Nonostante la conquista – ai danni del Napoli – della Supercoppa italiana e della Coppa Italia – arrivata dopo aver estromesso dalla competizione i futuri campioni d’Italia dell’Inter e la lanciatissima Atalanta di Gian Piero Gasperini –, il rapporto fra la Juventus e Andrea Pirlo si è interrotto dopo nemmeno un anno dalla sua nascita.
Evidentemente, per una squadra con le ambizioni della Juve, non è sufficiente “salvare la faccia” per definire positivo il bilancio stagionale. A pagarne le spese, oltre a Fabio Paratici, è stato ovviamente il tecnico bianconero, i cui successi, sebbene di importanza non trascurabile per un allenatore alle prime esperienze come lui, non possono giustificare il deludente cammino europeo – concluso per il terzo anno di fila contro un avversario di livello ampiamente inferiore –, la scadente qualità del gioco espresso – intervallata certo da buone prestazioni, soprattutto nel finale di stagione, ma con un’intermittenza tendente vertiginosamente verso il negativo – e il fatto che la Juve ha seriamente rischiato di restare fuori dalle prime quattro posizioni – graziata solo dal suicidio del Napoli, fermato sul pareggio dall’Hellas all’ultima giornata.
La fine di un’era che sembrava infinita
Sebbene fra i traguardi di Andrea Pirlo, per come si erano messe le cose, può essere annoverata anche la qualificazione della Juventus alla Champions League, ha del clamoroso come i bianconeri abbiano prematuramente abbandonato qualsiasi velleità nella corsa scudetto, in realtà presto volata solitaria.
È il 2 maggio, in seguito al pareggio per 1 a 1 tra Atalanta e Sassuolo, quando l’Inter conquista matematicamente il suo diciannovesimo scudetto, distanziandosi definitivamente dalla squadra di Gasperini – la Juve era già fuori dai giochi – e ponendo fine al dominio quasi decennale della Vecchia Signora, che scuce il tricolore dalla sua divisa dopo nove anni.
Sebbene solo i tifosi più esigenti e fanatici non riconoscano l’inevitabilità di un ciclo che si chiude, considerato che il calcio non ci prepara all’attesa del se, ma del quando, sarebbe comunque scorretto non ricercare le motivazioni di quanto accaduto, ovvero perché sia stato proprio quello appena trascorso l’anno in cui la Juventus si è dovuta arrendere a questa eventualità, e soprattutto le ragioni che hanno estromesso la squadra torinese dalla corsa scudetto relativamente presto rispetto alle aspettative.
È innanzitutto doveroso rintracciare come causa principale la crescita non scontata ed esponenziale dell’Inter, che ha reso di fatto molto complesso pensare ad un avversario in grado di contrastarne il cammino, o quantomeno rallentarlo.
Va però detto che questa affermazione non è casuale, ma dipende proprio dalla conferma, nonostante i contrasti della stagione precedente, di Antonio Conte sulla panchina nerazzurra. Una mossa coraggiosa, quasi quanto quella dell’anno prima di porre il tecnico salentino sotto contratto, che ha comportato la possibilità per il club milanese di assestarsi su uno stile di gioco predefinito e ben collaudato.
Mantenendo questa tesi, viceversa, a penalizzare la Juventus è stata in primis la mancata riconferma di Maurizio Sarri, che con tutte le difficoltà e i demeriti che gli si possono imputare, aveva comunque attestato la squadra come campione d’Italia, dando inoltre un’impronta riconoscibile, sebbene a fasi alterne, alla squadra. Basti citare la vittoria per 2 a 0 sull’Inter nel marzo dell’anno scorso, che prima della pausa forzata dall’incedere della pandemia, aveva di fatto chiuso la discussione sulla presunta riduzione del gap fra i due club, grazie a una partita dominata sia in senso tattico, che di qualità individuale. Risulta dunque complesso pensare che l’esonero dell’allenatore toscano sia dipeso esclusivamente dal poco soddisfacente gioco espresso o dalla prematura eliminazione in Champions League, e non, in realtà, da inimicizie e contrasti fra lo stesso e la squadra. Sarri dava l’idea di essere un oggetto estraneo, utile in qualche modo alla causa, ma di cui non ci si vedeva l’ora di liberare; solo che ciò, senza volersi addentrare in inutili indagini su quale delle due parti abbia le responsabilità più determinanti in luogo alla brusca separazione, ha senz’altro penalizzato il club e ridotto le possibilità di riconfermarsi campione d’Italia anche nella stagione successiva.
