giocatori allenatori

Venti giocatori di Serie A con un futuro da allenatore

Analisi AR Slider

Siamo ormai preparati e istruiti ad aspettarci tutto e il contrario di tutto, con la soglia dell’incredulità che si è notevolmente alzata nel corso degli ultimi anni. Dall’abbonamento all’impassibilità verso la quale la realtà contemporanea continua imperterrita a guidarci, passando per la rivoluzione del concetto stesso di multitasking, che ci impedisce di assaporare l’essenza delle singole cose – anche le più banali e soprattutto quelle che si danno sempre per scontate – fino ad arrivare alla sovrapposizione quasi totale del mondo virtuale a quello reale, e con essa la sensazione di essere spesso all’interno di un videogioco.

Attenendoci all’ambito calcistico, il manifesto in questo senso del periodo contemporaneo è sicuramente Football Manager, il cui universo ha attraversato un processo sia di assorbimento minuzioso dei dettami del calcio giocato che di influenza vera e propria nei confronti di quest’ultimo, nell’economia di uno scambio di “regole” molto meno sbilanciato di quanto si potesse immaginare inizialmente. Il suo sguardo sul futuro – più credibile rispetto alle altre due istituzioni, PES e FIFA, ha consentito all’incommensurabile fetta di appassionati di archiviare stagioni a ripetizione e di tracciare parabole temporali profondissime al ritmo di uno schiocco di dita, accumulando informazioni preziose sulle potenziali traiettorie delle carriere dei singoli giocatori e prefigurando scenari del panorama calcistico tanto bizzarri quanto affascinanti.

Ma è nel momento in cui anche nel mondo tangibile i calciatori abituati ad allietarci sul rettangolo verde abbracciano la prospettiva della panchina in maniera automatica che la nostra percezione subisce uno scossone, permettendoci di realizzare che le lancette dell’orologio scorrono purtroppo a velocità supersonica anche nel nostro quotidiano e non solo nella tanto cara bolla videoludica sempre pronta a fungere da rifugio.

Per quanto sarebbe straordinario immaginare di poter davvero rispondere all’esigenza tanto provvidenziale quanto terapeutica di mettere in pausa il corso degli eventi per riattribuire un peso sempre più friabile alle nostre parole e alle nostre azioni e riflettere sulla direzione verso cui stiamo andando, l’atto provocatorio di questo pezzo consiste invece nell’andare avanti ancora più veloce, utilizzando un telecomando simile a quello con cui Adam Sandler si illudeva di rivoluzionare in positivo la propria vita, senza però in questo caso correre alcun tipo di rischio.

Prendendo in esame ciascuna delle squadre del nostro campionato, quale sarebbe il giocatore di riferimento di ognuna con più possibilità di diventare un grande allenatore? Non sappiamo che anno sia, una parte di noi vorrebbe affacciarsi alla finestra per vedere se le macchine finalmente volano o se sul campo che emerge in lontananza si stanno affrontando già 22 androidi e non più 22 esseri umani, ma all’ultimo momento desistiamo perché preferiamo rimanere ancorati alla nostra missione.

Il tasto è stato premuto, per fortuna possiamo tornare indietro quando vogliamo, ma nonostante questo… chi c’è c’è, chi non c’è non c’è.


ATALANTA

Marten de Roon

Tra i principali simboli di un maestoso ciclo appena concluso, il più significativo e impattante della storia dell’Atalanta. Non solo tessera essenziale del puzzle di Gasperini sul rettangolo verde, ma con il passare degli anni anche uomo designato a fare le veci in maniera naturale delle idee del tecnico, evidenziandosi come vera e propria ramificazione dei suoi dettami grazie alla combinazione di carisma e duttilità. La scelta tanto coraggiosa quanto conservativa di proclamare Ivan Jurić come successore ha spiazzato l’opinione pubblica, e il funerale anticipato alla sua prossima gestione è meno scontato di quanto possa sembrare – sebbene la capacità unica di creare valore ricambiando costantemente elementi anche preziosi della rosa propria del tocco da Re Mida di Gasp non potrà mai essere la stessa –, ma se le cose dovessero davvero non andare bene l’olandese potrebbe rivelarsi una soluzione interna estremamente affascinante già nel futuro prossimo. Oltre al bagaglio di conoscenze tecnico-tattiche, la sua apertura mentale e profonda sensibilità si proporrebbero come ultimi e cruciali colori della tavolozza volti a realizzare un ritratto molto credibile da allenatore. La scuola del nuovo tecnico della Roma continuerà imperterrita a formare allievi.

