Se la fiamma del dibattito relativo al campionato europeo più prestigioso si è spenta da tempo, a restare viva è quella legata al parametro della competitività. Da un lato la nostra Serie A continua a proporsi come riferimento tattico di élite e di conseguenza come lega più formativa in assoluto soprattutto per la preparazione degli allenatori, dall’altro il valore delle squadre di Premier League – grazie alle risorse economiche infinite e all’apertura mentale e culturale – resta superiore in proporzione in tutte le fasce e impossibile da riscontrare altrove. Sebbene solo il Liverpool si sia proposto nell’ultimo periodo come rottura della monotonia targata Manchester City in cima alla classifica, la ripetitività di alcuni pattern nel corso delle stagioni non ha mai attentato alla fioritura di bellissime storie da raccontare a cadenza regolare, imponendo come sfondo colori e atmosfere anche in questo caso difficili da pareggiare.
Nella stagione 2024/25, oltre alla sempre più interessante conferma del Fulham di Marco Silva e all’ascesa in progressivo monitoraggio del Crystal Palace di Oliver Glasner – fresco di storica vittoria in FA Cup – è arrivato il trionfo in Coppa di Lega per il Newcastle, a distanza di 70 anni dall’ultimo trofeo inglese della sua storia. Un doveroso e meritato riconoscimento per Eddie Howe, raggio di sole nella nebulosa scuola britannica ormai da anni e indirettamente coinvolto anche nel consolidamento di un’altra realtà ricca di contenuti come il Bournemouth, le cui chiavi del prosieguo del percorso iniziato dallo stesso Howe sono state affidate ad uno dei tanti laureati a pieni voti usciti dalla prestigiosa università basca, Andoni Iraola.
Il racconto però più impattante e vertiginoso arriva da una voce in grado di rievocare un passato calcistico glorioso e di sovrapporre l’eco dei tempi che furono alla contemporaneità, partendo dalla città di Nottingham e diffondendosi in tutto il paese.
Il ritorno in Premier League
La stagione che coincide con il ritorno in Premier League è la quattordicesima consecutiva in Championship, nel 2021/2022. Un campionato iniziato in apparenza sotto una cattiva stella – con la squadra in lotta all’interno delle sabbie mobili nelle prime dieci giornate – e completamente ribaltato dall’arrivo in panchina di Steve Cooper. Il tecnico gallese si propone come architetto di una cavalcata impressionante, che si chiude al quarto posto in classifica e apre le danze dell’universo play-off, nel quale vengono superati prima lo Sheffield United ai rigori nel doppio confronto e infine l’Huddersfield a Wembley. In questo modo il Nottingham Forest si unisce alla festa organizzata da due squadre citate proprio in precedenza, il Fulham e il Bournemouth, e corona la promozione in massima serie ben 23 anni dopo l’ultima apparizione.
Ma se conquistare la Premier League è un’impresa, mantenerla, per una squadra neopromossa, lo è forse ancor di più – le ultime sei squadre che hanno conquistato il massimo campionato inglese, sono poi tornate nella serie cadetta l’anno dopo. E il Nottingham prova questa difficoltà sulla propria pelle sia nella stagione 2022/2023 – durante la quale trascorre quasi metà campionato in zona retrocessione – che nella 2023/2024 – nella quale chiude al diciassettesimo posto, l’ultimo utile per mantenere la categoria.
Sognando il Leicester City
La parabola dell’incredibile viaggio del Nottingham Forest 2024/2025 è dunque sorprendente e per certi versi inaspettata, considerando il fatto che ad agosto le premesse erano decisamente ordinarie. Intendiamoci, gli investimenti resi possibili dalle risorse della gestione Marinakis sono stati copiosi, ma l’asticella economica altissima in generale nella bolla inglese e i piazzamenti in classifica allineati alle abbondanti spese non lasciavano presagire un’inversione di tendenza di questa portata.
