partite di Serie A

Altre sette partite allucinanti di Serie A che avete dimenticato

CS Sarcasmo Slider

Una cosa è certa: se vi dicessi che la Serie A ha avuto soltanto sette partite allucinanti che sono finite nel dimenticatoio, sarebbe una bugia. Per questo motivo ho pensato che sarebbe stato assolutamente figo proporvene alt-

Caro il mio Sebastiano Foresti, forse ti stai confondendo con qualche articolo sulle frasi dei telecronisti o sui musical dedicati a disgraziati come Gabigol, ma fino a prova contraria questa sarebbe la MIA rubrica. Ordunque fate finta di niente cari lettori, cominciamo con la serie di sette partite allucinanti di Serie A che avete dimenticato!

OH MA COME TI PERMETTI! ESCI DAL G-DOC E LASCIAMI FARE IL MIO LAVORO!

TUO LAVORO? Caro il mio Giuseppe Minervini, a me non pare di aver letto di nessun marchio registrato su questa rubrica. Anzi, avresti dovuto pensarci prima! Altrimenti uno furbo passa di lì e ti deruba del successo e della gloria scusa. E quello furbo sono io. E chi sono, Kylian Mbappé? Non sono tanto attaccato al denaro, ma è una questione di principio, perbacco.

Sì appunto, per quanto riguarda il principio, la prima parti-

LA PRIMA PARTITA è Inter-Genoa del 2011/2012. Forse la ricorderete perch-

OH STAI ZITTO, L’HO MESSA IO SUL FILE E ORA ME LA FAI RACCONTARE CON CALMA!

Dunque, dicevamo…


Inter-Genoa 5-4 (30ª giornata 2011/2012)

Quando mi immagino l’omino delle copertine dei vecchi Football Manager, con il cappotto lungo, la cravatta del colore della sua squadra e il pugno alzato per esultare, ha sempre la faccia di Andrea Stramaccioni. L’ormai apprezzatissimo opinionista sportivo, nell’aprile del 2012, sedeva per la prima volta sulla panchina dell’Inter dopo aver impressionato in positivo alla guida della Primavera. Condizionamento psicologico, direte voi. Assolutamente sì, vi risponderò io, tutt’oggi completamente convinto che la maggior parte delle mie modernissime paranoie provengano in realtà da traumi dovuti al nerazzurro.

Venendo alla partita, Strama schiera un potente 4-3-3 in cui figurano gli eroi del Triplete + Andrea Poli, Diego Forlán e Mauro Zárate

L’inizio è da «buona la prima», con un tris nerazzurro nel primo tempo che lascia alla partita pochissimo di vivo: prima un colpo di testa di Diego Milito imbeccato da Forlán, poi sempre l’argentino raddoppia approfittando di un erroraccio in chiusura di Kakha Kaladze – sì, proprio lui, il treno dei ricordi ha appena lasciato la stazione – prima del 3-0 di Walter Samuel su assist di Lúcio. Al duplice fischio è già Stramaccioni-mania, anche se il Genoa accorcia con una deviazione di coscia di Emiliano Moretti – basica persona che ha segnato all’Inter due volte in carriera – su una coraggiosa, sbilenchissima rovesciata di Beppe Sculli.

Il secondo tempo è da reparto psichiatrico. Vi si può vedere, nell’ordine: il Genoa che riduce ancora il gap con un rigore trasformato da Rodrigo Palacio, l’Inter che lo allunga con un gol fuori da ogni divina logica di Zárate, il Genoa che lo ririduce con un rigore di Alberto Gilardino, l’Inter che lo riallunga con un rigore di Milito, il Genoa che lo riririduce con un altro rigore di Gilardino. Guest stars: una fantascientifica sostituzione Castellazzi-Zárate dopo l’espulsione di Júlio César in occasione del primo rigore, un ottimo ingresso di Fredy Guarín e otto minuti di Cristóbal Jorquera che cerca la sua posizione in campo. Il risultato più evidente di questa illogica serie di eventi è un video caricato su YouTube tre giorni dopo il match da un certo Salvo con Homer Simpson come propic – che salutiamo e abbracciamo –, che scrive nel titolo: «Inter Genoa 5-4 Stramalaaaaaaaaaaaaaaaa», e forse il bello sta proprio qui.




