Il Napoli, la Lazio e l’Atalanta occupano ormai da molti anni le primissime posizioni della Serie A, e si possono considerare a tutti gli effetti delle grandi del nostro calcio. Eppure, in un passato neanche troppo lontano, queste squadre hanno attraversato momenti bui, seppur in maniera molto diversa l’una dall’altra, ma con un denominatore comune: l’uomo che le ha portate a rinascere, Edoardo Reja, detto Edy, da Gorizia.
La lunga gavetta e le tre promozioni in Serie A
Nato il 10 ottobre del 1945, da calciatore era stato un centrocampista difensivo e aveva vestito le maglie di SPAL, Palermo, Alessandria e Benevento. Inizia ad allenare nel 1979 in Serie D nel Molinella e, dopo una lunghissima gavetta con tante squadre nelle serie minori – Monselice, Pordenone, Pro Gorizia, Treviso, Mestre, Varese, Pescara –, sfiora per la prima volta la Serie A alla guida del Cosenza nel 1992, dovendosi accontentare del quinto posto finale tra i cadetti.
La massima serie sembra finalmente arrivare per Reja cinque anni più tardi, dato che conquista la sua prima promozione in A con il Brescia, ma poco prima dell’inizio del campionato alcune divergenze con il presidente Gino Corioni, mai chiarite del tutto, portano l’allenatore a una vera e propria fuga dal ritiro delle Rondinelle e poi alle dimissioni.
Tre anni dopo ottiene l’ultima promozione in Serie A del Vicenza e debutta finalmente nel massimo campionato italiano, senza riuscire però a salvare la squadra. Dopo un paio di esperienze non proprio felici in Serie B con Genoa e Catania, conquista un’altra promozione in massima serie nel 2004, questa volta con il Cagliari del presidente Massimo Cellino, che non confermerà però il tecnico friulano per il campionato successivo.
Dalla Serie C all’Europa con il Napoli
Il 16 gennaio del 2005, a quasi 60 anni, compie una scelta coraggiosa, che alla fine si rivelerà quella giusta per la sua carriera, che fino a quel momento sembrava destinata a un calcio di provincia: accetta la proposta del Napoli, finito in terza serie – all’epoca la C1 – per la prima volta nella sua storia. L’estate precedente il Napoli era infatti fallito ed era stato rilevato da Aurelio De Laurentiis, assumendo la denominazione Napoli Soccer.
Gli azzurri stavano incontrando più difficolta del previsto a calarsi in questa realtà. Si trattava di una squadra rivoluzionata, con soli due giocatori – Francesco Montervino e Cataldo Montesanto – rimasti dopo il fallimento, ma De Laurentiis riteneva che con la rosa costruita dal DS Pierpaolo Marino si potesse fare di più, così decise di esonerare il primo tecnico della sua era, Gian Piero Ventura, e di sostituirlo proprio con Edy Reja.
Con il suo ingaggio il Napoli cambia completamente marcia, complici anche i nuovi arrivi dal mercato di riparazione: il bomber Emanuele Calaiò, l’ala sinistra Inacio Piá e il difensore Gianluca Grava. Nella stagione regolare arriveranno 14 risultati utili su 15, che riportano il Napoli al terzo posto nel Girone B di Serie C1, dietro al sorprendente Rimini di Leonardo Acori e ai corregionali dell’Avellino, ottenendo quindi l’accesso ai play-off.
La squadra si presentava generalmente con un 4-3-3, con Matteo Gianello tra i pali; Giovanni Ignoffo e Claudio Terzi centrali, Mauro Bonomi e Grava sulle fasce; la regia era affidata a capitan Montervino, con Gaetano Fontana e Luigi Consonni ai suoi lati, mentre in attacco, al fianco di Calaiò, agiva Piá sul lato sinistro, mentre sulla destra si alternavano Marco Capparella e un diciottenne Ignazio Abate, in prestito dal Milan. Spesso, soprattutto a partita in corso, Reja trasformava questa formazione in un 4-4-2, sfruttando nei minuti finali le qualità aeree di Roberto Sosa.
