regista calcio

Ode al regista

Analisi AR Slider

Velocemente viaggia su onde cerebrali diverse dal normale. Figura mitologica a cui, in barba al temibile Idra a più teste, viene attribuito il possesso di bulbi oculari posizionati anche a livello del cervelletto. Gioca differente chi ha la capacità di avere chiara la situazione osservando dalle retrovie ventuno uomini in calzoncini, che sgomitano come barbari per il possesso della palla. Se il calcio fosse giocato con le mani, alla stregua del Gaelic Football, il regista giocherebbe con i guanti bianchi color neve, per preservare le dita ed esaltare l’eleganza delle sue movenze.

Proprio come neve danza sui pendii scoscesi delle tibie avversarie, tracciando con occhi e piedi, l’epilogo naturale del calcio: l’estasi. Se questo non basta ad identificare il ruolo più iconico del calcio, ci si limiti a pensare come senza una guida, qualsiasi gruppo socialmente identificatosi come tale, corra il rischio di sfaldarsi in una miriade di modi di pensare diversi. Per anni i popoli barbari soccomberono contro l’organizzazione dei grandi strateghi romani di turno. Senza la visione coordinata di Leonida, probabilmente, alle Termopili non sarebbe andata in scena una delle più importanti resistenze militari della storia. Ancora, senza Nelson Mandela, anche oggi a Cape Town, persone dal colore della pelle diverso, siederebbero come minimo in posti separati.

Se esiste una sceneggiatura che riesce a far filare liscia come l’olio una rappresentazione teatrale o un film, se è possibile avere la capacità di leggere in anticipo, di accendere la scintilla in piena notte, se è vero che un uomo può da solo guidarne altri dieci su un campo da calcio, allora è vero che esiste ed esisterà ancora il regista.



Il regista è semplicemente colui da cui tutto nasce. Non è attore protagonista, non sfoggia muscoli o capacità espressive particolari, ma si pone al di sopra di tutto e di tutti. Il suo compito è coordinare le operazioni, prevederle e pensarle prima ancora che esse vengano fisicamente immaginate da altri esseri umani: un iperuranio dello sport.

Il calcio, senza cercare di cadere nella blasfemia da tastiera, è una religione, e come tale va declinato a seconda delle latitudini prese in considerazione. Volante, enganche, mediano e play sono solo alcuni dei tanti nomi con cui il regista si iscrive all’anagrafe del fùtbol; una cosa certa è che il concetto di regista non può essere rinchiuso in nomenclature standardizzate.

Non lo si può nemmeno fare con un ruolo, perché il regista è una divinità che legittima la sua natura umana attraverso i compiti che svolge: interdire, organizzare la manovra, distribuire i palloni. In poche parole, il suo compito è far ragionare la squadra nelle due diverse fasi di gioco. Si può essere «Heroes just for one day», oppure essere registi in zone non per forza centrali del campo, non esistono solo i Pirlo. Pensare a Camoranesi, regista sugli esterni, al servizio della velocità e della squadra non è una bestemmia da taverna. Mauro è stato un precursore del regista decentrato alla Dybala, che si sgancia per alleggerire la pressione avversaria e trovare spazi vitali da dove inventare. Un regista può anche essere Bonucci, difensore centrale, con licenza di inventare come nei migliori James Bond.

Al di là dei ruoli, bisogna dare degli spunti sulla mission del regista in un calcio cangiante. Un gioco moderno, basato su muscoli e aggressione alta, non può prescindere da chi ha le capacità di ragionare ed eludere il pressing selvaggio, da chi ha la visione di vivere negli spazi vitali quando questi non si palesano. La figura del regista e del trequartista, alle volte, si fondono nella narrazione epica del calcio sudamericano, oppure sbiadiscono nell’evoluzione del calcio europeo.

L’utilizzo spregiudicato del 4-2-3-1 dei primi dieci anni del Duemila, ha trasformato il centrocampista in mediano e rifinitore allo stesso momento, aprendosi all’occorrenza per far spazio al dieci o ripiegando tra i centrali difensivi alla De Rossi. Se esiste chi può fare a meno del regista, inteso come ruolo e non come compito, c’è anche chi nel suo 4-3-3 non può prescindere dal pivote basso alla Jorginho e alla Pjanić, oppure alla Busquets. Si capisce quanto, oltre gli epiteti e i numeri, l’importanza di uomini capaci di far decantare il gioco, come un buon vino invecchiato, sia fondamentale.

Una missione, quella del regista, che non si esaurisce mai e perdura lungo tutta la vita calcistica, eludendo vecchiaia e fisiologico declino.

Negli ultimi versi di ‘Ode alla vita‘, scritta dall’estatica penna di Martha Medeiros, c’è la prescrizione letteralmente medica per ritrovare sé stessi, per evitare di morire lentamente: «Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità». Su un campo di calcio c’è chi respira, chi fa legna e suda per portare a casa un attimo di gloria. C’è però, soprattutto, chi pensa, e a pensare mentre si vive ci si impiega il doppio delle energie. La levigazione del gioco, fra trame aracnoidi e pennellate di colore, è frutto dell’ardente pazienza medeirossiana volta a cercare la felicità. Un monito a resistere contro il logorio del tempo e la miopia umana.

Ricorda a noi tutti, o Regista, di utilizzare il cervello per sentirci meno umani e un po’ più simili agli dei.

Leggi anche: L’evoluzione del numero dieci