Dušan Vlahović

Ma Dušan Vlahović è davvero scarso?

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Roma, 15 maggio 2024, ore 21:04. Andrea Cambiaso riceve un pallone a centrocampo e lancia in verticale per Dušan Vlahović. Il serbo prende in controtempo Hien con un bel movimento e si lancia indisturbato verso la porta dell’Atalanta, apre il piattone destro e manda la sfera alle spalle di Carnesecchi, segnando nuovamente in finale dopo averlo già fatto contro l’Inter due anni prima. Circa due ore dopo arriva il triplice fischio dell’arbitro: la Juventus batte 1-0 l’Atalanta e si aggiudica la quindicesima Coppa Italia della propria storia grazie al centro numero 18 in stagione del suo centravanti, che si aggiudica il premio di MVP della partita e riporta un trofeo a Torino dopo tre anni di digiuno.

Sono passati poco più di quattro mesi dalla finale dell’Olimpico e Dušan Vlahović è tornato nel mirino della critica di media, appassionati e tifosi. Le etichette di sopravvalutato si sprecano, i paragoni con i grandi centravanti bianconeri del passato pure. L’arrivo di un allenatore emergente come Thiago Motta sembrava poter essere la chiave per la consacrazione definitiva del serbo in maglia bianconera, dopo anni di innegabili alti e bassi, ma in queste prime uscite stagionali i segnali sono stati più negativi che positivi. Colpa di Motta o di Vlahović? Parliamo di un potenziale campione o davvero di un giocatore scarso? La realtà oscilla, come sempre, in quella che è la scala cromatica della casacca juventina.


Come ha iniziato la stagione

La stagione 2024/2025 della Juventus inizia con una vittoria casalinga per 3-0 sul Como. Delle tre reti messe a segno dai bianconeri nessuna porta la firma di Vlahović, ma l’ex Fiorentina è protagonista di una buona partita, perfino sfortunata: sfiora il gol su punizione, colpisce due pali, segna una rete annullata per questione di centimetri e permette a Weah di trovare il gol con un velo dopo aver ingannato il centrale comasco con un movimento da attaccante navigato.

La settimana successiva, invece, trova le prime e finora uniche reti messe a segno quest’anno, nel successo per 3-0 in casa del Verona. Prima si incunea nella difesa avversaria, controlla il pallone servitogli da Yildiz e calcia in rete, poi trasforma dal dischetto. In generale, in queste prime uscite stagionali si vede un Vlahović più coinvolto nella manovra della squadra, con più possibilità di andare alla conclusione nel corso della partita e, dunque, più tranquillo. Il ragazzo è sereno, incita i compagni e sa che nel corso della partita avrà più occasioni per poter far male agli avversari.

Da questo momento in poi, però, il giocattolo si rompe. La Juventus fa tre pareggi consecutivi a reti bianche contro Roma, Empoli e Napoli e il primo degli imputati, ed è anche normale che sia così, è proprio Vlahović. In queste partite la Juve di Motta ha avuto molte difficoltà nell’affacciarsi alla porta avversaria: la manovra fluida delle prime partite ha lasciato spazio ad una squadra più slegata tra i reparti con conseguenti difficoltà nello sviluppare gioco e nel servire il proprio attaccante, purtroppo per lui non esente da colpe. Vlahović si isola più del dovuto e quando riceve palla mostra grandi difficoltà nel dialogare con i compagni e nel concludere a rete. Contro la Roma compie una serie di errori importanti dal punto di vista tecnico, specie nelle progressioni palla al piede, e nelle scelte, non servendo un pallone comodo a Conceição per il possibile vantaggio juventino. Contro il Napoli gioca 45 minuti ectoplasmatici, venendo poi sostituito all’intervallo da Weah, non George. In mezzo, la sfida di Empoli in cui la Juventus crea pochissimo ma ha una grande occasione sprecata proprio da Vlahović a tu per tu con il portiere empolese. Un errore da matita blu. C’è inoltre da segnalare la gara di Champions League con il PSV, in cui il serbo si divora almeno un paio di occasioni limpide per segnare, rendendosi però più utile nel gioco di squadra come testimoniano i gol di McKennie e Nico González, servito splendidamente dal serbo.