L’elemento virtuoso che fornisce maggiore credibilità alla storia in questione è l’ampiezza dell’arco temporale che ha accompagnato il Nottingham nelle altissime zone di classifica, poiché era in questo caso invece presumibile immaginare che ad una prima fase a fari accesi avrebbe fatto seguito un calo fisiologico figlio sia del valore assoluto della rosa che del livello globale del campionato.
Il giorno 14 gennaio 2025, invece, i Tricky Trees si presentano con sei vittorie consecutive in campionato allegate nel curriculum allo scontro casalingo contro il nuovo Liverpool di Arne Slot, un match che in quel preciso momento poteva davvero valere la chance di continuare a inseguire il surreale sogno di titolo
Inevitabile per una larga fetta di opinione pubblica e appassionati il richiamo proveniente in quella circostanza dal Leicester di Claudio Ranieri e dalle magiche sensazioni di quel periodo, anche perché la solidità del parallelismo trovava riscontro sia nella sostanza che nella forma. L’aspetto infatti peculiare è legato alle dinamiche di gioco e alle modalità distintive di questo cammino del Nottingham, se non altro nel calcio di oggi.
Se il “padre” di questo racconto è facilmente identificabile in Nuno Espirito Santo, a differenza dell’iconica ciurma di Sir Claudio, sembra molto più arduo in questo caso il compito di trovare almeno un “figlio” sul rettangolo verde in grado di emanare un’aura da futuro calciatore di altissimo livello; mentre quel lontano 2016 contribuì a far entrare in un’altra dimensione N’Golo Kanté e Riyad Mahrez – oltre a consacrare definitivamente il “Working Class Hero” Jamie Vardy –, l’attuale 2025, attingendo alla rosa del Forest, deve sforzarsi un po’ di più per evidenziare qualche profilo che possa imporsi su scala mondiale in squadre di prima fascia.
Al servizio delle idee di Nuno
Partendo dal generale per poi arrivare al particolare e riacciuffando il concetto di forma di cui sopra, i principi di gioco “caserecci” del Nottingham hanno qualche punto di contatto con quelli a suo tempo del Leicester, soprattutto per quanto riguarda l’anima reattiva, la capacità di sfruttare il campo in discesa e attaccare con ripartenze essenziali e micidiali, specialmente dopo aver recuperato il pallone nella propria metà campo. Emblematici in questo senso i dati, che piazzano il Nottingham Forest all’ultimo posto per riconquiste nella metà campo avversaria e sul secondo gradino del podio invece per quelle nel personale terzo difensivo.
La forza della squadra – a tal proposito – si regge prima di tutto sul granitico blocco difensivo rappresentato dalla partnership tra l’ex Fiorentina Nikola Milenković e il roccioso brasiliano classe 2002 Murillo – ormai pronto a proporsi come principale designato del roster ad essere attenzionato da club di caratura superiore. Il terminale offensivo è Chris Wood, attaccante che ha scelto a 33 anni di sfoderare la miglior versione di sé stesso – una sorta di Luca Toni neozelandese –, segnando ben 20 gol. Attorno a lui serpeggia la coppia di centometristi formata da Callum Hudson-Odoi e Anthony Elanga, scarti rispettivamente di Chelsea e Manchester United, coadiuvata dal talento sregolato tra le linee di Morgan Gibbs-White.
I compiti al solito più delicati e meno appariscenti spettano invece ai centrocampisti centrali, con Ryan Yates, Elliot Anderson e l’ex Bologna Nico Domínguez a contendersi i due slot disponibili, mentre sulla corsia di destra un’altra conoscenza del nostro campionato, Ola Aina, ha dato il suo contributo con un ottimo rendimento.
La particolarità del Nottingham Forest dal punto di vista tattico è legata ad un pattern utilizzato sapientemente in tantissime circostanze, con le linee strette volte a ostruire qualunque opzione di passaggio, lo spazio a ridosso della metà campo avversaria svuotato e i quattro giocatori offensivi distanti dal resto dei compagni, pronti ad essere attivati in transizione partendo strategicamente alle spalle dei centrocampisti avversari. Da questo punto di vista, la squadra di Espirito Santo è seconda in Premier League per quantità di intercetti – fondamentali per azionare giocate dirette e andare subito in verticale – quattordicesima per numero di tiri concessi, ma allo stesso tempo terza per indice di pericolosità delle occasioni stesse.
