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Il calcio prima dei rigori

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L’impressione che si ha, analizzando le scelte di chi in passato ha governato il calcio, è che si facesse di tutto per evitare che una partita si decidesse ai rigori – in particolare Joseph Blatter, presidente della FIFA dall’8 giugno 1998 al 21 dicembre 2015, ha più volte dichiarato apertamente di non apprezzarli. Nelle partite che prevedono l’eliminazione diretta di una delle due squadre, se la gara finisce in parità, oggi solitamente si va prima ai tempi supplementari, ovvero si aggiungono trenta minuti – ed eventuale recupero – ai già novanta giocati; ma non è sempre stato così, basti pensare alla regola dei gol in trasferta – valida dall’annata 1965/1966 alla recentissima 2020/2021 –, o a regole come il golden goal e il silver goal – valide fino al 2004, approvate rispettivamente nel 1996 e nel 2003 – che noi italiani ricordiamo bene, dato che ci costarono la finale degli Europei del 2000 e gli ottavi di finale del Mondiale 2002.

Non sono pochi quelli che non apprezzano questo modo di decidere le gare – alcuni perché lo reputano anacronistico, altri perché troppo crudele –, ma la maggior parte degli appassionati di calcio provano le maggiori emozioni – positive o negative che siano – proprio quando le partite sono decise ai rigori. Quello che non tutti sanno è che per le competizioni UEFA e FIFA, prima degli anni Settanta, i rigori non erano previsti – nel resto del mondo vi erano già negli anni Cinquanta alcuni prototipi di partite decise ai rigori, in particolare nella Coppa di Jugoslavia del 1952 ma anche nella nostra Coppa Italia, nel 1958.


Prima dei rigori

Le soluzioni che si utilizzavano nel calcio prima che fossero introdotti i rigori erano fondamentalmente due: la ripetizione della gara o l’affidamento al caso. In altre parole, quando non vi erano le tempistiche per ripetere la gara o quando, dopo la ripetizione, si verificava un altro pareggio, la vittoria spettava alla squadra più fortunata, che veniva decretata tramite lancio di monetina o sorteggio.

Queste metodologie, ormai abolite da UEFA e FIFA, sono però ancora in uso in alcune competizioni. L’esempio più famoso per quanto concerne il replay è l’FA Cup, nella quale proprio a tal riguardo vi sono state negli ultimi anni molte polemiche, causate dall’eccessiva mole di gare che una squadra inglese è tenuta a disputare nel corso di una stagione. Basti pensare a Jürgen Klopp che in un recente turno della competizione, dopo aver pareggiato la prima gara e quindi fatto scattare il meccanismo della ripetizione, ha schierato l’Under-23 in campo, per garantire al suo Liverpool un po’ di riposo. I problemi causati alla programmazione calcistica dal COVID-19 hanno portato alla decisione di eliminare i replay nelle gare di FA Cup per la stagione 2020/2021, ma in futuro non si esclude che possano tornare.

Per quanto riguarda il sorteggio per decretare il passaggio del turno, invece, è ancora in uso in competizioni come la Coppa d’Africa – nel caso di parità di punti e gol segnati/subiti nei gironi, l’ultima ‘vittima’ fu il Mali contro la Guinea nel 2015.


I casi più famosi

Il caso vuole che i due episodi più famosi in questo ambito abbiano in qualche modo a che fare con l’Italia. Il primo risale all’inverno del 1954, quando la Spagna dovette giocarsi la qualificazione al Mondiale contro la Turchia. La formula prevedeva due partite, una in Spagna e una in terra turca. L’andata terminò 4-1 per gli spagnoli, il ritorno lo vinsero 1-0 i turchi, risultato sufficiente per decidere la qualificazione con uno spareggio in campo neutro – non si considerava infatti la differenza reti.

La partita di spareggio si disputò a Roma e terminò con un clamoroso 2-2, anche dopo i tempi supplementari. In assenza dei rigori ci si affidò dunque al caso, che in questa occasione aveva un nome e un cognome, o meglio, due nomi ed un cognome: Luigi Franco Gemma, un bambino italiano di tredici anni, che fu scelto per pescare, dopo esser stato bendato, uno dei due bigliettini presenti dentro un’urna, decretando così chi, tra Turchia e Spagna, avrebbe partecipato al campionato mondiale di calcio e chi sarebbe rimasto a casa. Il bigliettino pescato dal bambino recitava «Turchia», e furono dunque gli Ottomani ad andare al Mondiale del 1954.

Ah, già che ci siamo, volete sapere come andò a finire quel Mondiale per i turchi? Beh, non troppo bene, in realtà. Se la fortuna li aveva aiutati, ad aiutarli di certo non sarebbe stata anche la Germania Ovest, che nello spareggio per accedere ai quarti di finale – dopo averli già battuti 4-1 nel girone –, gli rifilò un sonoro e non proprio clemente 7-2, e in questo caso nemmeno il piccolo Luigi avrebbe potuto fare qualcosa.

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Il secondo, invece, è quello che vide l’Italia non solo come il luogo nel quale venne effettuato il sorteggio, bensì come protagonista dello stesso. Il 5 giugno del 1968 si giocò, allo Stadio San Paolo di Napoli, la semifinale dell’Europeo tra l’Italia di Ferruccio Valcareggi e l’Unione Sovietica di Mikhail Yakushin. Le due squadre non riuscirono a sbloccare il punteggio e alla voglia di fare l’impresa subentrò la paura di perdere, e anche per questa ragione la partita terminò sul punteggio di 0-0. Il lancio della monetina per decretare il vincitore della partita avvenne nello spogliatoio del direttore di gara, dove erano presenti l’arbitro tedesco Tschenscher, il capitano italiano Giacinto Facchetti e quello sovietico Albert Shesternyov. Alla domanda dell’arbitro «testa o croce?» Facchetti rispose scegliendo testa, e fu proprio testa ad uscire dal lancio di quella monetina da 100 lire, che significava finale per gli azzurri. Una finale che peraltro l’Italia riuscì a vincere solo dopo la ripetizione della prima gara finita in pareggio, battendo dunque alla seconda occasione la Jugoslavia e vincendo per la prima volta nella propria storia l’Europeo.


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