Insomma, un Vlahović a due facce in queste prime uscite, non certo un segnale incoraggiante da parte di chi è chiamato a dare continuità di rendimento, ma come si spiegano queste difficoltà? Quanto è prematuro parlare di un giocatore involuto? Cerchiamo prima di tutto di capire cosa chiede Motta ai suoi attaccanti e poi, di seguito, quali sono le vere qualità e i limiti del nove della Juventus.


Le richieste di Motta

Partiamo con il presupposto che il Bologna e la Juventus di Thiago Motta sono due squadre completamente diverse per come sono costruite le rose. È dunque chiaro che, mancando degli interpreti con delle determinate caratteristiche specifiche, è impossibile vedere una squadra a immagine e somiglianza di quella felsinea, in primis per le differenze tra i due attaccanti.

Vlahović e Zirkzee sono due giocatori diversi sotto tantissimi punti di vista, persino complementari. L’olandese è un giocatore per palati fini, un esteta del gioco che nel Bologna della scorsa stagione riusciva a fare da collante con il centrocampo, permettendo agli esterni e ai centrocampisti di entrare spesso in area di rigore. Non è un bomber e il gioco non deve essere finalizzato per lui, in quanto è lo stesso Zirkzee a far girare al meglio la squadra. Un regista offensivo con la licenza di far gol.

Vlahović, al contrario, è un finalizzatore fatto e finito. È giusto che venga chiamato in causa più spesso per dialogare con i compagni e non è la prima volta che glielo si chiede se si vanno a vedere, ad esempio, le partite giocate – molto bene – sotto la guida di Vincenzo Italiano a Firenze, in cui scendeva in mezzo al campo per giocare di sponda e allargare per gli esterni, ma non può fare il rifinitore della squadra. Non è nelle sue corde. Vlahović è un finalizzatore, un centravanti che va messo nelle condizioni di far gol mettendo tanti palloni a sua disposizione. Il gioco va finalizzato per lui, non da lui. E questo non è per forza un male. Avere un giocatore in grado di fare entrambe le cose è sicuramente un plus, ma c’è un motivo se di Benzema e di Lewandowski ne nascono pochi: Vlahović deve innanzitutto rendersi utile alla squadra facendo gol, per le modalità dovrà poi essere bravo lo stesso Motta a trovare la soluzione ideale.

Il tecnico bianconero è alla prima esperienza sulla panchina di un top club e dovrà essere bravo sia a dare la propria impronta alla squadra che ad adattarsi ai suoi nuovi giocatori. Vlahović non è Zirkzee così come Bremer non è Calafiori, ma parliamo di giocatori importanti che, con le giuste richieste, possono rivelarsi fondamentali nel suo scacchiere tattico. Secondo molti questo non è possibile perché il serbo non sarebbe tecnicamente adeguato per il modo di giocare dell’italo-brasiliano, se non addirittura per potersi esprimere ad alti livelli, e in questo caso parliamo del più grande equivoco intorno alla figura di Dušan Vlahović: è davvero un giocatore scarso dal punto di vista tecnico?


Limiti e pregi

La risposta alla domanda precedente potrebbe essere un semplice e lapidario «no», ma è giusto fare un’analisi di quelli che sono i pregi e i difetti di un giocatore che, ricordiamo, ha pur sempre 24 anni.

No, Vlahović non è affatto un giocatore scarso tecnicamente e, anzi, dispone di un ottimo sinistro, e basterebbe averlo visto giocare più volte per poterlo affermare con assoluta certezza.