Bene, vedo che ti sei sfogato quasi quanto il titolista di quel video, quindi se non ti dispiace riprenderei il controllo delle operazioni. Non sempre le partite nel calcio navigano sul torrente impetuoso dell’imprevedibilità, a volte sono semplicemente decise dalla loro nascita. Effettivamente è una cosa abbastanza ovvia, ma mi serviva una premessa per raccontare, SE È COSÌ FACILE FATELO VOI VA BENE?

Scusate, ma quell’altro “autore” mi ha reso nervoso. Ok, torniamo alle partite già decise dalla nascita…

Catania-Lazio 4-0 (11ª giornata 2012/2013)

Al 24′ della seconda frazione, il Pitu Barrientos corre ad abbracciare il Papu Gómez, per ringraziarlo del bell’assist del 4-0 sui biancocelesti. Stop. A questo punto mi sembrerebbe molto azzeccato un fermo immagine del loro abbraccio, accompagnato da quel suono famosissimo che in inglese si chiama record scratch. Parte il voiceover, ad opera di Vladimir Petković, con quella parlata che l’imitatore Gianfranco Butinar ha definito come una mistura di quelle di Papa Francesco, Hodgson e Stanlio, e dice: «Immagino vogliate sapere come io mi sia cacciato in questa situazione…».

Comunque non saprei scimmiottare la parlata dell’allenatore svizzero, perciò proseguo a modo mio. La sua Lazio è partita molto bene, vincendo 6 delle prime 8 partite di Serie A e battendo in ultima istanza il Milan, ma dal gol del 3-0 di Klose ai rossoneri sembra essersi resettata: ha rischiato di farsi rimontare dai ragazzi di Max Allegri, ha perso caoticamente a Firenze e pareggiato all’Olimpico contro il Torino nell’infrasettimanale. Il vispo Catania di Rolando Maran è partito altrettanto bene, con già 12 punti in saccoccia, e si preannuncia un’opposizione dura.

Diciamo che la Lazio la fa sembrare un filo troppo dura, se è vero che al 28′ gli etnei sono sopra 3-0: per prima cosa Gómez trafigge da lontano Albano Bizzarri, che sembra intento soltanto a misurare quanto in alto riesce ad alzare le braccia; segue uno stilistico fallo di gomito di André Dias che procura il rigore trasformato da Ciccio Lodi; chiude colui che ha aperto, con un tiro in caduta salvato troppo tardi da Giuseppe Biava. Piccola nota tamarra: il Papu esulta ballando il Gangnam Style. Imperdonabile.

A partita e a Lazio ormai morte arriviamo a quel gol di Barrientos e, come comanda il cliché comico di cui parlavo prima, il flashback termina e il film comincia davvero. Per i tifosi laziali, la scritta «The end» si staglia comunque su un bel lieto fine: un gol di Lulić al minuto 71.


Ma visto che abbiamo tutta questa cultura in fatto di tecniche registiche, perché non te ne torni a fare del cinema a Hollywood? Magari con qualcosa di più veloce di una Vespa. Così intanto mi lasci il tempo e lo spazio per scrivere altro, tipo di uno scoppiettante Parma-Milan che di dimenticabile ha pochissimo, però chissà chi se lo ricorda più in fondo, siamo solo schiavi della nostra corta memoria, servi della nostra selettività, Marco Parolo, Squid Game.

Parma-Milan 3-2 (9ª giornata 2013/2014)

Ma quante belle partite ci ha regalato il Milan in quel di Parma? Il match del Tardini, nona giornata di una stagione 2013/2014 poco celestiale per i rossoneri, regala spettacolo, orrore e la giusta dose di amarcord. Al di là della discutibilissima efficacia del quartetto difensivo Abate-Zapata-Silvestre-Constant, come ignorare la presenza dall’altro lato della trincea di Antonio Cassano e di Amauri, coadiuvati da un Jonathan Biabiany ancora in erba? E come tralasciare la titolarità della coppia Balotelli-Robinho

Non credo ci siano dubbi: se Max Pezzali fosse nato dopo il 2000, Gli Anni parlerebbe della banter era delle milanesi, ancora più generazionale dei loro momenti di sfavillante gloria.

