D'Ambrosio

La parabola nerazzurra di Danilo D’Ambrosio

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Danilo D’Ambrosio rappresenta sia tecnicamente, sia nelle scelte legate alla carriera, l’immagine di un calcio antico, che specie negli ultimi anni sembra sempre più “minacciato”. Da una parte, infatti, vi sono le evoluzioni tattiche di stampo guardiolano, che presuppongono la presenza di difensori sempre più abili con i piedi, rapidi e dal baricentro alto; dall’altra, le dorate sirene di club esotici capaci di fornire offerte apparentemente non rifiutabili.

Quando Danilo arriva all’Inter, nel gennaio del 2014, viene da due stagioni e mezzo di Serie A con il Torino, mentre i nerazzurri sono in una fase delicata e transitoria della loro storia recente – reduci dalla disastrosa, quanto sfortunata, guida di Andrea Stramaccioni. Da quel momento in poi, D’Ambrosio trascorrerà nove stagioni e mezzo a Milano, condite da 284 presenze, 21 goal e 20 assist, e impreziosite da due Supercoppe italiane, due Coppe Italia e, soprattutto, lo Scudetto 2020/2021.

La sua avventura nerazzurra termina nel 2023, complice una più ampia strategia di svecchiamento e ricostruzione della squadra da parte della società. Non sappiamo se l’Inter avesse già preso tale decisione a stagione in corso, ma è comunque corretto pensare che campioni e bandiere come lui, Handanovič e Brozović avrebbero meritato un ultimo consapevole abbraccio del loro Meazza. E Danilo bandiera dell’Inter lo è stato, con tutti i suoi limiti e nella sua dimensione, ma con un impegno, un attaccamento e una crescita riconosciuta da tutto l’ambiente nerazzurro.


Oltre a giurare amore eterno e costruire quasi tutta la sua vita nell’Inter, a rendere lo scugnizzu napoletano specchio di un’altra epoca è il suo modo di intendere il calcio. Lo spunto d’interesse più sensazionale della sua carriera, ormai prossima alla conclusione, è l’evoluzione tattica che l’ha contraddistinta. Quando arriva alla Pinetina, l’ex Torino è un terzino destro tecnicamente non validissimo, di corsa, con fisico da culturista e una propensione maggiormente difensiva. Non è di certo Maicon, e in un momento in cui le prodezze del brasiliano riecheggiano ancora rumorosamente fra gli spalti del Meazza, D’Ambrosio sembra l’ennesimo esempio di come la tifoseria si debba rassegnare all’involuzione progressiva che la rosa nerazzurra viveva ormai da un paio d’anni, in particolare per quel che concerne i terzini. Non era raro sentir dire fra i tifosi che Danilo nell’Inter ci stava, e anche bene, ma come riserva.

Ed effettivamente anche gli allenatori sembrano pensarla così: alla composizione delle rose durante la preparazione, un posto da titolare per il campano non c’è mai. Dopo poche giornate però, quando il terzino di turno arrivato in pompa magna per prendersi la titolarità della fascia destra, si dimostra alla meglio indecente, Danilo si riprende la maglia da titolare. Dal 3-5-2 a tutta fascia, al 4-2-3-1 di Spalletti, D’Ambrosio è sempre divenuto un elemento imprescindibile nell’economia tattica dell’Inter. Quando poi nel 2017 Cancelo accetta l’offerta nerazzurra e s’infortuna a poche giornate dall’inizio del campionato, si inizia a parlare scherzosamente di “maledizione di D’Ambrosio”. Forse anche questo aspetto ha indelebilmente cucito il suo nome nei cuori dei tifosi nerazzurri, quella straordinaria capacità di onorare la maglia, anche dopo essere stato dimenticato per mesi, sempre secondo nelle griglie di partenza.

Ma se D’Ambrosio è sempre stato imprescindibile, lo si deve all’evoluzione tattica citata precedentemente. Nel contesto della difesa a quattro di Mancini o a tre di Mazzarri, quando viene impiegato centrale Danilo risulta a tratti disastroso. In una partita giocata contro la Fiorentina, emblematicamente, appare come un pesce fuor d’acqua e contribuisce ampiamente a una deprimente imbarcata. Non era dunque affatto prevedibile che un buon terzino, capace di accompagnare bene la manovra, fornire uno scarico sicuro sulla trequarti e pennellare cross a giro sulla testa di Icardi e compagni, ma spaesato e fallibile al centro della difesa, si trasformasse in un tosto e pulito centrale vecchia maniera. Conte, una volta acquisite le prestazioni di Hakimi e riportata l’Inter al 3-5-2, regala a D’Ambrosio una seconda vita, spostandolo a braccetto laterale destro, al posto addirittura di un pilastro inamovibile come Milan Škriniar. Nessuno paragonerebbe mai i due calciatori, ma in quel momento era quello di cui l’Inter aveva bisogno, tanto che dopo qualche telenovela estiva legata al Tottenham, lo slovacco è tornato dove gli competeva. Ad ogni modo Danilo ha contribuito a trascinare l’Inter, in un cupo scenario estivo post-pandemico, in finale di Europa League, segnando anche una delle reti che hanno demolito lo Shaktar Donetsk in semifinale.