Lo si nota soprattutto guardando molti dei suoi gol realizzati in carriera, a partire dai calci di punizione. Vlahović è uno dei migliori specialisti di questo fondamentale in Italia, un unicum per un centravanti d’area di rigore: con il pallone riesce a disegnare traiettorie potenti e precise che spesso e volentieri sfiorano la traversa prima di depositarsi in rete. A queste, poi, si aggiungono le tante reti di pregevole fattura realizzate tra Fiorentina e Juventus con tiri ad effetto sul secondo palo, staffilate a incrociare e gol di testa difficilissimi per coordinazione e potenza. È difficile ricordare gol “sporchi” da parte sua, e paradossalmente deve migliorare proprio sotto questo aspetto. Vlahović è un giocatore a cui manca quel pizzico di malizia per poter essere una sentenza in area di rigore, che è quello che alla fine gli si chiede. Nonostante questo, i numeri sono comunque dalla sua parte: il serbo ha messo a segno 108 gol in carriera tra Partizan, Fiorentina, Juventus e nazionale serba. È il terzo miglior marcatore tra quelli nati dal 2000 in poi, dietro solo all’impareggiabile Haaland e a Jonathan David – che, a onor del vero, ha segnato la maggior parte dei suoi gol tra il campionato belga e quello francese. In maglia bianconera sono 43 in 107 partite, con una media di circa 0,40 gol a partita, non distante dallo 0,44 di un grandissimo del passato come Gonzalo Higuaín – che è arrivato alla Juve a 28 anni, nel pieno della maturità, in una squadra complessivamente più forte.

Ma allora cosa manca a Dušan Vlahović, un attaccante forte tecnicamente e fisicamente, dal repertorio completo, con fiuto del gol, per potersi imporre definitivamente? La testa, e non è certo un elemento di poco conto. Vlahović deve innanzitutto lavorare su sé stesso, capire che un errore non è la fine del mondo. In questi anni, vedendo una partita della Juventus, è sempre stato facile prevedere nei primi minuti quale sarebbe stato il rendimento del serbo nel corso dell’intera gara: se entra in campo con il piglio giusto farà una partita da trascinatore, indipendentemente dal gol; se invece al minimo errore inizia a lamentarsi e ad abbassare la testa i bianconeri giocheranno con un uomo in meno. Questo è il grande difetto di Dušan: non sa convivere con l’errore.

Reggere la pressione non è semplice a questi livelli, ma sbagliare è un qualcosa di assolutamente naturale con il quale Vlahović non ha ancora saputo fare i conti. Si innervosisce, si demoralizza, esce dal campo con la faccia di uno che non sopporta l’idea di aver deluso gli altri e in primis sé stesso, ma questo non può e non deve dipendere dalla prima piccolezza commessa in partita. Vlahović deve capire, specialmente ora che ha una squadra che gli dà più possibilità di essere servito, che si può rimediare ai propri sbagli nel corso della gara e che non c’è bisogno di tartassarsi psicologicamente ogni volta. Gli attaccanti, anche i migliori, spesso falliscono grandi occasioni da gol, chiedere all’idolo di casa Zlatan Ibrahimović, che nei primi anni di carriera ha dovuto convivere con l’etichetta di bello ma poco efficace.

A dimostrazione di quanto la condizione psicologica abbia impattato sulle sue prestazioni, basta ricordarsi del giocatore appena arrivato a Torino nel 2022, dopo i 20 gol in 24 partite della prima metà di stagione: un ragazzo che brillava di luce propria. Vlahović giocava con serenità e spensieratezza, era un valore aggiunto, segnava gol bellissimi come quelli realizzati agli esordi in campionato e in Champions League. Come può un ragazzo capace di fare queste cose essere scarso? Come può non dare idea di grandezza?

Non è un processo facile, assolutamente, ma necessario se il ragazzo vuole imporsi ad alti livelli e convincere tutti del suo valore. Negli anni l’opinione pubblica si è divisa nettamente tra chi lo ha sempre osteggiato e chi lo ha tutelato, imputando i suoi momenti negativi ad alcune cause esterne come la pubalgia o il modo di giocare del suo precedente allenatore, aspetti che certamente non lo hanno aiutato ad esprimersi con continuità, ma è giusto fare un passo indietro e assumersi le proprie responsabilità. Specie se si ha il talento, e lui ne ha tanto, per poterlo fare.

Dušan Vlahović è un centravanti forte, ma non sappiamo ancora quanto. Deve scoprirlo lui in primis e farci capire se può finalmente diventare un attaccante tanto continuo quanto completo o se vivere di folate intermittenti. Se vuole diventare grande serve la prima versione, ma è bene che cominci fin da subito perché il tempo scorre e le attenuanti, pian piano, iniziano a svanire.

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