Modello di riferimento: Gian Piero Gasperini


BOLOGNA

Remo Freuler

L’impatto rivoluzionario di Gian Piero Gasperini nel nostro calcio non lo scopriamo di certo oggi, ma nemmeno il tempo di cominciare e ci troviamo subito di fronte al secondo strike del tecnico di Grugliasco. Se Marten de Roon è stato il motore e il cuore dell’Atalanta ammirata in questi anni, il centrocampista svizzero ha svolto il ruolo di cervello, leader e caricatore silenzioso della batteria in mezzo al campo, sfoggiando un acume tattico strepitoso e tra i più sottovalutati del periodo contemporaneo circoscritto al nostro paese. La miscelazione di importanza cruciale, intelligenza e lettura incredibile del gioco genera automaticamente l’identikit del calciatore già allenatore in campo con gli scarpini. Il fatto che anche ora sia uno dei pochissimi elementi imprescindibili all’interno del meccanismo fluido di rotazioni di Vincenzo Italiano chiude del tutto il discorso sul suo indiscutibile valore.

L’influenza del Gasp è stata talmente duratura e significativa che risulta molto difficile da un lato immaginare che il futuro scritto in giacca e cravatta di Freuler possa allontanarsi dai suoi princìpi, ma a differenza del compagno di merende olandese il sentiero intrapreso potrebbe abbracciare un calcio più posizionale e cerebrale, avente come riferimento la zona e non l’uomo.

Modello di riferimento: Luciano Spalletti


CAGLIARI

Nicolas Viola (licenza poetica)

Avete ragione, tecnicamente non dovrebbe valere perché uno degli ultimi trequartisti associabili al calcio del primo decennio del Duemila ha rescisso il proprio contratto con il Cagliari proprio al termine di questa stagione. Questo però avrebbe significato lasciare che la laurea conseguita nel 2023 in psicologia, con tesi sul ruolo dell’empatia nello sviluppo socio-emotivo, passasse colpevolmente in secondo piano. E sarebbe stato come commettere un delitto imperfetto. La gestione delle risorse umane – prima ancora che tecniche – unita alla preziosissima capacità di fare breccia nel cuore dei propri giocatori trovando la chiave giusta per ogni specifica serratura è un tema delicato e sempre centrale. Un gioiello simile nel curriculum meriterebbe di aprire di diritto le porte di qualunque posizione rilevante nella società, figurarsi quella di allenatore. Le caratteristiche da giocatore sovrasistemico, libero di inventare e figlio di un’era in cui gli spazi erano meno congestionati e il ritmo meno forsennato suggeriscono una fonte di ispirazione precisa, soprattutto se abbinate alla sfera dell’intelligenza emotiva.

Modello di riferimento: Carlo Ancelotti

Sebastiano Luperto

Le regole vanno rispettate anche e soprattutto se siamo state noi a stabilirle. Una delle colonne portanti del Cagliari di questa stagione, onnipresente nella sua solidità. Se godi della fortuna di poter imparare da un professore come Raúl Albiol a stretto contatto, anche solo durante la settimana, predisponi la tua mente al mestiere di allenatore. Un anno di partnership con Yerry Mina in partite ufficiali ti regala poi consigli preziosi dal punto di vista della leadership. Attenzione maniacale ai movimenti del reparto difensivo.

Modello di riferimento: Marco Giampaolo


COMO

Lucas Da Cunha

Una delle tante regole non scritte nel calcio prevede che nell’arco di una carriera possa rivelarsi decisivo l’incontro con l’allenatore giusto nel momento giusto. Quando incroci il tuo sentiero con quello di una figura ideale e illuminata in grado di indirizzare in positivo o addirittura di stravolgere la traiettoria futura del tuo percorso, sei chiamato a sfruttare l’occasione e a cuocere a fuoco lento la fortuna che ti ha trovato, nel rispetto di coloro a cui invece questa cosa non è capitata e non capiterà.

Lucas Da Cunha fino allo scorso anno sapeva di essere un esterno offensivo, abile in progressione e nell’uno contro uno. Difficilmente avrebbe immaginato di ritrovarsi nel cuore del gioco e centrocampista centrale alla sua prima stagione in Serie A dopo la promozione, eppure la visione di Cesc Fàbregas, sollecitata dagli infortuni continui di Perrone e soprattutto Sergi Roberto, è riuscita in tempi record a manifestarsi nella sua testa, convincendo a tutti gli effetti il tecnico spagnolo a lavorare splendidamente sulla tattica individuale e a fornirgli gli strumenti per aumentare la comprensione del gioco in una posizione così delicata.