Era dunque prevedibile che sarebbe stato difficoltoso ricostruire da zero il progetto tattico per la seconda volta in due anni, e la scelta di affidare quest’onere ad un neo-mister con 0 presenze ufficiali da allenatore come Andrea Pirlo non è stata felice, almeno col fattuale senno di poi.
Si è trattata di una scelta romantica quanto azzardata, che a causa di premesse eccessivamente ottimistiche, finisce per divenire tragicomica. La colpa di questa malriposta fiducia nei confronti delle capacità del campione del mondo 2006 sono senza dubbio da attribuire alle maggiori testate giornalistiche sportive del nostro paese, che fuorviate dalle qualità incontestabili del Pirlo giocatore, hanno presunto che questi sarebbe stato in grado di traslare immediatamente quelle stesse geometrie nei suoi uomini.
Andrea Pirlo, ha però, ad onor del vero, forse per genuina presunzione, forse perché legato alle direttive della società – obbligata a mantenere l’immagine di una squadra costruita per vincere –, assecondato questa isteria collettiva, non prendendo le distanze dagli immotivati e quotidiani apprezzamenti precampionato e dai paragoni basati sul nulla con tecnici affermati come Jürgen Klopp, Pep Guardiola e Zinédine Zidane, tra l’altro estremamente diversi persino fra loro.
In sintesi, gran parte della tifoseria, che già aveva negli anni sviluppato l’idea che la superiorità della Juventus fosse eterna e incolmabile, suffragata non solo dalla semplicità con cui i bianconeri hanno mantenuto il loro dominio, ma da come spesso la fine delle ambizioni avversarie sia trascesa nel ridicolo, non si è resa conto della precarietà della situazione, oblata dalla ”arroganza” che essere indiscutibilmente i migliori comporta. Non a caso una delle prime dichiarazioni di Andrea Pirlo riguardò proprio la volontà sua e della società di provare a vincere tutto.
Come ha giocato la Juventus di Pirlo?
Ad onor del vero, durante la stagione non sono mancati sprazzi di buon calcio e partite giocate su livelli più che apprezzabili. Due esempi lampanti sono la vittoria a Barcellona nei gironi di Champions League e quella a San Siro contro il Milan, a metà campionato. In generale, l’inizio di stagione è stato tutto sommato sufficiente, lasciando i tifosi nell’illusione che si trattasse solo di una normale, e neanche troppo disastrosa, fase di assestamento – dopo 19 giornate la Juve si trova a -2 dall’Inter, a fine anno i punti di distanza saranno 13.
Era però già evidente che la presenza di Cristiano Ronaldo fosse decisiva per mantenere la Juventus sopra la soglia di galleggiamento – gli stop contro Crotone, Hellas Verona e Benevento sono tutti segnati dall’assenza del numero 7 –, e nel complesso, la maggior parte delle vittorie della prima metà della stagione, sono dipese per larga parte dalle giocate dei singoli, come quelle di Federico Chiesa, proprio nella trasferta di Milano; ex Fiorentina che risulta tra l’altro una delle poche note positive della stagione.
Viceversa, la partita vinta 2 a 0 in casa con la Roma, è forse l’unica, assieme in parte al ritorno di Coppa Italia contro l’Inter di pochi giorni dopo, in cui si è potuta apprezzare una precisa volontà dell’allenatore, che ha saputo sfruttare le certezze incontrovertibili di questa squadra: la forza della propria difesa e la capacità nervosa di difendere nella propria area.
