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Cosa succede alla difesa dell’Inter?

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È sufficiente guardare le statistiche per rendersi conto che qualcosa nei meccanismi di difesa dell’Inter si è rotto. I nerazzurri di Milano hanno subito 24 gol in 18 partite, uno sproposito che rende i 38 segnati insufficienti a colmare un dato passivo così pesante, nonostante l’Inter sia al momento il secondo miglior attacco del campionato dietro al Napoli capolista.

Nella scorsa stagione i nerazzurri hanno subito solo 32 gol, e a questo punto della stagione ne avevano concessi appena 15, mantenendo, proprio in questo periodo, la porta inviolata addirittura per sei partite di fila. Un anno prima, l’Inter di Conte campione d’Italia, era risultata anche la miglior difesa del campionato, con 35 gol subiti.

In altre parole, le capacità difensive sono state negli ultimi anni fondamentali per i successi nerazzurri, ed è anche per questo che la fragilità del reparto arretrato mostrata quest’anno salta all’occhio in modo preoccupante.


È sufficiente un cambio in porta?

È vero che antico adagio recita «tutte le strade portano a Roma», ma che il portiere rimanga impietrito o che regali ai tifosi un volo plastico, un tiro imprendibile resta un tiro imprendibile. La scelta di dare finalmente ascolto all’ambiente e ai critici, promuovendo André Onana titolare, a discapito dello storico capitano Samir Handanovič, non ha infatti cambiato la situazione.

Il portiere camerunense ha sicuramente conquistato le simpatie dell’ambiente, dando un nuovo slancio emotivo alle ambizioni nerazzurre e garantendo una soluzione in più in fase di impostazione, ma dal punto di vista puramente difensivo, il suo inserimento non si è rivelato, per il momento, sufficiente a garantire un maggior numero di clean sheet.

Il motivo è presto detto, l’Inter continua a subire poco il gioco dell’avversario e a concedere poche occasioni potenziali, tanto che di Onana possiamo ricordare al massimo due o tre interventi decisivi da quando è titolare, ma quando l’avversario l’occasione la crea, la sfrutta più spesso di quanto accadesse in passato. Ciò non perché improvvisamente gli avversari dei nerazzurri siano divenuti contemporaneamente più cinici e precisi, ma a causa di precise lacune tattiche e di concentrazione della difesa dell’Inter, che nulla hanno a che fare con le capacità dell’estremo difensore di turno.

Lazio-Inter e Milan-Inter: un problema mentale?

Due partite esemplificative e speculari arrivano a inizio stagione, di fatto indirizzandola in senso negativo e aprendo la triste scia di sconfitte negli scontri diretti. Della partita contro i biancocelesti si può denotare il primo dei numerosi errori di valutazione di Simone Inzaghi nell’arco della stagione. La scelta di impiegare Roberto Gagliardini su Sergej Milinković-Savić come precisa mossa conservativa e riferita al sistema tattico e al potenziale tecnico dell’avversario, non ha che snaturato la squadra, con l’ex Atalanta autore della solita partita inadeguata, paradossalmente responsabile sul primo gol della Lazio, siglato da Felipe Anderson. A molti è risultato inammissibile che il tecnico piacentino fosse arrivato a modificare il suo undici in funzione dell’avversario, in teoria meno forte. Gli ingressi di Pedro e Luis Alberto hanno poi nel corso della partita mandato completamente in tilt i nerazzurri, incapaci di riadattare il proprio piano gara alle esigenze dettate dalle circostanze, impotenti di fronte al conseguimento del 3-1 laziale.