Nelle partite dal coefficiente di difficoltà maggiore o anche solo in determinati momenti degli incontri, le caratteristiche di Wood da unico riferimento davanti si rivelano centrate per far salire la squadra e fornire un minimo di ossigeno alle fasi raccolte di non possesso estremamente prolungato. Il neozelandese è abile nel ripulire i palloni e nel porsi come target principale dei rinvii del portiere Matz Sels, innescando un meccanismo che attiva di conseguenza gli scatti fulminei dei due esterni oltre la linea difensiva rivale. L’eventuale perdita del duello aereo rappresenta in ogni caso un trigger chirurgico, con l’elevata densità creata dai compagni nei pressi della sfera predisposta alla riconquista e all’effetto sorpresa della giocata sempre in avanti.
Il giocatore chiave in fase di possesso è certamente Gibbs-White. L’ex Wolverhampton è il designato principe nel trasformare l’azione da difensiva a offensiva innescando le transizioni del Forest, ma oltre ad essere sempre pronto a incidere tra le linee con filtranti e tiri dalla distanza, si concede in diverse occasioni la licenza di svariare, abbassando il raggio d’azione e dilettandosi in traccianti anche di gittata maggiore verso Elanga e Hudson-Odoi.
Viene solo da chiedersi come sia possibile che al City Ground non abbia mai risuonato – sulle note di Another Day in Paradise di Phil Collins – un coro in suo onore come questo:
«Oh Gibbs-White, ‘cause it’s another day for
you and me in paradise
Oh Gibbs-White, ‘cause it’s another day for
you and me in paradise»
Difficile trovare soluzioni diverse da una petizione con numero di firme sufficiente a risvegliare la fantasia sopita dei tifosi dei Tricky Trees prima che sia troppo tardi.
Sogni ridimensionati, ma pur sempre in notti europee
A inizio aprile, il Nottingham Forest occupava il terzo posto in classifica, era ancora in trepida attesa di sfidare il Manchester City in semifinale di FA Cup – strizzando l’occhio allo scenario di Wembley che avrebbe reso ancor più straordinaria una stagione semplicemente inimmaginabile alla vigilia –, condivideva il primato di clean sheet (13) con il Liverpool poi campione e stazionava in ultima posizione in Premier sia per la percentuale di possesso palla medio che per numero di passaggi per partita.
Lo scenario alla fine dei giochi è invece leggermente diverso, ma non per questo non meritevole di essere evidenziato, visto che gli uomini di Espirito Santo riescono in ogni caso a centrare l’accesso alla successiva Conference League, dopo aver battagliato in lungo e in largo per fette di torta europee più prestigiose con un foltissimo gruppo di squadre fino all’ultima giornata. Il Nottingham ha conquistato una qualificazione europea che mancava da quasi trent’anni, e l’aver assaporato la possibilità di giocare in notti europee ancor più luccicanti non deve sminuire quella che comunque rimane una straordinaria impresa.
Per una lunga serie di motivi, è probabile che già dal prossimo anno si potrebbe andare incontro ad un ridimensionamento dei risultati, ma un racconto come questo, che trova terreno fertile in giro per l’Europa a cadenza regolare con altri esempi, è ovviamente emozionante per noi spettatori che lo assorbiamo, ma anche necessario per chiarire quanto i concetti di gioco debbano essere valutati in termini positivi senza dover fare i conti con l’esame estetico da dover superare a tutti i costi.
Riuscire a scindere il giudizio soggettivo dagli elementi oggettivi è un passo fondamentale per rendere meno tossica la discussione calcistica, perché un conto è amare e/o vivere in funzione di determinati principi di gioco nei quali riconoscere il proprio gusto personale e un altro è bollare automaticamente come non all’altezza tutto ciò che si allontana da essi. La credibilità assume sempre forme differenti e il calcio resta uno sport meraviglioso proprio per la mancanza di un’unica ricetta vincente.
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