Per quanto riguarda le ben più numerose criticità, balza subito all’occhio la lentezza del giro palla, che di conseguenza conferisce un ritmo compassato alla manovra juventina, abbassando la qualità delle trame di gioco. I centrocampisti appaiono spesso spaesati e incapaci di spezzare le linee di pressing avversario, finendo per forzare la giocata. A mancare è proprio l’appoggio sugli attaccanti, a causa della distanza fra i reparti. Non è raro vedere Cristiano Ronaldo, Morata o Kulusevski totalmente isolati e dunque fuori dalla partita.
Nella sconfitta in campionato contro l’Inter – una delle peggiori prestazioni della Juventus di Pirlo –, il portoghese ha cercato spesso di venire a prendersi la palla sulla mediana, una delle posizioni di campo da dove incide di meno e che lo spinge a cercare sistematicamente il tiro da fuori. Ronaldo finisce dunque per essere l’ago della bilancia, non solo perché a volte sembra meno ispirato di altre, ma perché, in queste condizioni, la sua decisività è legata all’incapacità dell’avversario di occupare le zone di campo a lui più congeniali. Contro difese ben organizzate, infatti, Cristiano è stato praticamente invisibile e lontano dai compagni.
Gli esterni sono stati di contro un fattore decisivo in positivo, come tutta la difesa, almeno dal punto di vista individuale. Il giocatore sul quale Pirlo ha lavorato meglio è senz’altro Danilo, che, schierato nel suo ruolo ibrido di terzino destro/centrale destro di difesa, ha sempre dato ampiamente il suo contributo alla squadra, sia in fase difensiva che offensiva, risultando essere un giocatore totalmente rigenerato rispetto a quello della stagione precedente. Juan Cuadrado ha fornito ai compagni diciassette assist, ed è quasi sempre comparso fra i migliori in campo. Allo stesso modo, il già citato Chiesa, non ha mai fatto mancare il suo impegno e il suo apporto alla manovra. Tuttavia, troppo di frequente, le difese avversarie sono riuscite, semplicemente utilizzando, a specchio, come schermo, i propri laterali, a isolarlo, proprio a causa della distanza fra il 22 bianconero e i centrocampisti.
Anche se di idee se ne sono viste davvero poche, forse sarebbe stato più congeniale darvi forma attraverso giocatori più adatti a quel tipo di filosofia calcistica, e in questo ha delle colpe anche la società. Come detto in precedenza, un eccesso di genuina arroganza, ha reso cieco lo stesso Pirlo riguardo le esigenze tattiche di un 3-5-2 – il modulo che più spesso la Juventus ha utilizzato in fase di possesso palla –, che probabilmente neanche contemplava. Dati i risultati disastrosi è quasi impossibile capire se sia ritrovato a dover adattare la rosa al modulo, o viceversa.
Presumendo che quanto proposto sia conforme alla volontà di Andrea Pirlo, rispetto ad esempio all’Inter di Conte, nella Juventus manca innanzitutto un Marcelo Brozović, ovvero un regista atipico, in grado di garantire anche fisicità e interdizione, in una zona chiave per questo sistema. Rodrigo Bentancur è apparso molto diverso dal promettente centrocampista uruguagio ammirato nelle scorse stagioni: lento, impreciso e sicuramente inadatto alla regia. In poche parole, il vero problema della Juve di quest’anno è il centrocampo.
Né Adrien Rabiot, né Arthur – forse il più grande fallimento di Pirlo a livello individuale –, né compagni, sono stati capaci di prendere in mano la squadra, dettandone i ritmi ed eludendo le linee di pressing avversarie. Anche chi non ha quasi mai deluso individualmente, come Weston McKennie, non ha potuto nulla contro la pochezza di questa disposizione.