Alla luce dei suoi 24 anni, la strada del francese con il pallone tra i piedi in teoria è ancora chilometrica per proiettarci a quello che verrà dopo, ma un’evoluzione simile sul campo presenta i connotati tipici dello switch di carriera quando arriverà il momento, dal punto di vista di ciò che ha contribuito a sviluppare in lui la forma mentis dell’allenatore. E magari il tantissimo tempo che ancora dovrà passare consentirà allo status del suo maestro in panchina di avvicinarsi quanto più possibile a quello di diverse altre fonti di ispirazioni menzionate.

Modello di riferimento: Cesc Fàbregas


CREMONESE

Charles Pickel

Quarto anno consecutivo in procinto di iniziare da punto fermo del centrocampo e altro potenziale allenatore svizzero della nostra lista dopo Remo Freuler. Le estati delle neopromosse sono sempre difficili da decifrare in ottica mercato, possono ondeggiare tra puro immobilismo per overdose di riconoscenza nei confronti del gruppo che ha centrato l’obiettivo e tumultuosi lavori in corso in base alle risorse effettive a disposizione. Il prestito secco o con diritto di riscatto sarà molto probabilmente la formula padrona, ma se la guida e la grinta di Pickel rimarranno centrali anche nella prossima stagione non è del tutto utopico immaginarlo legato con un nodo ancora più stretto alla società che sta rappresentando in questo momento. Non siete convinti al 100%? Provate allora a mettervi nei panni di un membro qualunque dello staff della Cremonese e a entrare ogni mattina nel centro sportivo salutando con l’appellativo di “mister” un calciatore al giorno; entrerete in una sorta di loop temporale come il grande Bill Murray in Ricomincio da capo svegliandovi sempre con lo stesso bollettino meteo in radio fino a quando non incrocerete lo sguardo del numero 6 grigiorosso. «Mister Pickel» suona talmente bene da trasmettere vibes da cartone animato della tua infanzia che non riesci purtroppo a reperire su nessuna piattaforma.

Modello di riferimento: Vladimir Petković


FIORENTINA

Robin Gosens

L’ennesimo pretoriano dell’esercito gasperiniano con lo smoking già pronto nell’armadio da sfoggiare alle serate di gala a Coverciano. Cogliere lo spessore infinito e la rara sensibilità dell’esterno tedesco è un’impresa alla portata di tutti: basta recuperare qualche intervista per avere la certezza di trovarsi di fronte a una persona speciale, da proteggere a tutti i costi, nonché spiraglio di luce per tutti coloro che faticano a trovare riferimenti sani e positivi all’interno del nebuloso ambiente che ci circonda. Non solo Robin Gosens sembra essere nato per fare l’allenatore, ma sarebbe anche un potenziale tecnico da augurare al singolo giocatore pronto a spiccare il volo e a scoprire qualcosa in più su sé stesso. La combinazione tra la delicatezza dei temi affrontati e la saggezza con cui vengono trasmessi produce un effetto molto potente nei confronti dell’interlocutore, che nelle vesti specifiche di ragazzo, uomo e poi calciatore nello spogliatoio può solo arricchirsi dal punto di vista personale, trovando terreno fertile per trasformare la propria fiamma interna in incendio. Chi posiziona la salute mentale al di sopra di tutto il resto merita sempre una considerazione in grassetto. Terzo strike con il volto di Gian Piero Gasperini in copertina da un lato, connazionalità e umanità che dall’altro tracciano invece un ulteriore profilo.

Modelli di riferimento: Gian Piero Gasperini dal punto di vista tattico / Jürgen Klopp per la gestione delle risorse umane


GENOA

Morten Thorsby

L’ascesa estremamente interessante e costante del calcio scandinavo negli ultimi anni ha prodotto ottimi risultati sia con le squadre di club che attraverso la produzione di giocatori automaticamente in grado di alzare il livello delle Nazionali. Nativo di Oslo è a questo proposito Morten Thorsby, l’uomo designato invece a dare una scossa alla scuola degli allenatori della regione nel prossimo futuro. Dal profondo significato relativo alla scelta del numero 2 sulla maglia, per battere forte il tasto del numero effettivo dei gradi di aumento della temperatura media terrestre e della crisi climatica, fino ad arrivare alla fondazione di un organizzazione no-profit con il nobile scopo mai scontato di sensibilizzare sulla tutela dell’ambiente, il centrocampista dalle radici piantate nella Genova calcistica del nostro paese sembra avere i connotati di quello che gli addetti ai lavori più bravi definirebbero “physique du rôle”. Con la sua mentalità aperta può proporsi come modello e attecchire anche subito nelle vesti di Commissario Tecnico, indicando una via credibile e provando a dare un ordine più convincente al talento a disposizione. Gli effetti invece del lavoro quotidiano risentirebbero degli influssi del nostro calcio, senza però andare a impensierire la matrice principale, ovvero il gegenpressing.

