Ramsey

Aaron Ramsey, diamante fragile

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Fin dalle sue prime partite da professionista Aaron Ramsey ha dimostrato di essere un giocatore dalla visione di calcio superiore, che, dopo essere caduto molte volte, ha dovuto lottare contro sé stesso e contro un fisico che non hai mai permesso di esprimere cotanto talento con sufficiente continuità.



La sua storia non inizia subito con il pallone ma va a toccare altri universi, sempre vicini al mondo anglosassone, come quelli del rugby e dell’atletica leggera, nei quali da bambino si destreggia anche con discreto successo prima nei dintorni di Caerphilly – distretto meridionale del Galles dove nasce il 26 dicembre 1990 – e successivamente nella più blasonata Cardiff.

Questi sport vengono definitivamente messi da parte quando Ramsey non ha ancora raggiunto i dieci anni di età, e in particolare quando viene notato da alcuni scout del Cardiff City – la principale squadra di calcio dell’intero Galles – durante un torneo giovanile. L’ingresso nell’Academy del club è cosa fatta da lì a poco: il ragazzo matura e inizia a capire in maniera definitiva che il pallone deve irreversibilmente entrare a far parte della sua vita.

A capirlo non è solo lui ma anche tutto il club gallese, che lo fa esordire in prima squadra all’età di sedici anni, facendolo diventare il più giovane calciatore nell’intera storia dei Bluebirds a mettere piede in un campo di gioco. Pochi mesi più tardi arriva il primo contratto da professionista, accompagnato dal primo gol messo a segno in una partita di FA Cup, torneo che in futuro gli darà grandi soddisfazioni e che in quella stagione in particolare lo vede protagonista assieme al suo Cardiff fino alla finale persa contro il Portsmouth, grazie a un gol di Nwankwo Kanu.




Quella sconfitta è il trampolino di lancio per Ramsey, che grazie a una serie di prestazioni di livello si fa notare dalle big della Premier: è il Manchester United a bussare per primo alle porte del Cardiff, spinto dal suo tecnico Alex Ferguson che si innamora a prima vista del ragazzo. Malgrado l’iniziale pressione del padre, tifosissimo da sempre dei Red Devils, non se ne fa nulla e il giovane si trasferisce all’Arsenal, guidato da Wenger, il quale – come raccontato dallo stesso Ramsey – lo mandò a prendere con il suo jet privato assieme alla famiglia per un personale incontro nella sua residenza in Svizzera.

Sentitosi parte pienamente del progetto Gunners, Ramsey, per una cifra vicina ai cinque milioni di sterline, lascia Cardiff per abbracciare il primo grande club della sua carriera. Agli ordini di Wenger viene plasmato nel tuttocampista box to box, come amano chiamarli gli inglesi: sa sia recuperare il pallone che effettuare l’ultimo passaggio davanti. Abilissimo negli inserimenti e con un gran tiro dalla distanza, Ramsey nei suoi anni a Londra è cresciuto tatticamente oltre che tecnicamente, dimostrando una visione di gioco sopraffina e una duttilità che ha impressionato da sempre gli addetti ai lavori.

Il primo gol con l’Arsenal lo mette a segno pochi mesi dopo il suo arrivo, in Champions League, nei gironi di qualificazione contro il Fenerbahçe, abbattendo un altro record personale e iscrivendosi tra i più giovani marcatori di sempre della competizione. Il suo livello di gioco si alza di partita in partita e i tifosi sono sempre più entusiasti di lui, così come il suo tecnico.

Nel frattempo arriva anche il debutto in nazionale maggiore con la maglia del Galles, con la quale aveva già fatto tutta la trafila delle giovanili. Il suo percorso con i Dreigiau lo porterà a diventare il più giovane di sempre ad indossare la fascia di capitano del suo Paese.

Nell’annata successiva al suo arrivo a Londra, però, un brutto infortunio rimediato al Britannia Stadium in uno Stoke City-Arsenal, per uno scellerato intervento di Shawcross, gli provoca la doppia frattura di tibia e perone, ponendo fine anzitempo alla sua stagione e mettendo a serio rischio anche la sua giovane carriera. A schierarsi a difesa del suo talento è proprio l’Arsenal, che prontamente rinnova il contratto del gallese, prima ancora che i tempi di recupero sul suo ritorno fossero stati comunicati dallo staff medico.

Nella prima parte della stagione seguente all’infortunio, la decisione della squadra è quella di mandarlo in prestito per alcuni mesi in Championship, per far ritrovare al giocatore le giuste sensazioni e per riaverlo al massimo della condizione in un campionato fisico e massacrante come la Premier. Prima al Nottingham Forest e poi in un romantico ritorno nella sua Cardiff per un prestito mensile, Ramsey intuisce che la paura è passata e il calvario comincia a essere alle spalle.