Un ruolo importante ha avuto anche l’assenza perpetua di Paulo Dybala, uno dei fattori più decisivi nelle vittorie degli anni scorsi. L’argentino avrebbe garantito la presenza di un regista offensivo, fondamentale per legare il gioco e fornire uno scarico meno prevedibile ai centrocampisti.
In altre parole, la Juventus non è quasi mai riuscita a dare respiro alla manovra. A prova di ciò, quando questo è stato invece possibile, la qualità dei suoi giocatori offensivi si è dispiegata senza possibilità d’appello per gli avversari.
Nella seconda parte di stagione soprattutto, Pirlo, tra scelte tecniche e obbligate, ha spesso schierato la Juventus senza nessun regista in nessun reparto, tenendo dunque fuori Leonardo Bonucci dalla difesa, Arthur dal centrocampo e Dybala dall’attacco. In particolare, nella gara che ha rischiato di essere definitiva contro il Milan, persa 3-0 e senza ammissione di repliche dai bianconeri, sono emerse tutte le difficoltà e le carenze che queste scelte hanno comportato.
Il futuro di Andrea Pirlo
Nonostante quello che ottimisticamente ha più volte dichiarato l’allenatore bresciano, è inutile nasconderlo, l’esperienza alla Juventus di Andrea Pirlo è stata senz’alto negativa. È vero che nel posto dopo «vincere è l’unica cosa che conta» ha comunque portato due trofei, ma questo è un tappeto che non basta per coprire la polvere dettata dal fallimento europeo e dal serio rischio di portare la squadra campione d’Italia da 9 anni fuori dalla Champions, un bagno di sangue scampato per un solo punto e più per colpe di altri che per meriti tuoi.
Questo, nell’epoca in cui per tirare una sentenza bastano un paio di partite, potrebbe rischiare di compromettere l’appena iniziata carriera d’allenatore di Pirlo, al quale però vanno riconosciute delle attenuanti.
Fare bene al primissimo anno da allenatore non è assolutamente semplice, è con il lavoro negli anni che un mister riesce ad applicare concretamente quello che concettualmente vorrebbe vedere nelle proprie squadre. Ovviamente c’è chi ci riesce prima, chi dopo, chi mai, ma è innegabile che l’esperienza e la continuità siano degli elementi imprescindibili per alimentare le idee, buone o meno, di un allenatore.
Tutto questo, per altro, è stato amplificato da vari fattori non trascurabili nel caso di Pirlo. Quello più evidente è che ha iniziato la sua carriera di allenatore sulla panchina della squadra che vinceva da 9 anni di fila, con una pressione enorme sulle spalle e pochissimo margine di errore – e per un novellino del mestiere sbagliare è fisiologico. A questo aggiungiamoci che lo ha fatto senza aver avuto a disposizione una preparazione pre-campionato – a causa della pandemia che aveva posticipato le competizione della stagione precedente –, e con una rosa che, nonostante le innegabili qualità, era palesemente costruita male – e infatti, a fine stagione, ha salutato anche Paratici.
Tutto questo per dire che, nonostante la stagione negativa della Juventus – che trova i principali responsabili nella società, non nell’allenatore –, il futuro di Pirlo non deve assolutamente essere segnato da questa esperienza. Quello che il bresciano ha mostrato, per tutti i motivi precedentemente elencati, non può bastare per dare un giudizio definitivo sulle sue capacità, come la maggior parte hanno già fatto – e non solo gli appassionati, gli stessi giornali che lo hanno innalzato a Maestro sono stati i primi a parlare di esonero e a criticarlo aspramente.
Andrea Pirlo era chiaramente il profilo sbagliato sul quale puntare se l’obiettivo bianconero era quello di vincere tutto e di avere garanzie immediate di buon rendimento sul campo, ma il futuro del campione del mondo è tutto da scrivere, e starà a lui quindi determinare, con il lavoro e i risultati, se quello visto alla Juventus è davvero il massimo che può dare in questo nuovo mestiere o se si è semplicemente trovato nel posto giusto al momento sbagliato.
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