Bando alle ciance però, comincia lo spettacolo. Marco Parolo apre le danze trafiggendo Gabriel con un bel mancino rasoterra, e Cassano raddoppia sul finire del primo tempo dopo uno strappo impressionante – anche a pensare poi come è finita – di Biabiany, proteggendo la palla e girando in rete in un fazzoletto.

Tuttavia, al 51′, ecco i cambi che svoltano la situazione: Poli e Balotelli lasciano spazio a Ricky Kakà e Alessandro Matri. Dieci minuti dopo proprio Matri, che non ha ancora timbrato il cartellino, sfrutta un pasticciaccio brutto brutto del Parma per infilare Antonio Mirante, e due minuti dopo imbecca con un tacco incredibile Kakà, che si fa murare dal futuro terzo portiere del Milan la sua conclusione. Sugli sviluppi del corner, Zapata colpisce la traversa di testa, ma la respinta favorisce Silvestre, che schiaccia in rete ed esulta con… boh, una L al contrario? Che forse intende il contrario di losers, cioè winners? Dobbiamo vederla dalla sua o dalla nostra prospettiva? È un codice massonico? Cosa volevi comunicare in tribuna, Matìas?

Vabbé, andiamo avanti. Praticamente poi succede un po’ di tutto – Gabriel va a pugni uniti sulla testa di Cassano, originando il Cassano opinionista; Nigel de Jong viene graziato al quadrato, tipo uno condannato a sette ergastoli che esce per buona condotta; Kakà si mangia un altro gol – fino al momento topico. L’ultimo pallone della partita è un calcio di punizione dai 35 metri che Parolo scaraventa verso la porta senza pretese. La barriera, composta da Matri e Walter Birsa, si apre indegnamente. Gabriel buca, psicodramma. Che belle partite in quel di Parma.


Come avete visto, quell’altro che scrive è pure un massone. Non so come pretendiate di fidarvi dei suoi racconti, a questo punto, anche perché credere in un gol di Silvestre equivale a credere agli unicorni. Certo però che stiamo navigando nel peggior torbido che il calcio italiano abbia mai sperimentato, se la prossima partita che mi viene in mente è un’altra imbarazzante prestazione di una big. Ma del resto si sa, tempi duri producono uomini forti, uomini forti producono tempi destini, forti duri tempano uomini… no scusate, sto facendo confusione. Basta indugiare, voliamo in quel di Napoli per rimembrare l’ascesa di alcune stelle in maglia rosanero.

Napoli-Palermo 3-3 (4ª giornata 2014/2015)

Il secondo anno azzurro di Rafa Benítez è in quel momento un disastro. Eliminati dalla Champions League ai preliminari da un vispo Athletic Bilbao, già con 2 sconfitte dopo 3 giornate, il Napoli cerca di rialzare la testa contro il neopromosso ma frizzante Palermo di Beppe Iachini, capace di fermare l’Inter al Barbera pochi giorni prima – e voi mi direte «e che Inter!», ed effettivamente…

Due minuti e Napoli è una città felice: questo Kalidou Koulibaly, un giovinotto franco-senegalese arrivato dal Genk, ha portato i suoi già avanti col primo gol in Italia. Undici minuti e Napoli è una città felicissima: il sostituto della serata di Higuaín, Duván Zapata, ha fatto già 2-0.

Una partita efficace e stabile da cui ripartire e raddrizzare il principio della stagione, quello che immaginano a questo punto i tifosi partenopei, ma c’è poco tempo per pensarlo davvero. Sette minuti dopo un ragazzo del piccolo borgo di Calcinate si iscrive anch’egli nella storia della Serie A, manifestandosi dal nulla su un corner dei siculi: piacere, Andrea Belotti. È la serata delle presentazioni, stavolta con un caracollante trequartista argentino: sei minuti dopo Franco Vázquez azzera lo svantaggio del Palermo. Qualcuno di voi avrà pensato a Dybala ma suvvia, non sono così scontato.

Perlomeno la reazione dei padroni di casa arriva, premiandoli a fine primo tempo: millimetrico lob filtrante di Walter Gargano per José María Callejón, che trafigge Stefano Sorrentino. Ma la fragilità strutturale non si cancella in un primo tempo. Soprattutto contro una squadra che cela un tridente di una qualità inimmaginabile, che spreme tutta fuori dal tubetto per fare il gol, eccezionale, del 3-3 ancora di Belotti.