A dimostrazione di una squadra che ha fatto passi avanti anche dal punto di vista mentale, ci sono i tanti gol decisivi segnati nei minuti finali, come quelli contro Teramo e Padova, e soprattutto le rimonte in casa contro il Foggia – con due gol nel recupero – e sul campo del Giulianova.
L’unica sconfitta della stagione regolare con Edy Reja alla guida arriva nel derby giocato ad Avellino e sarà il preludio a una delle delusioni sportive più forti dell’intera storia del Napoli: la sconfitta in finale play-off. I Lupi dell’Irpinia, guidati da Francesco Oddo, passano la doppia sfida, vincendo 2-1 al Partenio con un gol dell’ex di Raffaele Biancolino e un rigore di Vincenzo Moretti, dopo aver strappato un pareggio a reti inviolate in un San Paolo con oltre 63.000 spettatori. Nonostante un Piá parecchio ispirato nella doppia sfida, il Napoli non riuscirà mai a sfondare e un paio di ghiotte occasioni fallite da Capparella fecero la differenza in negativo. Inutile, per quanto iconico, restò un gol di nuca del Pampa Sosa nel finale della sfida di ritorno, che il Napoli era costretto a vincere, in virtù del peggior piazzamento in campionato.
Nonostante la delusione fosse pienamente tangibile nella città di Napoli, De Laurentiis, in una delle sue conferenze ad effetto alle quali, di lì a poco, ci si sarebbe abituati, si disse in qualche modo soddisfatto del percorso compiuto e, già dopo lo 0-0 dell’andata, iniziò a sottolineare come la sua squadra avesse “vinto” il girone di ritorno, di fatto scagionando Edy Reja da ogni accusa e puntando il dito contro la gestione di Ventura.
L’anno successivo, il primo con Reja a svolgere il ritiro e a guidare la squadra dall’inizio della stagione, il Napoli riuscì a far valere la sua superiorità fin da subito. L’acquisto di Mariano Bogliacino dalla Sambenedettese, che aveva ben figurato proprio contro gli azzurri segnando tanto in campionato quanto nella semifinale dei play-off, aumentò di gran lunga la qualità e si rivelò perfetto per il centrocampo degli azzurri, essendo anche polivalente e permettendo a Reja di avere tante soluzioni anche a partita in corso. Emanuele Calaiò si confermò un lusso per la categoria, andando a segno per 18 volte.
Inserito ancora una volta nel Girone B, il Napoli mantiene per l’intero campionato un rendimento pressoché perfetto, soprattutto tra le mura amiche. Le uniche squadre che sembrano tenere il passo del Napoli sono il Frosinone e la Sangiovannese, ma entrambe verranno completamente spazzate via negli scontri diretti del girone d’andata: gli azzurri rifilano un secco 4-1 alla Sangiovannese e un 1-3 al Frosinone allo stadio Matusa. Questa volta, per il Napoli non ci saranno play-off in cui soffrire: il primo posto incontrastato nel girone vale agli azzurri la promozione diretta in Serie B.
Nel frattempo, nell’estate del 2006 le vicende di Calciopoli ridisegnano lo scenario dell’intero calcio italiano, con la Juventus che verrà retrocessa d’ufficio, ma che riuscirà a mantenere l’ossatura della squadra che aveva conquistato lo scudetto. Di conseguenza, quello che si prepara ad affrontare il Napoli è probabilmente il campionato di livello più alto dell’intera storia della Serie B, data anche la presenza del Genoa, a sua volta retrocesso in C1 per questioni extra-campo due stagioni prima e poi promossa in virtù nel secondo posto nel Girone A, che poteva vantare in rosa giocatori come Adaílton, Giuseppe Sculli e Domenico Criscito.
Ciononostante, il Napoli non avverte minimamente il salto di categoria. Al contrario, se si escludono le primissime giornate – una sola vittoria nelle prime quattro – in qualche modo il completamento della scalata verso la A si dimostra persino meno duro dei due anni precedenti, forse anche perché avviene sulle ali dell’entusiasmo.