Modello di riferimento: Jürgen Klopp


INTER

Henrikh Mkhit… Lautaro Martínez

La carriera del professore armeno parlerebbe da sola e sarebbe splendidamente esaustiva. Parabola tipica del giocatore totale – universale nell’interpretazione di qualsivoglia compito in campo dal cerchio di centrocampo in su – riassunta dalla più o meno libera alternanza tra stagioni ad alto contenuto realizzativo e altre in cui la comprensione differente del gioco è arrivata ad occupare una posizione gerarchicamente superiore. L’arretramento del proprio raggio d’azione in una fase della sua esperienza a Roma, con José Mourinho, si è rivelato un assist pregevole per Simone Inzaghi, che nel periodo successivo all’Inter gli ha cucito addosso un vestito tattico di importanza tale da generare un legame quasi indissolubile tra i due.

Tutto quadra, direte a questo punto voi, le caselle sembrano perfettamente incastrate. Eppure un angolo leggermente polveroso sembra essere riluttante al motore dell’aspirapolvere: la gestione della comunicazione. Avendo come parametro quest’ultima stagione e il suo tanto infelice quanto “ingiocabile” scivolone, la verità è che probabilmente Henrikh Mkhitaryan sarebbe un grande, anzi un grandissimo allenatore… se non esistessero le interviste. Se in pratica gli venisse concessa la licenza di svincolarsi dall’obbligo di parlare alla stampa prima e dopo le partite. Certo, si potrebbe in realtà provare a selezionare accuratamente i momenti della stagione più delicati per chiamare in causa il vice di riferimento, ma nel computo totale i problemi generati dalle dichiarazioni sbagliate sarebbero superiori alle soluzioni per risolverli, con alcune toppe che sarebbero anche peggio dei buchi. Sebbene abbia indicato in Jürgen Klopp una delle figure più importanti della sua vita calcistica, la sua idea di calcio potrebbe avere un’impronta più catalana.

I punti accumulati dal capitano argentino nell’ultima fetta di stagione sono stati enormi, e si aggiungerebbero alla ricetta che prevedeva già la capacità di occupare saggiamente gli spazi sul rettangolo verde, legando il gioco e direzionando con un effetto a cascata i movimenti dei suoi compagni all’interno del peculiare sistema di Simone Inzaghi. Ricorderete sicuramente il furioso litigio con l’allenatore nerazzurro precedente, dopo una sostituzione, eppure le doti naturali di sanguigno trascinatore e leader carismatico troverebbero forse proprio con lui l’accostamento più credibile. Aver sbloccato finalmente anche la categoria degli attaccanti in questo nostro gioco ci rende più tranquilli, ma – in questo caso – a voi la scelta.

Modello di riferimento di Mkhitaryan: Pep Guardiola

Modello di riferimento di Lautaro: Antonio Conte



JUVENTUS

Mattia Perin

Ci sono quei videogiochi in cui attraverso l’accumulo di una quantità di punti e/o il superamento di  determinate missioni si riescono di volta in volta a sbloccare nuovi personaggi. Dopo aver svelato l’identità che si celava dietro la figura nera con il lucchetto appartenente alla categoria degli attaccanti, ci viene data la possibilità in rapida successione di scoprire anche quella con i guantoni.

Generalmente si tende a pensare che quando un professionista si adagia in un contesto a lui favorevole sotto diversi punti di vista accettando con consapevolezza e un pizzico di passività un ruolo inferiore rispetto alle sue reali capacità ha paura di abbandonare la comfort zone e mettere alla prova le proprie certezze. Non è questo il caso di Mattia Perin, che sebbene avrebbe meritato di essere protagonista tra i pali nel corso degli ultimi anni per rendere onore al suo valore, è arrivato a ritagliarsi nel tempo un ruolo di leader estremamente credibile nello spogliatoio juventino, bypassando il fatto di non essere in cima alla piramide dei portieri del club bianconero. Il sentiero personale imbeccato dall’estremo difensore nell’arco della sua carriera ha visto l’esuberanza tipicamente giovanile fare spazio pian piano ad una significativa e profonda maturità, resa nota dalla capacità di destreggiarsi tra tantissime fondamentali tematiche con la saggezza e la sensibilità di chi muore dalla voglia di stimolare gli altri senza però ergersi a maestro di vita spicciolo.