Cosa lascia in eredità il tutto? A Benítez segnali di ipertrofia professionale, ai tifosi del Palermo ricordi mielati di una squadra di poetica raffinatezza, a noi una partita che tutto sommato perché me la sono scordata.


Se si usano paroloni come “ipertrofia professionale“ significa che si ha qualcosa da vendere, non condividete anche voi amici lettori? Opinione rifiutata, quindi, ed ennesima dimostrazione che questo articolo dovrebbe essere mio e di nessun altro. Non inganni nessuno con il finto romanticismo da Walter Gargano e Franco Vázquez, caro mio, per non parlare poi di quel «non sono così scontato, gne gne gne». La vera fonte, quella da cui chi beve non avrà più sete, sono le partite che, se il calcio fosse letteratura, sarebbero libri di Geronimo Stilton. Ad esempio Carpi-Empoli, stratopica no?

Carpi-Empoli 1-0 (35ª giornata 2015/2016)

Come? Non vi ricordate di Carpi-Empoli? Impossibile. No anzi, vi dirò di più, improponibile. Una partita che sa di vissuto, di vecchia suola di cuoio e di Lasagna insieme lasciata nel dimenticatoio così? Follia. Ora rimediamo.

Tra parentesi, ci avete mai fatto caso che Lorenzo Lollo può essere abbreviato in Lollo Lollo, diventando un superlativo assoluto di sé stesso? Vabbé, dai, dopo.

Il Carpi di Fabrizio Castori lotta per salvarsi, e sembra vicinissimo a ottenere un obiettivo che alla fine non raggiungerà. Ospita in casa un Empoli che è già consapevole matematicamente della sua permanenza in Serie A, ma che non per questo rinuncia a far valere le sue ragioni con un’istantanea gomitata a freddo di Levan Mchedlidze su Marco Crimi, con conseguente rosso diretto. Espulso anche Castori, anche se il motivo, guardando gli highlights, rimane ignoto. Promette benissimo.

Segue l’Empoli all’attacco – alla fine giocare con Mchedlidze è un po’ come giocare senza Mchedlidze, no? – prima con una giocata quasi da Puskás Award di Marcel Büchel – dico quasi perché a) non segna b) abbiamo visto anche di meglio in fondo –, poi con un tiro a giro di Riccardo Saponara. Dopo dieci minuti di secondo tempo, ecco l’uomo tanto atteso. Sugli spalti, negli striscioni, perfino nella coniazione di strani acronimi come KL15, il Messia ha il nome di Kevin Lasagna. Dopo il suo ingresso il Carpi ingrana, prima dando l’occasione a quel fatalista marcio di Jerry Mbakogu di sbagliare il suo classico gol fatto, poi colpendo la traversa con Simone Romagnoli, infine con un altro gol da cineteca negato proprio a Lasagna da un’ottima parata di Alberto Pelagotti – scommetto che vi eravate dimenticati anche di lui. Alla fine, quando l’occasione di allungare sul terzultimo posto sembra ormai sfumata, la Provvidenza prende la forma di Lorenzo Pasciuti e di un suo cross in caduta, che assiste alla perfezione una scomposta, ma precisa demi-volée della nostra pietanza preferita. Delirio Carpi, prima del doppio giallo a Lorenzo Lollo che chiude in gloria una partita lolla lolla che è assurdo non ricordare.


Ottimo, hai dovuto anche riciclare il Carpi di Castori pur di tenermi testa, ti stai onestamente arrampicando sugli specchi pur di buttar lì qualche altra cosa da dire, mi dispiace per te. Ma visto che ti piacciono le piccole e indifese squadre di provincia, parlerò di scaltre e tignose squadre di provincia, regine dello 0-0 e del pisolino post-prandiale. Compagini come quello straordinario animale gialloblù che era il Chievo Verona, che a dire il vero il 20 maggio del 2017 regalò assieme alla Roma uno spettacolo che anche la tanto acclamata Premier League, miss transizioni rapide e campo bruciato, dovrebbe invidiarci.

Chievo-Roma 3-5 (37ª giornata 2016/2017)

Finora abbiamo riso e scherzato, ma è seriamente ingiustificabile trascurare questa partita. Trovatemi, vi sfido, un’altra partita del Chievo in A che si sia conclusa con la bellezza di otto segnature. Che onta dovrà essere, per l’onore di una squadra fondata sulla compattezza, sul minimalismo, su Perparim Hetemaj, ritrovarsi sbattuta in faccia la granitica evidenza di quella carnevalesca partita? Mi dispiace per la rispettabilissima storia clivense, ma questo è giornalismo d’inchiesta, e su questi fatti non si può e non si deve tacere.

