Per novanta minuti più recupero, antiche sensazioni sono state risvegliate in noi dalla Germania. Sicurezza, unità, spietatezza, sono aggettivi che da un po’ non ci trovavamo ad associare alla Nazionale tedesca di calcio, incagliata forse in un inaspettato complesso di inferiorità sin dall’uscita tragica dal Mondiale di Russia, dal quale non è più stata la stessa.
La Mannschaft ha accolto le altre 23 partecipanti dell’Europeo come un polveroso maggiordomo accoglie gli ospiti di un castello che si dice infestato: può darsi che alla fine non ci sia nessun fantasma, ma un certo timore iniziale è ormai già sottopelle. L’esordio per 5-1 nel torneo con la Scozia ridotta, anche per propria colpa, a mera sparring partner è stato uno show di qualità che alza ancora l’asticella dei favori del pronostico verso la Germania, già ben quotata anche solo per quell’invisibile e poco definibile, ma spesso duro e compatto, fattore campo.
Un equilibrio durato un istante
I primi minuti ci hanno detto tutto su quello che sarebbe stato il leitmotiv della gara: la Germania era sistemata da Julian Nagelsmann su un 4-2-3-1 di partenza, che però si trasformava presto in un 3-3-3-1 con l’arretramento di Toni Kroos tra i due centrali Rüdiger e Tah e l’innalzamento laterale dei terzini Mittelstädt, new entry sorprendente del gruppo teutonico, e Kimmich, decisamente meno un novellino.
Il movimento a ritroso del “ritirando” ex-Real Madrid era volto a ricevere maggiormente palla contro il blocco centrale scozzese, disposto in un 5-4-1 molto più che un 3-4-2-1, lasciando a Robert Andrich un particolare compito di auto-oscuramento, quasi un ruolo da “attira-pressing”. Il roccioso centrocampista del Leverkusen era infatti braccato praticamente da tutti gli uomini di mezzo della squadra di Steve Clarke, che però facendo ciò rinunciavano a controllare i terzini avversari, delegando il compito ai più arretrati Robertson e Ralston.
L’atteggiamento di contenimento di questi ultimi spiega bene l’idea di partenza degli ospiti: un blocco basso che riducesse soprattutto gli scambi centrali e dirottasse la manovra verso i meno pericolosi spazi esterni. Un’idea all’antica e azzardata, ma senza dubbio un’idea, contrariamente da quanto ha caratterizzato la fase d’attacco della Tartan Army. Al recupero del pallone, certo anche per un precisissimo gegenpressing della Germania, il possesso scozzese si volatilizzava nel tempo di un batter d’occhi, costringendo al riordino difensivo continuo e garantendo una manovra offensiva infinita per Jamal Musiala, Florian Wirtz e compagni, assestati su un possesso palla vicino attorno al 75%. Insomma, anche la migliore tattica difensiva, senza alcuna tattica offensiva, diventa praticamente inutile.
Il movimento dei due 2003 e di capitan İlkay Gündoğan ha reso d’altro canto velleitario persino il piano di limitare i fraseggi nello stretto, mostrando tutta la differenza di esperienza nelle letture e di qualità nel controllo della palla tra le sfidanti, gap che ha ingoiato uno dei leader tecnici stessi della Scozia, l’ectoplasmatico Scott McTominay. Wirtz e Musiala potevano tentare eventualmente anche il taglio alle spalle della linea, ma più frequentemente venivano a comporre un isolotto di classe accorpato in pochi metri della trequarti, per non andare in inferiorità numerica con la difesa.
La tempesta si abbatte
L’immediata insostenibilità dello 0-0 è stata velocemente sostituita da un più adeguato vantaggio tedesco. Al decimo minuto Kroos sventaglia con la solita, disarmante, precisione che gli appartiene su Kimmich, troppo solo per via di una difesa troppo stretta al centro, e ha modo di scaricare a rimorchio per un altrettanto dimenticato Wirtz, che dal limite angola abbastanza da bucare un non perfetto Gunn.
Passano nove giri d’orologio e un fantastico lavoro in smarcamento, incursione e rifinitura di Gündoğan manda il sempre mobile Kai Havertz di fronte alla porta dove sceglie, altruisticamente ma anche sapientemente, di appoggiare per Musiala che scarica il secondo fulmine.
La seguente revoca del fallo da rigore sempre su Musiala non ha smorzato di un minimo il sentimento di mancanza totale di contradittorio nella partita. La Scozia ha cercato di raffinare il possesso nella propria area, contando di trasformare la furia subita in pressing in spazi da perforare in transizione positiva, ma la raffinatura è stata comunque inadeguata alla difficoltà della situazione, così come lo sono stati i lanci lunghi su un disperso Che Adams, non aiutato neanche dall’avvicinamento, pensato da Clarke, di Christie come ulteriore punta. Il rigore – questa volta dato – di Havertz con aggiunta, sadica ma corretta, del rosso per Porteous ci ha messo l’anima in pace circa un secondo tempo di semplice corollario.
Ed è effettivamente non è andata diversamente, se non per un assetto scozzese privato persino dell’attaccante, senza Adams che ha lasciato spazio al centrale Hanley per colmare il buco lasciato dall’espulsione.
Il 4-0 di Niclas Füllkrug è stato un’altra prova del talento posizionale di Gündoğan nell’attaccare uno spazio vuoto, così come del killer instinct del “buco” di fronte alla porta; il quinto gol di Emre Can un’ennesima riprova dell’altrettanta bravura nell’occupazione degli spazi di Thomas Müller, entrato ormai per una passerella trionfale e comunque capace di sfornare l’ennesimo assist della sua carriera.
In mezzo, un saggio di cinismo degli scozzesi, che su una punizione lunga poco invitante sono riusciti a lasciare ai tedeschi qualcosa da rimproverarsi: autogol casualissimo di Rüdiger e rete segnata con zero tiri effettuati. Segnare con un premio immeritato può instillare o una sconsolante consapevolezza o una irrefrenabile goduria: a giudicare dal boato degli encomiabili tifosi Scots, il sentimento provato è stato più il secondo.
I primi giudizi
Se una rondine non fa primavera, un esordio non fa un torneo. Questo match inaugurale ci ha detto di una straripante brillantezza offensiva della Germania e di una manifesta povertà di armi per la Scozia, ma il roboante passivo non può che indurre entrambe a riflettere sul peso stesso della partita.
Se ce n’era una da poter perdere, anche se non così malamente, per Clarke e i suoi era proprio questa, e se non altro i limiti sono usciti talmente presto da far sperare di poter rattoppare ancora la situazione: serviranno un sistema di marcature molto più rapido e attento, una maggiore qualità nella costruzione dal basso e nelle verticalizzazioni, un coinvolgimento attivo e non solo distruttivo del centrocampo, buttando probabilmente subito nella mischia Billy Gilmour, la risorsa più tecnica a disposizione.
Nagelsmann, invece, dovrà accettare di aver messo sul tavolo, giocoforza, già tutte le sue carte offensive, invitando Ungheria e Svizzera a preparare castelli che non siano di carta per imprigionare i suoi trequartisti; non solo, servirà aspettarsi un impegno difensivo ben maggiore man mano che si va avanti, solo dopo il quale probabilmente potremo ricavare il vero status dei padroni di casa.
L’Europeo insomma è appena cominciato, e non c’è tempo né per gloriarsi né per fustigarsi con così largo anticipo.
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