Gli acquisti migliori saranno quelli nel reparto difensivo: Maurizio Domizzi, Rubén Maldonado e Paolo Cannavaro – quest’ultimo in realtà un ritorno dopo tre anni trascorsi nelle giovanili e due presenze in prima squadra nel 1998/1999 – diventeranno in breve tempo il terzetto titolare e formeranno una difesa solidissima, che chiuderà il campionato con soli 29 gol subiti, uno in meno della corazzata Juve. In attacco arriva invece Cristian Bucchi, che deluderà le aspettative, segnando soltanto 8 gol in campionato a fronte dei 29 della stagione precedente a Modena e finendo per scivolare in panchina, dato che la coppia Calaiò-Sosa darà maggiori garanzie a Reja.
Sul secondo posto finale del campionato di Serie B degli azzurri, dietro solo all’inarrivabile Juventus di Didier Deschamps, pesano in particolare i risultati ottenuti tra le mura amiche: nel corso del campionato, nessuna squadra riuscirà a violare il San Paolo. Dopo qualche difficoltà iniziale, con sole quattro vittorie nelle prime nove, a novembre Reja decide di virare definitivamente sulla difesa a tre, soprattutto per sfruttare al meglio le capacità di impostazione di Cannavaro, e gli azzurri pareggiano per 1-1 la sfida di campionato contro la Juventus, con Bogliacino a rispondere a una splendida punizione di Alex Del Piero, acquistando fiducia e consapevolezza. Sarà quello il primo di 19 risultati utili consecutivi che fanno salire la squadra in cima alla classifica, poi superata dagli stessi bianconeri. Il pareggio contro il Genoa all’ultima giornata di campionato qualifica entrambe le squadre senza passare dai play-off, dato il distacco tra la terza e la quarta in classifica: sei anni dopo l’ultima volta, il Napoli torna in Serie A.
Il mercato per la promozione non prevedeva nomi di giocatori già affermati: a centrocampo arrivano Walter Gargano e Marek Hamšík, all’epoca semi-sconosciuti, e in attacco un argentino di nome Ezequiel Lavezzi, detto il Pocho, a cui si uniranno negli ultimi giorni di mercato il mediano Manuele Blasi e la punta Marcelo Zalayeta dalla Juventus.
Il primo anno in Serie A del Napoli parte subito con una battuta d’arresto: gli azzurri perdono la prima partita di campionato per 0-2 contro il Cagliari, aprendo la strada ai soliti giudizi affrettati sulla squadra, sul valore dei nuovi acquisti e persino sull’allenatore che aveva appena compiuto una scalata da sogno. Il tutto verrà spazzato via in maniera perentoria la domenica successiva, nella trasferta di Udine, dove va in scena quella che è forse la dimostrazione più spettacolare del Napoli di Edy Reja, lo 0-5 rifilato alla squadra di Pasquale Marino. Il primo gol del ritorno in A del Napoli lo segna Zalayeta, con un’azione semplice ma efficace che diventerà uno dei marchi di fabbrica degli azzurri degli anni a venire: lancio lungo dalla difesa per Lavezzi, che supera Mesto e mette la palla al centro, con il Panteròn si fa trovare pronto per insaccare alle spalle di Chimenti. Il colpo di testa di Domizzi sugli sviluppi di un corner permette al Napoli di andare al riposo sul 2-0 e quindi in relativa tranquillità, ma è nella ripresa che il Pocho Lavezzi conquista definitivamente il pubblico napoletano, con un gol dal limite dell’area dopo un recupero di Gargano. Zalayeta firma poi la doppietta personale di rapina, mentre a chiudere tutti i discorsi è l’ex di turno, il Pampa Sosa, imbeccato ancora da Lavezzi.
La partita fece capire fin da subito che il Napoli non volesse recitare il ruolo della neopromossa, ma che intendesse togliersi qualche soddisfazione in più già al primo anno di Serie A, così ben presto le avversarie iniziarono a temere quest’allenatore friulano che sedeva sulla panchina degli azzurri, con l’immancabile chewing-gum in bocca, e che riusciva a ottenere risultati di prestigio anche e soprattutto contro le grandi. Il 3-5-2 che proponeva si dimostrava estremamente efficace, grazie anche a un centrocampo ben assortito, con i muscoli di Blasi, i polmoni di Gargano e l’inventiva di Hamšík, senza dimenticare l’apporto di Bogliacino, che dimostrò di poter essere una riserva di lusso anche in Serie A. Lavezzi, pur non essendo particolarmente preciso sotto porta, era invece il fulcro di ogni azione pericolosa.
