Quando si è abituati troppo bene, le minime incertezze alimentano e acuiscono i timori di crisi e ridimensionamento; succede per qualsiasi ambito, e il calcio non fa eccezione. L’Inter della stagione 2023/2024 ha mostrato qualità e costanza ai limiti della perfezione. Il paragone con le prime partite della nuova stagione forse ingigantisce le problematiche evidenziate dai nerazzurri, ma che qualche meccanismo si sia inceppato non è possibile negarlo.
Esistono alcune ovvie spiegazioni, fra cui le competizioni continentali estive che hanno coinvolto i calciatori più importanti della rosa, impedendo loro di mantenere un adeguato stato di forma fin dall’inizio del campionato, e il conseguente rendimento sotto le aspettative di Lautaro Martínez; la minore attenzione difensiva e così via. La prima diagnosi è dunque calo fisico e minore concentrazione. Tuttavia, si possono rinvenire altre differenze, più sottili, che spiegherebbero lacune e balbettii di una macchina che sembrava perfetta.
L’aspetto mentale
Per un’Inter che ha virtualmente vinto la scorsa Serie A agli inizi di marzo del 2024, la sconfitta ai rigori contro l’Atlético Madrid nello stesso periodo, ha metaforicamente rappresentato la fine della stagione, ha interrotto troppo presto il ciclo di pausa e ripartenza tipico dello sport. La prima parola chiave è dunque disabitudine. Questa è chiaramente solo una teoria, ma probabilmente non è tanto l’obiettivo raggiunto in sé ad aver appagato l’Inter, quanto una lunghissima serie di gare prive di significato e amichevoli estive che ha psicologicamente impedito all’Inter di oliare la meccanicità e la tecnica del suo rendimento.
Le nuove ambizioni europee
L’eliminazione in Champions League, giunta prematuramente rispetto alle ambizioni meneghine, ha inoltre portato con sé altri strascichi, rimasti latenti in una stagione ormai conclusasi in anticipo e riemersi alle griglie di partenza della nuova. Simone Inzaghi non ha mai nascosto le sue aspirazioni continentali. Dopo aver perso la finale di Istanbul, il tecnico piacentino probabilmente non ha abbandonato il sogno di riprovarci. Il calcio odierno, composto da sempre più partite, richiede una ricerca dell’equilibrio maniacale per provare a competere in tutte le competizioni. Se l’anno scorso vincere lo scudetto era praticamente un obbligo, concedendo una vacanza mentale sul piano europeo, quest’anno la gerarchia degli obiettivi nella testa di Inzaghi è più sfumata. Chiunque nel mondo Inter crede che, con un po’ di impegno in più, il girone sarebbe stato vinto a mani basse e lo scoglio Atlético superato. Si è preferito nascondere la polvere sotto il tappeto per rispetto a quanto l’Inter stava facendo in campionato. Nessuno avrebbe osato profanare la sacralità di quel momento. Ma oggi le cose sono cambiate. La domanda è dunque: qual è il prezzo che “un po’ di impegno in più” in Champions avrà sulla stagione complessiva?
Un esempio plastico di questa ipotesi è la differenza fra l’Inter che ha pareggiato 0-0 a Manchester, contro il City di Pep Guardiola, e quella che ha perso solo pochi giorni dopo il derby con il Milan per 2-1. Poche squadre al mondo sarebbero state capaci di intasare così bene gli spazi che gli inglesi hanno provato a cercare. Viceversa, l’Inter che ha affrontato il Milan è apparsa sfilacciata, distratta e ha faticato a reagire.
L’apporto delle riserve
Un’altra parola chiave è ricambio. Turnover e infortuni sono due facce della stessa medaglia, che mostrano uno stesso identico problema. Dopo aver passato due intere estati a elogiare il mercato teso a puntellare i buchi dell’Inter, capace di confermare per intero la sua struttura e mantenere a Milano tutti i protagonisti più importanti, in altre parole, a riconoscerle il merito di aver migliorato il valore delle sue riserve, il punto debole dell’Inter di oggi è paradossalmente proprio lo scarso rendimento dei rincalzi.
E bisogna tenere bene a mente questo concetto per capire come la diversa concezione dell’importanza del percorso europeo possa condizionare il rendimento in campionato dell’Inter. Se Inzaghi non riesce a concatenare in modo efficiente le scelte su chi gioca e chi riposa, è naturale vedere un’Inter molto più in difficoltà dell’anno scorso. Se non c’è Acerbi gioca de Vrij, se non ci sono Dimarco o Bastoni, gioca Carlos Augusto, e poi?
