioni in carica con Bearzot in Messico, le Notti Magiche, i rigori di Pasadena, la traversa di Di Biagio e lo scandalo di Moreno, non potendo festeggiare la vittoria di un trofeo iridato che avrebbe sicuramente meritato.
Chi lo ha vissuto ne avrà sicuramente un ricordo più nitido, ma anche chi è arrivato dopo non ha potuto non confrontarsi con la sua grandezza. Chiunque abbia voluto recuperare per motivi anagrafici le gesta dei vari Platini, Maradona, Vialli e Ronaldo lo ha fatto sentendo le parole di Bruno, associando quelle figure mitologiche ai racconti quasi omerici di un vero e proprio campione al pari di chi correva sul rettangolo verde. Le loro gesta non avrebbero avuto la stessa portata senza il suo racconto.
Bruno Pizzul è una VHS, una foto in pellicola un po’ ingiallita col fascino delle cose che non ci sono più. È un bicchiere di quel vino bianco che tanto amava, una sigaretta d’accompagnamento come quelle di cui non poteva fare a meno. Bruno Pizzul è la nostalgia di chi ha vissuto quegli anni e anche di chi non lo ha fatto, cercandoli ogni giorno nella propria quotidianità.
Con la sua scomparsa, il Paese ha perso un po’ della sua voce. È stato bello però, tutto molto bello.