Da un lato lo immaginiamo in grado di adattarsi al materiale tecnico a disposizione e a trovare il vestito adatto in base alle caratteristiche dei giocatori in onore del Massimiliano Allegri dei tempi d’oro che furono, dall’altro invece i numerosi spunti tratti dalle sue parole ci indirizzano verso una strada completamente diversa, almeno per quanto riguarda la tipologia di guida che potrebbe rappresentare per la sua squadra. Per Mattia Perin la vittoria non è il trofeo fisico che viene sollevato, bensì il cambiamento che avviene dentro di te, decisivo poi per il risultato finale; per Mattia Perin nelle scuole bisognerebbe introdurre l’educazione emotiva come materia, con l’obiettivo di spingere i ragazzi ad analizzare ciò che provano, ad accogliere quelle stesse sensazioni evitando di respingerle e a sviluppare l’empatia mettendosi nei panni degli altri; per Mattia Perin non ha senso organizzare il lavoro quotidiano tra campo e palestra pensando solo ai muscoli se poi trascuri l’organo più importante, il cervello.

Sarebbe una figura di enorme supporto per Silvio Baldini – da poco nominato nuovo tecnico della Nazionale Under-21 –, con cui stabilirebbe una connessione forte per via della comune componente spirituale e delle tante passioni al di fuori del rettangolo verde. Un giocatore che non sa solo di calcio e che quindi sa di calcio.

Modello di riferimento: Marcelo Bielsa



LAZIO

Elseid Hysaj

Carriera da giocatore vissuta praticamente in simbiosi con un tecnico ritrovato di nuovo quest’estate, che ha probabilmente rivoluzionato il concetto stesso di “fedelissimo”, sovrapponendo quasi del tutto il proprio percorso al suo, senza mai porsi il minimo dubbio sulla continuità del suo impiego effettivo. Due rette che si intersecano in questo modo e per così tanto tempo sono destinate a non lasciarsi mai, nemmeno quando il chiodo reclamerà con insistenza gli scarpini pronti ad essere rispolverati ancora una volta in vista della prossima stagione. I presidenti che sonderanno il profilo di Elseid Hysaj come allenatore sapranno già di dover investire una consistente parte del budget in droni, perché le sedute tattiche con la corda ad allineare i quattro difensori per farli pensare con una sola testa non si fanno di certo da sole. In più, avendo come parametro di valutazione la breve esperienza da CT della propria nazionale e la qualificazione sfiorata alla fase a eliminazione diretta degli Europei nonostante la vittoria contro la Germania nel primo turno del girone, si rifiuteranno categoricamente di chiedere all’intelligenza artificiale se stanno prendendo o meno la decisione giusta.

Modello di riferimento: Maurizio Sarri


LECCE

Joan González (licenza poetica)

Immaginare cosa possa significare per un atleta perdere l’idoneità all’attività agonistica praticamente da un giorno all’altro è un’impresa emotivamente troppo pesante nella quale immergersi. Per Joan González probabilmente il tempo si è fermato per un attimo nell’estate 2024, quando ha dovuto fare i conti ad appena 23 anni con una realtà del genere e si è trovato costretto a ritirarsi dopo tre stagioni da professionista. Le regole attraverso cui la vita sceglie di regalarti e di toglierti sono indecifrabili e molto più vicine alla dimensione irrazionale, pertanto l’unico modo per evitare che drammatici bivi del genere si trasformino in pericolosi vicoli ciechi è aprirsi alla necessità di reinventarsi dopo essersi liberati del peso enorme del mondo, nel frattempo crollato addosso. L’ex centrocampista spagnolo ha già espresso la volontà di intraprendere un percorso di studi in economia, ma forse ancora non sa che Saverio Sticchi Damiani e Pantaleo Corvino hanno già preparato il suo contratto da allenatore per una stagione non ancora definita, qualunque sarà la situazione generale del club e la divisione di riferimento. Raccontate questa storia già adesso al bar con gli amici se volete, nessuno rimarrà deluso se non dovesse purtroppo concretizzarsi.

Modello di riferimento: Luis Enrique


Federico Baschirotto

Pensavate volessimo svicolare anche stavolta, invece – come sempre – verticalizziamo. Capitano e leader assoluto degli ultimi anni del Lecce dal momento della promozione in Serie A. Carisma e disciplina sempre al servizio dei tanti giovani della rosa, senza praticamente mai saltare un minuto in queste tre stagioni. Il fisico tra bodyguard e bodybuilder sfonda anche il concetto di etica del lavoro e strizza l’occhio alle preparazioni a secco massacranti figlie di un calcio di un’altra epoca, quella in cui Zdeněk Zeman dettava legge e seminava paura con il suo esercito di gradoni e ripetute di mille metri. Il piano di lavoro di Baschirotto non lascerebbe spazio a compromessi, si manifesterebbe tramite un imprinting militaresco e le scene iconiche del sergente maggiore Hartman di Full Metal Jacket ad accompagnare le sedute – spesso doppie – di allenamento dei suoi giocatori. Salverà tantissime squadre dalla retrocessione e pretenderà a un certo punto, giustamente, di alzare l’asticella.