Nonostante una flessione sul finire dell’anno solare, il Napoli nel girone di ritorno continua la sua marcia, battendo anche entrambe le squadre milanesi, e a fine stagione, grazie all’ottavo posto in classifica, stacca il pass per la Coppa Intertoto, giunta alla sua ultima edizione, attraverso la quale il Napoli conquista l’accesso ai preliminari della Coppa UEFA, tornando a giocare in Europa dopo quattordici anni.
Superato agevolmente il turno preliminare di UEFA contro il Vllaznia, il Napoli pesca nel sorteggio il temibile Benfica di Quique Sánchez Flores. Intanto, la stagione 2008/2009 inizia con un promettente pareggio all’Olimpico contro la Roma, ma una serie di scontri che videro protagonisti un gruppo di tifosi napoletani alla stazione Termini costò agli azzurri un turno a porte chiuse e il divieto di trasferta per l’intera stagione.
La campagna europea termina a inizio ottobre proprio per mano del Benfica: al San Paolo finisce 3-2 per gli azzurri, ma a Lisbona, dopo una serie di occasioni fallite dal Napoli – di cui una doppia, clamorosa, con un palo di Cannavaro e con Zalayeta che non riesce a ribattere in rete –, le reti nel secondo tempo del compianto Antonio Reyes e di Nuno Gomes mandano il Benfica alla fase a gironi.
In campionato, il Napoli è totalmente a due facce. Fuori casa gli azzurri avranno i problemi peggiori, risentendo psicologicamente dell’assenza dei tifosi al seguito, tanto che saranno solo due le vittorie in trasferta nell’intero campionato, entrambe di misura: a Bologna, con una rete firmata dal nuovo acquisto Germán Denis nel finale, e all’Olimpico contro la Lazio, decisa da un autogol di Sebastiano Siviglia. Quest’ultima, datata 26 ottobre, resterà l’ultima vittoria esterna per un intero anno. Ciononostante, gli ottimi risultati casalinghi trascinano la squadra di Edy Reja verso traguardi insperati. La difesa sembra reggere, nonostante l’addio in estate di Maurizio Domizzi. Hamšík e Lavezzi, con un anno di esperienza in più, mettono costantemente in difficoltà le difese avversarie. Non ripete le prestazioni dell’anno precedente, invece, Marcelo Zalayeta, tanto che a posteriori l’errore di Lisbona diventò la fotografia della sua stagione, e inizierà a perdere la titolarità a favore di Denis.
Alla fine dell’anno solare 2008 la squadra si ritrova inaspettatamente in piena zona Champions, grazie a un girone d’andata pressoché perfetto tra le mura amiche, con vittorie prestigiose come quella con la Juventus di Claudio Ranieri. L’unica squadra a strappare un punto al San Paolo sarà il Cagliari.
A gennaio qualcosa inizia però a scricchiolare, con la perdita di un paio di pedine fondamentali: il portiere Gennaro Iezzo, alle prese con una lombalgia, e l’esterno Daniele Mannini, che invece riceve una squalifica dopo un controllo antidoping.
Le certezze crollano alla prima giornata di ritorno, con lo 0-3 rimediato contro la Roma. Come accade quasi sempre, il primo a finire sul banco degli imputati fu l’allenatore, nonostante l’emergenza totale in cui versava, tanto che contro la Fiorentina, dato l’infortunio nel primo tempo del secondo portiere Gianello e l’indisponibilità di Navarro, sarà costretto a far esordire il diciassettenne Luigi Sepe tra i pali. Pur senza particolari colpe del ragazzo, la Viola infilerà due volte la porta del Napoli con Santana e Montolivo, rendendo inutile il gol di Luigi Vitale, altro giocatore che sembrava fuori dal progetto, gettato nella mischia per far fronte alle assenze. È l’inizio del primo, vero, periodo di crisi del Napoli dal ritorno in Serie A.