Saranno finalmente i successi a condire la sua carriera dopo il suo ritorno a Londra, con molti momenti gloriosi come le tre FA Cup vinte, con due finali decise proprio dai suoi gol – contro l’Hull City nel 2014 segna la rete della definitiva rimonta ai supplementari, mentre contro il Chelsea nel 2017 il gol decisivo lo mette a segno a dieci minuti dal triplice fischio. A queste si aggiungono due Community Shield e una finale di prestigio come quella di Europa League – persa contro il Chelsea di Sarri – che non ha però potuto giocare a causa di un ennesimo grave infortunio.

Nello stesso periodo, con la maglia della Nazionale gallese, raggiunge il punto più alto della loro storia con un incredibile terzo posto agli Europei di Francia 2016 – alla prima storica partecipazione –, giocati con la maglia numero dieci sulla schiena.

Oltre ad arricchire il palmarès e giocare con gente che in campo parlava la sua stessa lingua – Cesc Fàbregas, Santi Cazorla e Mesut Özil, per citarne qualcuno –, nei suoi anni tra le fila dell’Arsenal, Ramsey ha preso consapevolezza dei suoi mezzi, che se non fosse per qualche infortunio di troppo che molto spesso lo ha allontanato dal pallone, lo avrebbero di certo portato a un livello ancora più alto e a qualche riconoscenza maggiore, che comunque ha ottenuto da grandi del calcio.

«Quando è in forma è il miglior centrocampista offensivo di tutta la Premier League»

Steven Gerrard

Probabilmente, c’è molto di questo nelle lacrime che accompagnano il suo addio ai Gunners quel 5 maggio 2019 in un Emirates tutto in piedi per salutare il suo centrocampista, arrivato come un ragazzo acerbo e uscito come un giocatore formato, più forte anche della malasorte che da sempre lo ha accompagnato.




Dopo aver lasciato l’Inghilterra, si è aperta un’altra era per Ramsey, in una realtà completamente diversa come quella della Juventus. L’avventura del gallese non inizia di certo nel migliore dei modi dalle parti di Torino, condizionata, come racconta il suo passato, dai continui problemi fisici. Con un mese di ritardo rispetto ai compagni, Ramsey fa il suo esordio con i colori bianconeri al Wanda Metropolitano, nel 2-2 che apre il cammino europeo 2019/2020 degli uomini di Sarri contro l’Atlético Madrid. Una sorta di ingresso simbolico – nei tre minuti finali del match – per mettersi alle spalle la sfortunata partenza.

Pochi giorni dopo, allo Stadium arriva il Verona e finalmente Ramsey parte dal primo minuto, schierato da mezz’ala sinistra nel 4-3-3 del tecnico toscano. L’ex Arsenal ha chiaramente il compito di accompagnare la manovra offensiva e di impreziosire la trequarti con la sua qualità. Proprio in quella posizione mette a segno la prima rete in maglia Juventus. Una conclusione dal limite – nata da un tunnel di Cristiano Ronaldo al diretto marcatore – deviata da Günter e che si dirige dritta all’angolino, divenendo imprendibile per Silvestri.

Con il passaggio al 4-3-1-2 le sue prestazioni crescono di partita in partita, proporzionalmente alla continuità in fatto di presenze sul terreno di gioco. Complice qualche altro stop durante la stagione, però, la lucentezza delle giocate viste in maglia Gunners è di un colore sbiadito e non ben marchiato all’ombra dello Stadium. Anche per la non semplicissima situazione dovuta alla pandemia, si contano sulle dita di una mano le serate da ricordare per Ramsey nella sua prima annata bianconera, una fra tutte il Derby d’Italia contro l’Inter nel marzo 2019, disputato nel deserto dell’impianto torinese. Quella notte il gallese è – assieme a Dybala – il migliore in campo, e con un gol e un assist tra le linee per il dieci argentino, conduce al successo i compagni, in una gara che si rivelerà fondamentale per il titolo.

L’arrivo in panchina di Andrea Pirlo non cambia le idee del club su Ramsey, che viene riconfermato. Il 4-4-2 mutaforma del debuttante tecnico bresciano sembra poter essere congeniale al ragazzo, il gallese è perfettamente a suo agio nel ricucire centrocampo e attacco o rifinire i palloni che arrivano tra le linee partendo dall’esterno. Anche questa volta, però, non sono mancati i giorni in infermeria – Ramsey è andato KO a causa di problemi muscolari per circa un mese –, che gli impediscono di trovare una continuità fisica e conseguentemente di rendimento.

Quello che il giocatore ci ha detto nel corso della sua carriera e quello che potrà dirci in futuro è estremamente limitato dagli infortuni, perché se è vero che il suo talento rappresenta un diamante, la sua condizione fisica, al contrario, è da sempre alla base della Scala di Mohs.

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