Bisogna a onor del vero contestualizzare la partita: è la penultima giornata, il Chievo di Maran è – come sempre – salvo con discreto anticipo, nel magico nirvana che spetta a chi si guadagna il privilegio di giocare partite di alto livello tanto per giocare.

La Roma, al contrario, va praticamente a fuoco: siamo agli ultimi round del match Spalletti-Totti e c’è una corsa forsennata col Napoli per evitare il terzo posto che significa, per l’ultima volta, preliminari di Champions League. C’è bisogno come l’aria di mantenere per altre due giornate quell’unico punticino di vantaggio che permetterebbe anche di festeggiare per bene l’addio del capitano.

Ma al Pata Castro non frega niente degli affanni romani, e fa 1-0 con un tiro di controbalzo che chiude una bella azione verticale che lui stesso aveva avviato. Poco dopo, su un lancio lungo brutalista di Sorrentino, Federico Fazio anticipa il suo marcatore e colpisce verso Edin Džeko. Alessandro Gamberini – che per qualche ragione avevo al Fantacalcio quell’anno – sa che il bosniaco è in fuorigioco di rientro e fa la classica sbracciata del laisser faire, laisser passer, ignaro di uno Stephan El Shaarawy selvatico che gli scatta alle spalle, salta il portiere e fa 1-1.

Il Chievo risponde colpo su colpo, e dopo nove minuti Sir Bobby English alias Roberto Inglese buca Wojciech Szczęsny premiando di testa un gran cross di Birsa. A campione risponde campione, infatti Mohamed Salah riagguanta presto il pari con un sinistro deviato: 2-2.

Nel secondo tempo il richiamo delle sirene di Formentera e Ibiza annebbia i padroni di casa, e la Roma dilaga prima con le doppiette di El Shaa, trovato da un filtrante al bacio di Kevin Strootman, e Salah, che vedere oggi in maglia Roma appare quasi come un’allucinazione, poi con un siluro da fuori di Džeko. L’unico gol non esteticamente compiacente è quello del terzo double di giornata, un tocco sotto sgraziato sul secondo palo di Inglese, a chiusura di questo randomico 3-5.


Ok dai, sono stanco. Tregua? Effettivamente questo conflitto non fa bene all’articolo. Tregua dai.

Comunque devo essere onesto, al di là degli attriti. Non scrivi malaccio. Mi sto già pentendo. Risparmia questa “carinerie” per qualche altro articolista di CeC, e badiamo a portare a casa il lavoro.

Ma dai scusa, provo a stabilire un contatto, a gettare le basi per collab future e tu mi cestini così? Ti credevo diverso. Senti, non sei tu, sono io, ok? Te la cavi bene, oserei dire che sei persino bravino. È stato effettivamente divertente battibeccare tra le pieghe più brutte del nostro calcio.

Potremmo cercare lo schifo anche in Europa la prossima volta, che dici? Vabbé sto andando troppo in là con il pensiero. Come direbbe un famoso regista, portiamo a casa la giornata. Ora ho l’inno dell’Europa League in testa, ma per ora lasciamolo da parte, E DAI DAI DAI!

Crotone-SPAL 2-3 (26ª giornata 2017/2018)

Crotone e SPAL – tutto maiuscolo, mi raccomando, che deve sembrare che urli – sono due delle grandi indiziate per la retrocessione nella stagione 2017/2018. I Pitagorici si sono salvati con una clamorosa rimonta l’anno precedente, mentre i ferraresi sono neopromossi, e presentano una rosa con un’esperienza in Serie A equiparabile a quella di Cassano con l’italiano.

Inseguono a -4 la squadra di Walter Zenga, inspiegabilmente sotto contratto in Serie A – forse per questo mostrato con un sorriso sornione nel prepartita –, che però in quel momento occupa proprio l’ultimo posto utile a salvarsi.