Dopo due mesi senza vittorie, con in mezzo anche un’uscita in Coppa Italia contro la Juventus, la sconfitta casalinga contro la Lazio sarà fatale per Edy Reja, i biancocelesti di Delio Rossi si vendicano infatti della gara del girone d’andata imponendosi per 2-0 e lasciando il Napoli all’undicesimo posto in classifica.
Edy Reja lascerà il posto a Roberto Donadoni, che non riuscirà a risollevare la situazione, finendo persino ancora più in basso, al dodicesimo posto, e sarà uno degli allenatori meno longevi e meno amati dalla piazza nell’era De Laurentiis.
Alla Lazio per scacciare gli incubi e tornare a sognare
Il tecnico goriziano non impiegherà molto a trovare una nuova squadra: è l’Hajduk Spalato ad ingaggiarlo nell’estate nel 2009. La squadra aveva ottenuto zero vittorie in sei partite tra campionato e preliminari di Europa League, e sembrava in netta difficoltà, soprattutto per la cessione di Nikola Kalinić, bomber da 44 gol nelle ultime due stagioni. Neanche a dirlo, Reja porterà alla rinascita anche la squadra dalmata. Saranno 11 le vittorie in 17 partite – percentuale di vittorie più alta della sua carriera – che permetteranno ai Bianchi di Spalato di salire fino al secondo posto in classifica in campionato e soprattutto di raggiungere la semifinale della coppa nazionale, che a fine stagione vinceranno. Non sarà Edy Reja però a terminare la scalata, perché nel febbraio del 2010 una nuova grande opportunità si presenta per la sua carriera: la panchina della Lazio.
I biancocelesti attraversavano il momento più critico dell’era Lotito: avevano vinto una Coppa Italia nella stagione precedente, chiudendo al meglio il quadriennio con Delio Rossi, ma si trovavano al diciottesimo posto in classifica, dunque in piena zona retrocessione. Tuttavia, l’offerta è bastata per convincere Reja a rescindere il contratto con l’Hajduk per sedersi sulla panchina dei biancocelesti, subentrando a Davide Ballardini. Smaltita qualche difficoltà iniziale – un punto nelle prime quattro partite –, il tecnico goriziano riesce a risollevare una squadra completamente scarica e a risanare in parte un ambiente che continuava a essere in grande rivolta, soprattutto all’indirizzo del Presidente, ottenendo la salvezza con una tranquillità che qualche mese prima nessuno poteva aspettarsi.
Il suo 3-5-2 prevedeva, davanti a Fernando Muslera, un terzetto formato da Guglielmo Stendardo, André Dias e Ștefan Radu, che poteva anche agire da terzino, ma Reja preferiva sfruttare la corsa di Stephan Lichtsteiner sulla destra e la qualità di Aleksandar Kolarov dall’altro lato. Il più grande merito dell’allenatore friulano fu però il reintegro di Cristian Ledesma, mediano dal piede educatissimo e indispensabile per l’equilibrio della squadra, che era stato messo fuori rosa da Lotito per problemi contrattuali. Ai suoi lati agivano in genere Cristian Brocchi e Stefano Mauri, quest’ultimo con più licenza di attaccare e di servire le punte Mauro Zárate e Tommaso Rocchi.
La partita in cui la Lazio scaccia gli incubi è il paradossale scontro salvezza con il Siena all’Olimpico, nel turno infrasettimanale del 24 marzo. I ragazzi di Edy Reja mettono fin da subito la partita sui giusti binari con un gol di Lichtsteiner, che dalla destra si inserisce per raccogliere un traversone di Mauri, di gran lunga il laziale più in forma in quella giornata. Nonostante la mole di gioco prodotta, però, la Lazio sembra non riuscire a chiudere la pratica, anche grazie alle parate dell’ex-Roma Curci, e nel secondo tempo rischia su un colpo di testa della vecchia conoscenza Calaiò. Al 71′ Reja richiama un evanescente Zárate per l’ingresso di Julio Cruz, un minuto dopo el Jardinero fa ciò che sa fare meglio, qualcosa che ha segnato l’intera sua carriera ormai giunta all’atto finale: segnare da subentrato. Questa volta lo fa con una splendida rovesciata sugli sviluppi di un calcio d’angolo e sarà il suo ultimo gol in assoluto, ma è la rete con cui la Lazio esce definitivamente dal baratro.