Modello di riferimento: Antonio Conte


MILAN

Matteo Gabbia

Se Gian Piero Gasperini è l’allenatore più nominato di questo pezzo in relazione all’importanza che ha avuto per diversi profili selezionati in precedenza, al secondo posto potrebbe esserci Raúl Albiol, ovvero quel giocatore ormai nella fase di intermezzo tra l’imminente fine di una carriera e l’inizio di un’altra. Dando per scontato che il grande professore spagnolo abbia davvero intenzione di avvicinarsi ad un mestiere cucito su misura e perfettamente naturale per la sua sapienza tattica, sottolineiamo anche in questa circostanza quanto la sua influenza sia stata determinante per coloro che hanno potuto imparare da lui sia durante la settimana che nelle partite ufficiali.

La breve parentesi al Villarreal ci ha restituito infatti un Matteo Gabbia cresciuto e più maturo nell’interpretazione del ruolo, quasi come se fosse stato appena intercettato e non avvolto però completamente dall’aura di Albiol. L’”investitura” ufficiale – se vogliamo – arriva precisamente il 14 dicembre 2023, quando non molto tempo prima di essere richiamato alla base viene accidentalmente colpito con una ginocchiata proprio dal compagno di reparto spagnolo nei minuti finali del match di Europa League contro il Rennes. In quel momento, un frammento dell’intelligenza di Raúl Albiol si aggrappò alla prima cosa vivente che riuscì a trovare e toccare, Gabbia stesso. Il bagaglio arricchito di conoscenze sta già aiutando il centrale del Milan nel prosieguo del suo cammino da calciatore e potrebbe tranquillamente indirizzarlo verso un percorso da allenatore, nel segno dei movimenti all’unisono della linea difensiva a ridosso del centrocampo e dei colori rossoneri.

Modello di riferimento: Arrigo Sacchi


NAPOLI

Giovanni Simeone

Quanto avremmo effettivamente scommesso sulla carriera di allenatore da parte di diversi grandi attaccanti delle vecchie generazioni? Se pensiamo a Roberto Mancini, Vincenzo Montella, al caso emblematico dei fratelli Inzaghi, ma anche a Palladino e Gilardino, probabilmente molto poco per la maggior parte di loro. Questo ci restituisce l’idea di quanto anche i ragionamenti ponderati, con le varie tessere del puzzle al posto giusto, possano fare i conti con la dinamica dell’imponderabile, aprendo scenari che difficilmente avremmo immaginato al posto di ciò che ritenevamo più probabile per varie ragioni. Per un figlio d’arte che ha da pochissimo messo le mani per la prima volta sul volante in solitaria come Davide Ancelotti, ce n’è un altro che con qualche anno di ritardo avrebbe le carte in regola per emularlo, senza in questo caso però il lusso della collaborazione diretta in panchina a mo’ di gavetta. Il sangue del Cholo scorre inesorabilmente in quello del Cholito, e per quanto sarà parecchio improbabile avvicinarsi allo status del proprio padre/mentore, è verosimile pensare che il DNA Simeone sia in grado di preannunciare la prosecuzione della tradizione.

Modello di riferimento: Diego Pablo Simeone


PARMA

Hernani

La prima edizione ufficiale del Mondiale per Club esteso ci ha fornito un quadro più dettagliato del solito sul calcio sudamericano, in particolar modo quello brasiliano, le cui rappresentanti hanno ben figurato contro i colossi europei non solo beneficiando di una freschezza atletica differente, ma anche grazie ad una preparazione tattica non scontata e figlia di un movimento che continuerà di questo passo a guadagnarsi sempre più rispetto da parte degli esponenti del nostro continente. L’occasione ha fatto in questo caso l’appassionato ladro, nel senso che la saturazione ormai opprimente a cui siamo abituati durante la stagione regolare ci ha spinto soprattutto ad aguzzare la vista sui singoli giocatori fuori dalla nostra giurisdizione – come per esempio Richard Ríos, Martinelli, Hércules e Jhon Arias –, lasciando un po’ meno spazio alla concentrazione assidua sulle dinamiche che riempiono invece regolarmente le nostre settimane. Volgendo lo sguardo dal campo alla panchina, Tite in primis e poi l’argentino Marcelo Gallardo e Fernando Diniz hanno tracciato un solco, invitando per il momento l’ex terzino sinistro dell’Atlético Madrid Filipe Luís a percorrerlo in maniera molto interessante alla guida del Flamengo.

