La partecipazione alle coppe europee non è solo una questione di prestigio o identità, ma sempre più una leva economica fondamentale per il bilancio di un club. In questo articolo racconteremo questo aspetto, analizzando le differenze dei guadagni tra Champions, Europa e Conference League, la peculiare distribuzione dei montepremi tra le squadre partecipanti e tutti gli aspetti che ne conseguono.
Gli enormi guadagni della Champions e la differenza con le sorelle minori
Se la Champions League rappresenta il massimo traguardo sportivo e simbolico per qualsiasi società e tifoso, le sue implicazioni finanziarie sono ancora più rilevanti. A rendere questo ancor più rilevante è stata la nuova struttura dei premi UEFA, che ha ampliato ulteriormente la forbice tra chi partecipa alla Coppa dalle Grandi Orecchie e chi ne resta fuori, ma anche tra chi gioca l’Europa “minore” – Europa e Conference League.
Questo grafico di Football Meets Data ci permette di visualizzare in modo chiaro quanto ampio sia il divario economico tra le diverse competizioni UEFA, e all’interno delle competizioni stesse.
Anche senza addentrarci nei numeri specifici, salta subito all’occhio quanto il gap economico tra la Champions League e le altre due competizioni sia profondo, soprattutto se confrontiamo i club meglio piazzati. Il divario tra la squadra che ha guadagnato di più nel nuovo girone unico della Champions e quella con i maggiori guadagni in Europa League è di circa 75 milioni di euro. Tra Europa League e Conference League, invece, la forbice si riduce sensibilmente: la differenza tra i ricavi maggiori delle due competizioni è intorno ai 10/12 milioni.
Il nuovo montepremi UEFA destinato alla Champions League 2024/2025 è pari a circa 2.5 miliardi di euro. Una cifra enorme, se paragonata ai 565 milioni dell’Europa League e ai 285 milioni della Conference League. Anche solo la partecipazione garantisce incassi significativi: l’ultima squadra per ricavi in Champions (Slovan Bratislava) ha ottenuto circa 21.8 milioni di euro, una cifra che supera quella guadagnata da 30 delle 36 squadre che hanno disputato la fase a gironi di Europa League – che però potranno aumentare i loro introiti proseguendo nella competizione.
La peculiare distribuzione dei montepremi
Non tutte le squadre ricevono però la stessa cifra. Nelle competizioni UEFA, solo il 27.5% del montepremi è ripartito egualmente, il resto è diviso in un 37.5% distribuito in base alle prestazioni – punti, vittorie, passaggi del turno – e un 35% assegnato sulla base del ranking storico UEFA e del market pool televisivo. Da questo possiamo dedurre di conseguenza che club più blasonati o provenienti da paesi con mercati più ricchi ricevono molto più degli altri.
Ecco perché la mancata partecipazione alla Champions League pesa più su certi club. Squadre come Juventus, Milan o Inter – forti di ranking UEFA elevati e di un mercato nazionale ricco come quello italiano – ricevono una quota molto più alta rispetto a club con minore peso storico o meno seguito mediatico.
Come riporta questa tabella – ripresa ancora da Football Meets Data – nella stagione attuale, la Juventus ha ottenuto oltre 24 milioni di euro solo dal market pool e dal ranking storico, contro gli 8.5 milioni del Bologna. E questo prima ancora di calcolare le vittorie e i passaggi del turno.
Lo stesso ragionamento si applica anche all’Europa League, ma con un montepremi iniziale parecchio inferiore la differenza economica tra le partecipanti è naturalmente meno marcata. Discorso diverso invece per la Conference, dove le percentuali di distribuzione economica differiscono rispetto a quelle delle sorelle maggiori: il 40% è assegnato in maniera egualitaria, un ulteriore 40% in base ai risultati e il restante 20% attraverso il parametro del ranking e del market pool.
Meglio non fare le coppe, se non si può fare la Champions?
A questo punto, la domanda sorge spontanea: ha senso, per una squadra che ha la certezza di non potersi qualificare in Champions, rinunciare “volontariamente” alla Conference o all’Europa League per avere meno impegni e provare a centrare la massima competizione europea nella stagione successiva?
Le coppe minori, pur garantendo premi sensibilmente inferiori rispetto alla Champions, offrono comunque guadagni significativi per un club. Una stagione dignitosa in Europa League – ampiamente alla portata di tutte le squadre italiane che potrebbero trovarsi a fare questo ragionamento – può portare ricavi tra i 20 e i 30 milioni di euro, con picchi che possono superare i 40 milioni in caso di vittoria finale. Basti pensare alla Roma, che è uscita ai sedicesimi della competizione ma è comunque riuscita ad intascare circa 20 milioni. Per la Conference League, il discorso è più delicato. L’arrivo tra le prime 8 del girone garantisce un incasso compreso tra gli 8 e 12 milioni di euro, che possono arrivare a circa 19-22 milioni totali con l’accesso alla finale. Di questi, però, 7 milioni derivano proprio dalla qualificazione (4 milioni) e dalla vittoria (3 milioni) della finale stessa. Il che implica che solo un percorso perfetto porta a un guadagno economico diretto davvero consistente.
Rinunciare a una competizione europea in nome di un obiettivo futuro è una scommessa: si sacrifica un’entrata sicura per inseguire una possibilità, senza garanzie. E nel calcio moderno, con bilanci da tenere in equilibrio e crescenti esigenze di visibilità, questo rischio può trasformarsi in un boomerang. Il rovescio della medaglia, infatti, è che rinunciare volutamente a queste competizioni non garantisce l’accesso certo alla Champions nella stagione successiva, mentre comporta un danno economico certo, non relativo peraltro al solo montepremi, ma per esempio anche all’indotto dello stadio – rinunciare ai guadagni dati dalla vendita dei biglietti per 5/6/7 partite non è una cosa irrilevante, soprattutto per chi ha uno stadio di proprietà.
Le coppe minori, inoltre, non sono soltanto una fonte diretta di ricavi: aumentano la visibilità del club, migliorano il ranking UEFA – fondamentale per i premi futuri – e offrono minuti europei a giovani e seconde linee, con benefici anche sportivi. Un club che decide “strategicamente” di uscire dalle coppe o di non qualificarsi, rinuncia a tutto questo. Infine, va tenuto presente il contesto competitivo attuale. Con l’introduzione del nuovo format europeo a girone unico e il continuo aumento dei ricavi UEFA, le coppe minori diventeranno via via più remunerative anche per le squadre non di primissima fascia. La strategia di rinunciare oggi rischia di diventare sempre più miope domani.
È dunque difficile stabilire una regola assoluta secondo cui partecipare a una coppa europea sia sempre un bene o sempre un male. Molto dipende dalle ambizioni e dalle intenzioni delle società. Per club ambiziosi ma non ancora stabilmente nei primi quattro posti, come Lazio, Roma, Atalanta, Fiorentina o Bologna, partecipare a una coppa minore è, a conti fatti, molto più vantaggioso che restarne fuori. Per le grandi storiche, il rapporto costi-benefici della Conference League in particolare è sicuramente più discutibile.
Una considerazione finale puramente sportiva, però, merita spazio: in un calcio sempre più aziendalista, siamo sicuri che i tifosi preferiscano davvero il beneficio di un quarto posto ipotetico, piuttosto che vivere le emozioni che offre un cammino europeo?
Leggi anche: Paracadute, davvero conviene retrocedere?