I biancocelesti chiuderanno la stagione al dodicesimo posto e durante l’estate Lotito rivoluziona la rosa. La cessione illustre fu quella di Kolarov al Manchester City, con il suo sostituto Garrido che deluse le aspettative, ma l’acquisto del brasiliano Hernanes, detto il Profeta, completò l’idea di centrocampo che aveva Reja e con 11 gol sarebbe diventato il capocannoniere della Lazio, in qualche modo continuando una tradizione iniziata con Hamšík – 16 gol in campionato nell’era Reja a Napoli – e proseguita con Ibričić all’Hajduk – che ne segnò addirittura 17.
A inizio campionato la Lazio parte fortissimo, conquistando persino la testa della classifica per qualche mese, grazie a risultati sorprendenti anche e soprattutto contro le big, come il 2-0 contro il Napoli di Walter Mazzarri e il 3-1 contro l’Inter di Rafa Benítez. Tuttavia, nel girone di ritorno non ripete i risultati brillanti della prima parte di annata, complice anche qualche infortuno di troppo, tra cui quello del futuro capitano Radu. Alla fine, la Lazio chiude al quinto posto, l’ultimo al di sotto di quelli utili per la qualificazione in Champions League. Anche qui, però, Edy Reja era riuscito a rinascere insieme alla sua squadra, a due anni da quell’esonero a Napoli che rischiava di mettere fine alla sua carriera ad alti livelli.
Nonostante l’ottima dimensione ritrovata e il miglior piazzamento di Reja in Serie A, c’era sulla stagione una macchia indelebile, forse ancora peggiore della mancata qualificazione in Champions: tre sconfitte su tre nei derby di Roma, compreso quello in Coppa Italia.
Era comunque evidente come a quella squadra mancasse qualcosa negli ultimi metri, così nell’estate del 2011 Lotito rinforza il reparto offensivo della Lazio: arrivano Djibril Cissé e Miroslav Klose. Il primo non darà l’apporto sperato e saluterà a gennaio, mentre il secondo diventerà il terminale perfetto per la squadra. I 15 gol segnati in stagione non bastano a raccontare la sua importanza dal punto di vista tecnico e tattico.
Per Edy Reja si apre in qualche modo una nuova sfida, quella di gestire il doppio impegno di campionato e di coppa, cosa che rappresentava una novità assoluta per lui. Dopo qualche difficoltà iniziale, la Lazio si riprende a cavallo della prima sosta per le nazionali, vincendo in rimonta a Firenze e arrivando nel migliore dei modi all’appuntamento più atteso, quello del derby.
La rete al quinto minuto di Daniel Osvaldo sembra confermare la maledizione dei derby per Edy Reja. Nonostante un Hernanes parecchio ispirato, non arrivano pericoli dalle parti di Maarten Stekelenburg, ed è anzi la Lazio a rischiare e a restare a galla con le parate di Federico Marchetti e soprattutto con un salvataggio di Giuseppe Biava sullo stesso Osvaldo. All’inizio del secondo tempo, l’inerzia cambia completamente, perché l’ennesima invenzione di Hernanes libera Brocchi davanti a Stekelenburg. Kjaer prova l’intervento disperato: è rigore per la Lazio e cartellino rosso per il danese. Hernanes è poi freddissimo dal dischetto, e da lì in poi inizia un monologo biancoceleste, che però non riesce a sfondare definitivamente. Il palo di Cissé sembra quasi certificare il sortilegio, ma all’ultimo pallone del match, con ancora Hernanes a manovrare, la palla arriva a Francelino Matuzalém, che di prima intenzione pesca Klose al centro dell’area, che deposita la sfera in porta alla sinistra di Stelekenburg. Dopo cinque vittorie consecutive dei rivali, Reja scaccia l’incubo e la Lazio torna a vincere il derby.