La percezione comune relativa a Hernani è un po’ inferiore rispetto al suo reale valore, tenendo conto delle noie fisiche che soprattutto in quest’ultima stagione non gli hanno lasciato pace. La combinazione di qualità tecnica e conoscenza del gioco hanno sempre reso automatica in condizioni normali la sua importanza all’interno delle squadre in cui ha militato. Che siate pronti o meno alla cavalcata sulla panchina del suo Athletico Paranaense, con tanto di cappellino da golfista in testa, nell’edizione 2033 del Mondiale per Club, non è importante, ciò che conta è sfruttare il tempo a disposizione per prepararsi.

Modello di riferimento: Tite


PISA

Antonio Caracciolo

Pronto, a 35 anni da poco compiuti, a sfoggiare la fascia di capitano in massima serie con la maglia del Pisa, dopo la storica promozione a distanza di 34 primavere. La differenza di un numero apparentemente di poco conto ci suggerisce invece che Antonio Caracciolo è nato proprio nel preciso momento in cui la società nerazzurra ha fatto registrare l’ultimo passaggio – prima di questa stagione – dalla B alla A. Considerare questo dato una mera coincidenza è un esercizio di cinismo magari non totalmente privo di fondamento, ma che non abbiamo la voglia di eseguire. Nessuno meglio di lui, seppur con un minutaggio da valutare, può proporsi come principale riferimento all’interno dello spogliatoio nonché prezioso consigliere e messaggero in divisa di Gilardino, nell’economia di un campionato che si preannuncia estremamente difficile. La somiglianza molto vaga con Cristian Stellini è l’indizio davvero cruciale per un inizio di carriera da vice che rischia di trasformarsi in una bolla senza una vera svolta e via di uscita. La sintesi tra sangue sardo e legame con la Toscana genera dal cruciverba la parola “equilibrio”, quella che più si addice al suo approccio con il nuovo mestiere.

Modello di riferimento: Massimiliano Allegri


ROMA

Gianluca Mancini

Tra i diversi allenatori con cui ha lavorato, colui che è riuscito a modulare con maggior successo la sua foga agonistica è stato l’ultimo in ordine di tempo, ovvero Claudio Ranieri. Chi nasce tondo però non muore quadrato, e chiedere a Gianluca Mancini di manifestare la propria leadership senza l’ausilio della provocazione e dell’incollatura all’uomo di riferimento equivarrebbe a ritenere possibile che Donald Trump smetta di ignorare le cause e gli effetti del cambiamento climatico: al confine tra l’impossibile e l’inverosimile. Vivrebbe la fase di passaggio dai tacchetti alla lavagnetta senza troppi patemi, attribuendo in percentuale un’importanza maggiore all’aspetto motivazionale rispetto a quello tecnico-tattico contemporaneo. Sanzioni disciplinari a cadenza regolare, quasi come se fossero figlie di una pianificazione certosina. La seconda lingua dello spogliatoio, a prescindere dalle principali nazionalità degli elementi della rosa, sarebbe sicuramente il portoghese.

Modello di riferimento: José Mourinho


SASSUOLO

Domenico Berardi

Legame oltre il concetto di indissolubile con il club, reso se possibile ancora più forte dopo aver ritrovato la luce alla fine di un tunnel che aveva messo a dura prova il senso dell’orientamento. Una delle tante meraviglie dei cicli di vita del mondo animale è il percorso dall’infanzia all’età adulta, che varia spesso in base alla specie di riferimento per quanto riguarda l’attaccamento alla famiglia originaria. Nel caso specifico di Domenico Berardi, la provincia di Cosenza che gli ha dato i natali ha incrociato molto presto l’Emilia Romagna: una semplice visita al fratello Francesco, studente fuori sede a Modena, assume i connotati della svolta magica e definitiva, quando durante una partitella tra amici viene individuato dall’allora allenatore in seconda degli allievi del Sassuolo, il quale procede con l’inchiostro indelebile a scrivere l’incipit della sua storia professionale in maglia neroverde.

A distanza di ben quindici anni da quel lontano 2010, il cordone ombelicale calcistico di quel giovane ragazzo calabrese è ancora ben lontano dall’essere tagliato. In un periodo in cui si tende a cambiare squadra alla stessa velocità con cui si scrolla sui social media, la bandiera innalzata da Berardi al Mapei Stadium gli consentirà di tenere seminari sull’attaccamento alla maglia e sul senso di appartenenza alla famiglia. Quella stessa famiglia che non riuscirà ad abbandonare neanche quando la società gli chiederà di guidare il Sassuolo dalla panchina e non più dal rettangolo (nero)verde, nel segno di un rapporto simbiotico destinato a durare per l’eternità. La qualità del suo mancino non può che strizzare l’occhio a principi di gioco esteticamente appaganti, allineati a quelli di un altro fantasista di piede sinistro che ora allena all’estero.