Nonostante giochi da braccetto e conservi propensione al goal e accompagnamento alla manovra, lo stile di gioco del difensore napoletano è quello di un libero. D’Ambrosio è duro, furbo, ben posizionato e addetto al compito di ultima spiaggia umana. Laddove la classe di Škriniar, de Vrij o Bastoni non arriva, ecco spuntare un ginocchio, una tempia o una spalla pronta a intercettare una diagonale o un tiro diretto in porta. Non si contano i salvataggi sulla linea, o quasi, che D’Ambrosio ha garantito all’Inter. Danilo non è il migliore nel suo ruolo, ma a suo modo è unico. Le sue giocate non si imparano nelle scuole calcio, non fanno parte dello schedario di mosse e contromosse atte ad evitare un gol: sono l’elogio dell’intervento alla disperata, del sacrificio e del crederci sempre. E tanto serve, ancor prima di classe, dribbling e palleggi, per toccare le corde più emotive e nevrotiche dell’appassionato di calcio.

L’ultima parte della sua avventura in nerazzurro è fortemente condizionata dagli infortuni, che ne limitano all’osso la partecipazione alla vittoria dello Scudetto e la sua centralità nelle scelte di Inzaghi, che non ne ha mai comunque negato l’importanza, specie quando non disponibile. D’Ambrosio può comunque vantare una dignitosissima e proficua esperienza con l’Inter, di cui ha avuto più volte l’onore di essere il capitano, una prospettiva da brividi, probabilmente per molti inimmaginabile.



Fra le sliding doors della sua carriera con l’Inter si possono citare i due goal che hanno deciso le due bruttissime partite contro il Dnipro in Europa League, agli albori della sua esperienza nerazzurra; la palombella di tempia che ha permesso di vincere all’ultimo minuto un tiratissimo match contro il Genoa nel 2017, festeggiato con il volto verso il cielo e le palpebre chiuse, in segno di liberazione e ringraziamento; o il bellissimo tiro a giro che ha condannato il Napoli alla sconfitta nel 2020. Tuttavia, nel bene o nel male, i momenti che meglio rappresentano ciò che D’Ambrosio è stato per la maglia nerazzurra sono altri.

Il 28 febbraio 2016, l’Inter affronta a Torino la spietata Juventus di Massimiliano Allegri. Nonostante le premesse iniziali, i nerazzurri avevano perso molto terreno fra gennaio e febbraio, e con il sogno Scudetto ormai prossimo a svanire, la partita contro i bianconeri è il solito crocevia emotivo tipico di quelle stagioni. Il divario è evidente, ancora una volta, ma l’Inter tiene botta, sembra potersela giocare alla pari, fin quando D’Ambrosio imprudentemente respinge un cross di Dybala dritto sul piede di Bonucci, che al volo insacca alle spalle di Handanovič. È con ogni probabilità questo il punto più basso nella carriera di Danilo, in un anno in cui limiti tecnici ed errori sono ancora troppo evidenti per lasciar presagire un futuro da vice-capitano nerazzurro.

Il 17 marzo 2019 Inter e Milan si giocano un posto in Champions League e l’ambita palma della “meno peggio”. L’Inter mette in scena una prestazione che, come al solito nei derby, risulta inspiegabile se rapportata allo scadente livello generale di quella parte di stagione. Ormai sul 2-3 al 96′, però, rischia di rovinare tutto, lasciando Cutrone libero di calciare a porta vuota, o quasi, perché D’Ambrosio si immola in scivolata frontale, colpendo il pallone fra le cosce e le ginocchia, deviandolo in calcio d’angolo: un’immagine specchio di un’intera carriera. A maggio, nella partita contro l’Empoli, decisiva per mantenere il vantaggio sui cugini utile per accedere alla massima competizione europea, Danilo si ripeterà, ad Handanovič superato, deviando rocambolescamente la palla sulla traversa. In una partita in cui l’Empoli tenta in tutti i modi di salvarsi, sbattendo sui guanti dello sloveno, è l’immagine di D’Ambrosio, che arrabbiato con i compagni, salta in area roteando i pugni come un bambino adirato, assieme al bacio che Škriniar stampa in testa ad Handanovič, a restare immortale. Menzione puramente estetica merita il salvataggio sulla linea di piatto in controtempo e in caduta che ha messo in mostra nel 2021 contro la Sampdoria, a conferma di un’attitudine più che di una coincidenza.

Infine, Danilo nello Scudetto ci è entrato eccome. Nelle intenzioni titolare, in una fallimentare difesa sperimentale che vedeva la presenza di Kolarov, Bastoni e D’Ambrosio, prima che Conte rinsavisse riconsegnando la titolarità a Škriniar e de Vrij, Danilo regala all’Inter tre fondamentali punti alla prima di campionato, che di fatto confermano come, nonostante le velleità del tecnico salentino, l’Inter pazza lo fosse ancora. A pochi secondi dallo scadere del recupero, il terzino napoletano insacca il gol del 4-3 che permette di battere la Fiorentina, ripetendosi poi a Cagliari, in un’altra partita all’apparenza maledetta, vinta grazie a un enorme sforzo di nervi, ed anche al solito gol di testa di D’Ambrosio.

D’Ambrosio è stato per l’Inter una parabola crescente, e avrebbe meritato di chiudere la carriera con il nerazzurro cucito addosso. Data la sua dedizione e quello che ha dimostrato anche nella sua ultima annata milanese ogni volta che ha solcato il prato verde, una parte del tifo interista, e forse anche una parte di lui, è felice di poter optare per una nuova sfida con più spazio e centralità. Quanto fatto con l’Inter però resta, e tutto San Siro sarà pronto ad applaudirlo e urlare per un’ultima volta il suo nome quando tornerà nella sua vecchia e gloriosa casa con la maglia del Monza.

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