I ragazzi di Edy Reja si stabiliscono quindi ancor una volta nelle posizioni più alte della classifica, quelle valide per la qualificazione in Champions League, e superano anche il girone di Europa League, ma l’urna sarà tutt’altro che benevola con loro: per i sedicesimi la Lazio verrà accoppiata al primo Atlético Madrid del Cholo Simeone, grande ex della gara. Nonostante l’iniziale vantaggio nella gara d’andata a Roma con gol del solito Klose, gli spagnoli si riveleranno semplicemente troppo forti per i laziali, ribaltando completamente il match con un 1-3. Al ritorno Diego Godín conduce definitivamente i colchoneros agli ottavi di finale. A fine stagione saranno proprio loro ad alzare la coppa.
Il girone di ritorno conferma la Lazio su buoni livelli, ma il campionato termina con i biancocelesti al quarto posto. Nonostante il posizionamento migliorato, la qualificazione in Champions sfuma nuovamente per un soffio a causa dei soli tre posti disponibili per le italiane in quella stagione. A qualificarsi, oltre al Milan e alla Juventus, sarà la sempre più sorprendente Udinese, per differenza reti rispetto alla Lazio.
Al termine dell’annata Reja verrà sostituito da Vladimir Petković sulla panchina dei biancocelesti. Il tecnico elvetico, nonostante la conquista di una storica e iconica Coppa Italia, con il derby di Roma in finale, pagherà un periodo di appannamento a metà del suo secondo campionato sulla sponda del Tevere, venendo a sua volta sostituito proprio da Edy Reja.
Tuttavia, come spesso accade nel calcio in occasione dei ritorni di fiamma, il Reja-bis non darà ai tifosi della Lazio le soddisfazioni del periodo precedente. L’inizio è molto promettente, con sei risultati utili nelle prime sei partite, tra cui una vittoria contro l’Inter e un pareggio contro la Juventus che mette fine a una striscia di dodici vittorie consecutive della squadra di Antonio Conte. Il resto della stagione sarà però negativo, con l’uscita ai sedicesimi di Europa League contro il Ludogorets e la mancata qualificazione europea.
Il pre-Gasperini all’Atalanta
Reja non viene riconfermato sulla panchina della Lazio, ma l’anno successivo si apre per lui una nuova possibilità. Nel marzo del 2015 l’Atalanta si ritrova in evidente difficoltà. Stava pagando a caro prezzo le cessioni estive, su tutte quella di Jack Bonaventura negli ultimi giorni di mercato. L’arrivo in extremis del Papu Gómez non aveva sortito gli effetti sperati, non ripetendo le prestazioni offerte con la maglia del Catania. Il presidente Percassi, con la squadra al quartultimo posto, pone quindi fine alla lunga era Colantuono e affida la panchina a colui il quale è ormai uno specialista di queste situazioni, Edy Reja.
Anche in questo caso la rinascita avviene, seppur con un po’ di fatica. Dopo due pareggi a reti inviolate, il primo gol arriva proprio in uno stadio che conosce molto bene: il San Paolo di Napoli. L’Atalanta, nonostante l’inferiorità numerica per il doppio giallo di Gómez, trova il vantaggio con Mauricio Pinilla, ma gli azzurri eviteranno la sconfitta grazie a una zuccata di Duván Zapata.
La prima vittoria, fondamentale in chiave salvezza, arriva contro il Sassuolo: la doppietta di Germán Denis, che intanto aveva ritrovato il tecnico goriziano dopo la loro esperienza a Napoli, permette alla Dea di superare il Sassuolo con il punteggio di 2-1. L’unico altro successo, anch’esso pesantissimo, arriva al Renzo Barbera di Palermo per 2-3, con Gómez finalmente in grande spolvero: dopo aver provocato l’autorete di Siniša Andjelković, segna anche il gol che chiude la partita.
Il Papu torna finalmente sui suoi livelli con Reja, che in lui trova un importantissimo regista offensivo ma anche un calciatore letale nelle ripartenze e in grado di scardinare le difese avversarie, oltre a favorire gli inserimenti dei centrocampisti. Seppur con caratteristiche diverse, Gómez svolgeva il lavoro che a Napoli faceva un altro argentino, il Pocho Lavezzi.