Modello di riferimento: Roberto De Zerbi


TORINO

Ardian Ismajli

La scelta da parte del Torino di presentare il nuovo arrivato Ismajli con diverse immagini che lo ritraevano fare il gesto dell’aquila dell’Albania è stata tanto significativa quanto particolare, vista la presenza in rosa almeno fino a pochi giorni fa di ben due calciatori serbi e alla luce del rapporto burrascoso tra questi ultimi e proprio gli albanesi. Se la cessione quasi in simultanea di colui che avrebbe dovuto aprire una linea di comunicazione diretta e cruciale con l’ex difensore dell’Empoli, ovvero il portiere Vanja Milinković-Savić, sia stata una semplice coincidenza non ci è dato saperlo, fatto sta che il ventottenne di origini kosovare – ironia della sorte – dovrà ora stabilire una connessione con il sostituto del fratello di Sergej tra i pali, che risponde al nome di Franco Israel. Quando la geopolitica incontra la stand-up comedy.

Uno dei migliori centrali della scorsa stagione per rendimento, sembra rispondere all’identikit di quei profili che un po’ rimangono ingiustamente all’ombra delle considerazioni e un po’ si impongono a tutti gli effetti in ritardo sulla tabella di marcia, fermo restando che ognuno ha i suoi tempi di fioritura. Applicazione maniacale nell’interpretazione del ruolo → capacità di cavalcare l’onda della partita dall’inizio alla fine, senza mai perdere la concentrazione → testa da allenatore. Magari non di tante parole, ma dal vocabolario diretto e incisivo, che arriva senza fronzoli. La squadra a sua immagine e somiglianza? Solida e rocciosa.

Modello di riferimento: Fabio Capello


UDINESE

Sandi Lovrić

Nato in Austria da famiglia di origine croata e legame molto stretto con la Slovenia, decisivo per la scelta di rappresentare proprio la nazionale slovena. Lingue parlate: inglese, tedesco, croato, sloveno e italiano. Vertice basso ma anche mezzala di inserimento, posizione e attacco dello spazio. Aura da futuro allenatore equilibrato e di buon senso, bravo ad ascoltare i suoi giocatori e a trovare di conseguenza il canale comunicativo giusto per far sì che il messaggio arrivi in modo efficace e senza l’ausilio di traduzioni forzate. Normalizzatore leggero e dribblatore di polemiche futili e riflettori, Sandi Lovrić si approccerebbe al mestiere indicando l’elasticità come primo punto all’ordine del giorno sulla lavagna tattica, dichiarando di non credere in un sistema in particolare se non quello migliore per il materiale di volta in volta a disposizione.

Modello di riferimento: Claudio Ranieri


VERONA

Nicolás Valentini

L’ultima squadra in ordine alfabetico del nostro campionato è anche la prima e unica che ci manda davvero in difficoltà nell’individuazione del profilo giusto, a testimonianza di quanto questo emozionante viaggio nel tempo debba concludersi obbligatoriamente in maniera originale e con un minimo di turbolenza. La scelta sarebbe con molti meno dubbi ricaduta probabilmente su Ondrej Duda, ma visto che lo slovacco ha avuto la brillante idea di cedere alla corte dell’Al-Ettifaq nel bel mezzo di questa nostra avventura, viriamo su Nicolás Valentini, ovvero colui che sarà chiamato a tenere alta l’asticella dell’agonismo in campo e aiutare Paolo Zanetti nel tentativo di dare ancora una volta una direzione chiara ad un gruppo variegato di giocatori molto giovani e al limite della massima categoria. Ripetere l’impresa sarà difficile, ma il rinnovo del prestito dalla Fiorentina del classe 2001 può rivelarsi un’ottima mossa, passata forse un po’ troppo in sordina.

Gli inizi da centrocampista, l’arretramento del suo raggio d’azione, il mancino educato in fase di uscita, ma soprattutto il ruolo cruciale nell’interruzione del silenzio assordante tra Juan Román Riquelme e Martín Palermo in occasione del passaggio sempre in prestito dal Boca Juniors – squadra di cui Riquelme era vicepresidente – all’Aldosivi – di cui Palermo all’epoca era l’allenatore – gli conferiscono un’aura distintiva, se non potentissima. Un argentino che si avvicina al mestiere di allenatore avrà inevitabilmente una fonte di ispirazione al di sopra di tutte le altre.

Modello di riferimento: Marcelo Bielsa


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