Contro il Milan si è vista un’altra costante di questa stagione, ad esempio visibile nella gara persa in casa contro la Roma: l’arrendevolezza. Dopo aver dominato la prima parte del Derby trovando il vantaggio, l’Inter prosegue la sua partita, facendo rivedere quella superiorità tecnica e quelle capacità di imbrigliamento tattico che fino alla doppietta di Giroud sembravano separare le due squadre di Milano l’anno scorso. È bastato, però, un semplice passaggio orizzontale sbagliato di Çalhanoğlu a capovolgere completamente l’inerzia della partita. Il Milan è divenuto dominante e la difesa dell’Inter non è più stata in grado di respingerne gli attacchi. In particolare Leão ha sverniciato Škriniar con una semplicità innaturale per gli standard dello slovacco. Era legittimo aspettarsi dopo le cocenti polemiche che hanno succeduto la vittoria dello scudetto del Milan una reazione d’orgoglio da parte dei nerazzurri, ma l’aggettivo che meglio caratterizza il 3-2 finale, almeno per larga parte del match è impotenza.


Udinese-Inter: si tratta di un problema generale?

Per rispondere a questa domanda bisogna guardare al quadro completo della stagione nerazzurra. Se è evidente che esista una problematicità che intacca la fase difensiva, è anche vero che l’Inter si è spesso dimostrata una grande squadra, come quando è riuscita ad andare oltre le sue stesse difficoltà, segnando quattro gol alla Fiorentina, pur di garantirsene uno in più dell’avversario, o il 3-3 contro il Barcellona. Tuttavia, altre volte, l’Inter ha regalato uno spettacolo pietoso, come nella sconfitta contro la Juventus, che delegittima l’idea che il problema riguardi solo un reparto.

Nella partita contro l’Udinese Inzaghi compie un disastro, sostituendo Bastoni e Mkhitaryan ammoniti alla mezz’ora. Sebbene siano noti i timori di Inzaghi nei confronti delle espulsioni, il cambio ha privato i nerazzurri dell’unico giocatore fino a quel momento ispirato, e di un Bastoni che dopo tante esclusioni cercava di riprendere un po’ di fiducia. Ma il vero problema risiede nel fatto che Inzaghi, per porre rimedio al rischio di un’espulsione, ha completamente trascurato le conseguenze tattiche dei suoi cambi. Un’Inter che sembrava, bene o male, poter competere contro la lanciatissima Udinese di Sottil, si ritrova trasformata, con Dimarco e Gagliardini in campo, ben differenti per caratteristiche da chi li ha preceduti. Da quel momento l’Inter si lascia sfilare la partita dalle mani, subendo la totale incapacità di contrastare i friulani sulle palle inattive.


Le palle inattive, appunto

Uno dei fondamentali in cui i nerazzurri sembrano essere particolarmente peggiorati sono le palle inattive. Se prima la difesa giganteggiava contro qualsiasi avversario, ora sembra vulnerabile e statica. Ogni cross al centro, lancio dalla trequarti, punizione laterale o calcio d’angolo manda completamente in tilt la difesa dell’Inter. È ovvio che qualche meccanismo non funzioni, nel raddoppio e nel ripiegamento, ma anche nell’occupazione degli spazi, che sembra più “morbida”.


Cos’è cambiato tatticamente?

È difficile dire quale sia il problema principale e quali le sue emanazioni. L’Inter propone la difesa a tre sin dall’arrivo di Antonio Conte e non sempre si è rivelata solida, ma il tecnico pugliese ha costantemente posto rimedio in fretta ai vari problemi che gli si presentavano. Che fosse una sopravalutazione delle possibilità di Kolarov di giocare ancora ad alti livelli o uno scarso rendimento di Škriniar o di Diego Godín, ora inserendo D’Ambrosio braccetto laterale, ora rinunciando agli esperimenti e riproponendo l’asse Škriniar-De Vrij-Bastoni, era sempre chiaro quale fosse il problema ed evidente quale mossa fosse la soluzione.