Il primo squillo è ferrarese, ma al contrario. Approfittando dell’eterna validità matematica del teorema di Paletta – in area di rigore esiste solo il caos –, Lazzari intercetta un cross di Barberis causando un evento di antimateria che rischia di far finire il pallone nella sua porta. Meret, da vero eroe, salva i suoi e probabilmente l’intero pianeta da una distruzione praticamente certa.

Il Crotone conferma un miglior avvio nella gara, sfiorando ancora il vantaggio con Andrea Nalini. Credereste che l’autore del bel destro a giro che impegna Meret abbia segnato la bellezza di 2 gol in carriera in A, per giunta nella stessa partita? Effettivamente ha senso, non è da questi particolari che si giudica un giocatore.

La SPAL – SPAAAAAAAL, gridatelo anche voi – rimette fuori la testa con un cross insensato di Kurtić verso Grassi, che però si fa ipnotizzare dalla versione prime di Alex Cordaz, che sicuramente ricorderete per… beh, i capelli portati così a 36 anni.

Capisci che una squadra ha più probabilità di segnare quando dei piccioni ostacolano il lavoro della difesa avversaria. Al 37′ Lazzari si invola sulla fascia e Rolando Mandragora non riesce a raddoppiarlo per un eccesso di rispetto verso i due piumati sul terreno di gioco. Mirko Antenucci compie uno di quei movimenti offensivi con cui probabilmente Haaland si è formato calcisticamente, e in un lampo fulmina il portiere punk del Crotone.

In avvio di secondo tempo però il Crotone pareggia. Martella sale e serve Nalini, che prima di venire demolecolarizzato da Kurtić riesce a trovare un bel corridoio per Benali. Il centrocampista libico gioca addosso a Budimir, che scarica su Barberis. Paratona di Meret, palo, e poi Budimir insacca in una di quelle spaccate che fanno tanta invidia – per la plasticità – e tanto male – per la bruttezza. Ancora da decidere se sia da considerare un gol fantastico o uno di quelli pervenutici direttamente dall’Abisso.

Capita a volte di esultare talmente tanto per un gol che poi si finisce per prendere gol da Šimić. Attenzione, parliamo di Lorenco, non Jan-Carlo, non Stefan, non Roko, non Dario. La confusione sull’identità del difensore croato deve aver turbato anche Cordaz, che in questo caso non è esattamente miracoloso sulla parabola creata dal colpo di testa.

In una giornata così non può mancare lo zampino di Barberis. L’assist del regista calabrese è perfetto: riceve da Grassi e di prima libera Paloschi, che si trova a tu per tu con Cordaz e, senza farsi pregare due volte, lo punisce senza la minima ombra di pietà. L’impressione è che Barberis vorrebbe alzare le braccia soddisfatto pure lui, ma qui in redazione temiamo che si sia accorto con qualche frazione di secondo d’anticipo che Paloschi NON gioca nel Crotone. Probabilmente c’è stato un suggerimento non verbale da Capuano, che guarda Barberis come se gli avesse appena sterminato la famiglia. Insomma, tra alzare le braccia per la gioia e alzare le braccia perché hai combinato un disastro e devi giustificarti passa poco. Excusatio non petita, accusatio manifesta.

Questa guerra proletaria non può però finire dopo un’ora di gioco. Soprattutto non può finire così presto la sfida all’ultimo tiro tra due cannonieri di provincia come Antenucci e Budimir; come direbbe l’Andreotti di Sorrentino: «Questo Dio lo sa, e lo so anch’io». E infatti il buon Ante sfodera uno straordinario tuffo vanpersiano nell’area piccola per riaprire la gara, o forse anche solo per mostrare a tutti la sua immensa potenza. Più probabile la seconda cosa, perché alla fine vince la SPAL 2-3.


Vabbè dai, allora a posto. Portata a casa anche questa. Sì, dai. Bell’articolo, bel ritmo, ci stava. E ti dico anche che alla fine quella roba delle partite europee non è malaccio, sai? 

Eh no sì, sì, ma è da fare infatti secondo me dai. Guarda, ora devo proprio andare che c’è la pasta che scuoce, ma ci teniamo in contatto ok? Sì sì ma tranquillo, devo anche portare nonna a una visita medica, non ti preoccupare guarda, ci sentiamo ci sentiamo.

Perfetto, allora io vado. Ciao! Ciao ciao, buone feste.

Leggi anche: Sette partite allucinanti di Serie A che avete dimenticato