Nella mente di Simone Inzaghi, fra Benjamin Pavard e Yann Auriel Bisseck vige un’alternanza quasi alla pari. Senza voler mettere in dubbio le indiscusse qualità del centrale tedesco, la sua responsabilità nei goal subiti da Lucca contro l’Udinese e da Zapata contro il Torino è piuttosto evidente. Bisseck ancora fatica a seguire in modo armonico la linea segnata dai compagni, facendosi trovare troppo spesso fuori posizione. Anche nel goal del pareggio della Juventus, quello del 4-4, a voler essere fiscali c’è il suo zampino. Sebbene sia lui a respingere il cross che arriva da sinistra, accentrandosi, lascia a Yildiz tutto il tempo di stoppare e calciare.
Darmian non è Dumfries, e viceversa. Non è più possibile fingere che la scelta dell’uno o dell’altro sia speculare. L’apporto di Darmian è sempre stato monumentale, ma minato dai limiti strutturali di un giocatore con caratteristiche e qualità specifiche. Se Dumfries, teoricamente più funzionale a quanto richiesto da Inzaghi, viene scelto prevalentemente per la panchina, allora è forse arrivato il momento di cercare un profilo più adeguato, prima che la fascia destra diventi sul serio l’anello debole, già ampiamente meno battuta di quella sinistra.
E ancora, se manca Çalhanoğlu, con le dovute proporzioni compensa Asllani. Zielinski può permettere a Mkhtaryan o Barella di rifiatare, ma Davide Frattesi resta un grande punto interrogativo. Ha delle propensioni chiare e che sfrutta al massimo delle sue possibilità, vista la vena realizzativa, ma rappresenta egualmente un rompicapo la sua presenza nella rosa. Se l’Inter dipende dalla struttura meccanica del suo centrocampo, Frattesi non ha fisiologicamente le capacità per garantirne la riproduzione. Si è cercato di addolcire la pillola, paragonandolo a Barella, ma soprattutto quest’anno, con il sardo sempre più decisivo e coinvolto nella manovra, si evidenziano le vaste porzioni di partita in cui Frattesi scompare dal campo, fatica a trovare una sua collocazione e si limita a riempire l’aria di rigore e agire quasi da esterno di attacco. Non è corretto dire che Frattesi sia un problema per l’Inter o che ne peggiori le prestazioni, ma sicuramente costringe a proporre qualcosa di diverso. Il problema non è Frattesi in sé, ma la pretesa che entri in campo, si tolga la maschera e spunti la faccia di Mkhtaryan. Se Inzaghi ha in mente maggiori rotazioni e l’intensificazione del turnover, deve perfezionarsi nell’adeguare tatticamente la sua proposta agli interpreti scelti. Aspetto su cui l’Inter sembra ancora soffrire molto.
In ultimo l’inserimento di Mehdi Taremi è sulla carta un grande miglioramento rispetto al passato, eppure, per adesso, si è visto molto poco. Anche in questo caso, il rapporto simbiotico creatosi fra Thuram e Lautaro sembra quasi rifiutare terzi incomodi. Ma con il francese ormai su livelli da top player e Lautaro in ritardo di condizione, ma pronto a tornare letale, Taremi resterà sempre e in ogni caso la ciliegina sulla torta, o alla peggio l’ultimo dei problemi.
Non è il momento di sentenziare
Non è ancora possibile sostenere che l’Inter che abbiamo ammirato l’anno scorso non esista più, non ci sono gli elementi per gridare alla catastrofe. È un’Inter in fase di sperimentazione, che cerca di adeguarsi psicologicamente al suo nuovo valore. Se nella stagione passata “rispettava” di più le sue avversarie, quest’anno è spesso più sfrontata, per non dire distratta, lasciando spazi e occasioni in contropiede anche da situazioni di vantaggio. Emblematica l’immagine che immortala il tentativo di recupero palla nella metà campo bianconera, in occasione del 4-3 di Yildiz: Bastoni, Bisseck, de Vrj e Dimarco che corrono tutti all’indietro, dopo che la Juventus è stata abile a liberarsi dalla pressione e aprire il campo verso il giovane giocatore turco. È un’Inter che prova a giocare più alta, a raccogliersi meno nella sua trequarti in fase di non possesso, che accetta di più il campo aperto, nonostante le caratteristiche poco funzionali a tale proposito dei suoi centrali, specie se non supportati da terzini e mezzali. Le ripercussioni negative sulla fase difensiva sono inevitabili, in quanto l’Inter sta provando a mutare stile di gioco, ma al momento la fase di transizione è accompagnata da evidenti problematicità. Ciò che rende lo stile di gioco dell’Inter davvero peculiare è la totale rinuncia al dribbling, che se abbinata alle novità che Inzaghi cerca di introdurre, rischia di produrre un giro palla sterile e lento, che coinvolge principalmente i centrali, e che allo stesso tempo non ripara dal rischio di lasciarsi trovare scoperti. D’altronde l’Inter dipende troppo dal suo centrocampo, e solo quando lo potrà proporre al completo e in piena condizione sarà possibile capire il valore reale di questa squadra.
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