In questo caso l’impressione è che lo stesso Inzaghi brancoli nel buio. La scelta discutibile di relegare Bastoni in panchina, con Acerbi braccetto laterale sinistro poteva essere un indizio, ma il ritorno di Alessandro Bastoni in pianta stabile non spiega il perdurare dei problemi. Forse ancora non si è riusciti a trovare un’alternativa tattica all’assenza di Perišić, con Dimarco sì in gran forma, ma non nuovo a distrazioni difensive, anche gravi. Per quanto Stefan de Vrij sia sicuramente più elegante e nel complesso banalmente più forte di Francesco Acerbi, sarebbe increscioso ricercare in questo cambiamento, cioè la titolarità del secondo, i germi del problema, date le sue ottime prestazioni, anche oltre le aspettative, seppure basse, della tifoseria. Infine Denzel Dumfries garantisce prestazioni altalenanti, ma ad onor del vero sui livelli dell’anno scorso, o di poco sotto.

Sembra quasi che ogni toppa che Inzaghi cerchi di inserire, allarghi il buco o mantenga costanti le falle. Ci sono due elementi chiari però da considerare. In primo luogo la prima Inter di Inzaghi si differenziava da quella di Conte per un baricentro più alto dei terzini e per una posizione molto più alta di Barella. Questo però, grazie al ritmo imposto dall’Inter e alle capacità nell’uno contro uno di Bastoni e soprattutto di Škriniar non è mai sembrato un problema ma una precisa scelta tattica, se vogliamo in senso più europeo e moderno, per quanto Inzaghi si possa definire tale. L’Inter di Conte al contrario basava sull’asse Škriniar-Barella le sorti della fascia destra. il centrocampista sardo veniva spesso a raddoppio nella sua area, mentre lo slovacco garantiva uno scarico in sovrapposizione, in una simbiosi mai vista nel dopo Conte. Oggi la capacità di Inzaghi di trovare un’alternativa alle dinamiche precedenti al suo arrivo sembra svanita.

In secondo luogo, è un’Inter che sembra difendere bene solo quando sotto pressione, ma soprattutto quando concentrata, come nell’1-0 casalingo contro il Barcellona. Sembra che i giocatori necessitino di sentire il compagno vicino, di avere la certezza del raddoppio e della posizione di campo da presidiare. Ma in gare come quella di Monza si è visto chiaramente come quando è l’Inter, specialmente in trasferta, a dover tenere il pallino del gioco, i compiti individuali divengano più sfumati e nessuno si sia sentito in dovere di chiudere l’inserimento di Ciurria alle spalle del braccetto laterale sinistro.

Naturalmente anche fattori tecnici possono incidere su questa situazione. Škriniar fino all’anno scorso riusciva praticamente a fare reparto da solo, oggi occupa una posizione incerta, che lo lascia spesso a metà fra un ripiegamento e un intervento, e puntato viene saltato molto più facilmente che in passato.

La partita contro il Napoli ha infine dimostrato come gli equilibri difensivi dell’Inter possano dipendere in larga parte da Lukaku. Già l’anno scorso, quando le cose iniziarono a precipitare, risultò evidente come le condizioni precarie di Džeko gli rendessero difficile difendere la palla, sistematicamente anticipato dal diretto marcatore. Ogni palla persa si traduceva in una ripartenza e questo metteva in costante pressione e sgomento l’Inter e la propria difesa. Quest’anno Džeko sta facendo un lavoro monumentale, ma ci sono dei limiti fisiologici che vanno oltre l’immensità del giocatore. Un Lukaku a mezzo servizio, nella gara contro i partenopei, seppur perdendo tanti palloni, riusciva a difenderli quel tanto che bastava da permettere ai suoi compagni di riassestarsi ed eventualmente reggere un contraccolpo. Può sembrare poco, ma in una situazione come quella dell’Inter avere un uomo in grado di spingere via chi lo marca e tenere la palla a vagare senza padrone nella metà campo avversaria è una panacea che dà respiro a tutta la squadra.

Solo il proseguire della stagione ci dirà se e come l’Inter riuscirà a risolvere i propri problemi difensivi, se addirittura aumenteranno, o se come fino ad ora il doppelgänger nerazzurro ci accompagnerà fino alla fine, in una dualità che sembra coincidere con quella fra casa e trasferta.

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