L’Atalanta chiude la stagione al diciassettesimo posto, a soli tre punti sulla linea di galleggiamento, ma Reja viene riconfermato per la stagione successiva sulla panchina dei bergamaschi, riuscendo finalmente a rendere l’Atalanta a tutti gli effetti una squadra delle sue. Questa volta, Gómez viene messo al centro del progetto fin dall’inizio: l’argentino ripaga la fiducia diventando capocannoniere della squadra, con 7 gol, e miglior assistman, con 10 passaggi vincenti, oltre a essere il faro da cui partono le azioni più pericolose della Dea.
Il vero capolavoro del tecnico goriziano va in scena il 29 novembre all’Olimpico di Roma. La Dea fa fuori i giallorossi con un secco 0-2, con Gómez che segna un gran gol e si procura un rigore, poi realizzato da Denis. Solo un grande Morgan De Sanctis evita un passivo peggiore per la squadra di Rudi Garcia, soprattutto con un intervento miracoloso su Maxi Morález, altro giocatore letale nelle transizioni.
Dopo la vittoria successiva contro il Palermo per 3-0, l’Atalanta dopo 15 giornate si ritrova con 24 punti, subito a ridosso della zona europea, all’epoca una novità per i nerazzurri di Bergamo. Nei mesi invernali si assiste però a una “normalizzazione” della Dea, che si rivelerà non ancora pronta per sognare in grande. A gennaio salutano Maxi Morález, Alberto Grassi e soprattutto Denis. Il pareggio contro il neopromosso Frosinone e soprattutto la sconfitta per 2-0 contro l’Hellas Verona suonano come una sentenza sui reali obiettivi dell’Atalanta, che comunque non verrà mai realmente coinvolta nei discorsi per la salvezza, anche perché a marzo inizia un nuovo periodo positivo aperto dalla vittoria contro il Bologna per 2-0 con Gómez e il gol dell’ex di Diamanti, acquisto invernale che fino a quel momento aveva deluso le aspettative. La vittoria sul Milan per 2-1 e il pareggio per 3-3 contro la lanciatissima Roma, nel frattempo passata tra le mani di Luciano Spalletti, confermano la storica caratteristica dell’Atalanta, nonché del suo allenatore, di ammazza-big. A fine campionato saranno 45 i punti, che valgono un tranquillo tredicesimo posto, ma il suo merito è quello di aver lanciato tanti giocatori che avrebbero fatto le fortune dell’Atalanta negli anni a venire, come Davide Zappacosta nella prima stagione e Marten de Roon, Rafael Tolói e il giovane Andrea Conti nella seconda. Nell’estate del 2016 Percassi non riconferma Edy Reja, dando inizio alla meravigliosa era Gasperini.
L’esperienza da CT e la chiusura del cerchio
Dopo qualche anno sabbatico con varie proposte rifiutate, Edy Reja torna ad allenare nel 2019, iniziando un’esperienza completamente nuova per lui: quella di CT di una nazionale. Accetta infatti la panchina dell’Albania, entrata in una spirale di risultati negativi dopo la fine del ciclo De Biasi.
Nonostante la squadra riesca a ritrovare un certo ordine, a Reja non riesce il miracolo della qualificazione a EURO 2020, data la situazione già compromessa in precedenza. Nel 2021 arriva invece la promozione alla Lega B della Nations League, in seguito alla vittoria del girone di Lega C con Bielorussia, Lituania e Kazakistan. Poco più tardi, l’Albania è andata persino vicina alla prima qualificazione ai Mondiali della sua storia, nonostante un raggruppamento molto competitivo con Inghilterra, Polonia e Ungheria, oltre ad Andorra e San Marino. I balcanici chiudono il girone con 18 punti: è il punteggio più alto mai registrato da una Nazionale europea non qualificata.
Nel 2023 accetta l’offerta del Gorica, squadra della parte slovena della sua città natale, con la quale chiude la sua carriera. È la perfetta “chiusura del cerchio” di una vita calcistica che lo ha visto girare molte terre, nelle quali ha lasciato quasi sempre bei ricordi. Edoardo Reja, per tutti Edy, è stato capace di risollevare squadre e carriere, trasformando ogni sfida in un’opportunità di crescita. La dimostrazione calcistica che la passione e il duro lavoro possono dare vita a nuovi successi anche nei momenti più bui.
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