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Bari 2013/2014, un’esaltante stagione fallimentare

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Bari e il calcio sono da sempre un binomio incomprensibile, a tratti paradossale e controverso. Il Bari, o la Bari, come viene chiamata dai suoi tifosi, non è di certo famosa per i suoi successi o per i campioni che ne hanno indossato i colori. Ciò che rende Bari una “piazza importante”, nonostante la storica mediocrità nei risultati sportivi e le difficoltà – soprattutto negli ultimi anni – nel raggiungere e mantenere la massima categoria del nostro calcio, è l’amore dei suoi tifosi.

Un amore che ha reso necessaria la costruzione di uno stadio da 50.000 posti. E nonostante i consueti spazi vuoti e le contraddizioni architettoniche che lo caratterizzano, il San Nicola racconta bene una realtà ambientale aliena rispetto a quanto espresso, settimana dopo settimana, nel rettangolo verde che circonda.

Parte di quel tifo maniacale, instancabile e coloratissimo, a cui Bari deve il suo orgoglio, è lo stesso che nella stagione 2010/2011 ha pensato bene di lucrare sull’ormai disperata corsa salvezza, costringendo – o forse semplicemente indirizzando – alcuni elementi della squadra a vendere le ultime partite della stagione, fra cui il sentitissimo derby contro il Lecce.

Insomma, una storia anacronistica che trova il suo culmine in quella che forse è ad oggi, se non la migliore stagione della storia recente del Bari, certamente quella che più di tutte ha risvegliato l’orgoglio di un’intera città ferita e umiliata, l’unica che ha rapito l’attenzione e i cuori di chiunque abitasse fra Santo Spirito e Torre a Mare: la stagione 2013/2014.


Bari 2013/2014 – Le premesse stagionali e i primi risultati negativi

Sembrano passati secoli da quando Antonio Conte portò il Bari in Serie A nel 2009, dopo quasi dieci anni; da quando Giampiero Ventura trascinò un gruppo di ragazzi già spacciato alla retrocessione fino a un’insperata metà classifica, l’anno successivo. Retrocessione, calcioscommesse, partite vendute, mezza curva sotto indagine e infiniti punti di penalizzazione seppelliscono presto i fasti di inizio decennio sotto i lembi di un passato lontano e irripetibile.

Agli albori della stagione 2013/2014, le aspettative per il Bari sono molto basse. Anno dopo anno, la squadra sembra ricadere nella mediocrità e nell’apatia che avevano caratterizzato le stagioni di B immediatamente precedenti alla promozione del 2009. È difficile immaginare qualcosa di diverso rispetto a una stanca e trascinata medio-bassa classifica.

L’addio di Vincenzo Torrente – comunque apprezzato dalla piazza, viste le difficoltà affrontate nel portare una squadra vessata dai punti di penalizzazione a ridosso dei play-off –, viene digerito solo grazie all’ingaggio di Carmine Gautieri, distintosi positivamente sulla panchina del Lanciano. Tuttavia, la sua esperienza in biancorosso dura appena diciotto giorni, e la gestione tecnica dei galletti viene affidata ai pressoché sconosciuti Roberto Alberti Mazzaferro e Nunzio Zavettieri, per tutti: «Alberti e Zavettieri», come fossero un duo comico o un’unica entità indistinta. In quel periodo, a Bari, non era affatto chiaro chi dei due fosse effettivamente al comando, in una situazione alquanto surreale.

La squadra, inoltre, esce sulla carta ulteriormente indebolita dal mercato estivo, e i risultati iniziali rispecchiano pienamente la situazione che andava profilandosi: due anonimi 0-0 contro Reggina e Brescia, una sconfitta a Siena e l’eliminazione dalla Coppa Italia per mano dell’Atalanta. Le tre vittorie successive, contro Modena, Pescara e Palermo, non bastano ad addolcire una classifica che anche quell’anno parte con il segno meno: sono 4 i punti di penalizzazione, 3 per il mancato pagamento degli stipendi l’anno precedente e 1 per il calcioscommesse.

Dopo altre quattro sconfitte consecutive e due pareggi, la situazione diventa disperata. Bisognerà attendere novembre per rivedere il Bari tornare alla vittoria: 2-1 in casa contro il Varese.


Bari 2013/2014 – Il fallimento e la svolta emotiva

La stagione 2013/2014 del Bari si trascina così fino al 10 marzo 2014, quando viene dichiarato il fallimento della società. Ed è a questo punto che, senza un presidente e senza prospettive, Bari si stringe intorno alla sua squadra, tornando a riempire gli spalti e riscoprendo, nel momento più drammatico possibile, l’amore per i biancorossi.

Forse grazie alla vicinanza della gente, o all’orgoglio che ci pervade nei momenti più difficili, il Bari si trasforma in qualcosa di totalmente diverso. Che vinca o perda – e di vittorie ne inanellerà a dismisura, ben 10 su 14 partite –, ciò che colpisce è la qualità del gioco e dei valori tecnici espressi. Alcuni giocatori risultano irriconoscibili, se si confrontano queste prestazioni con quelle incolori di appena qualche settimana prima.

A difendere i pali dei pugliesi c’è Enrico Guarna, che mai nella sua carriera si rivelerà, come in quel frangente, un’assoluta sicurezza.

La difesa è composta da Diego Polenta e Luca Ceppitelli, costantemente posizionati oltre la metà campo di competenza, a dimostrazione dell’ossessivo gioco offensivo proposto dal duo Alberti-Zavettieri. I terzini agiscono infatti più da ali che da esterni di difesa: sulla destra Stefano Sabelli, uno dei più tecnici della rosa; sulla sinistra Marco Calderoni, dotato di un poderoso tiro dalla distanza.

A centrocampo Marco Fossati e Marco Romizi garantiscono dinamicità alla manovra, recuperando palla nelle zone alte del campo e trasformando l’azione da difensiva in offensiva, grazie alla loro pulizia tecnica. Daniele Sciaudone, il vero leader carismatico di questa squadra e idolo indiscusso del San Nicola, completa il terzetto di centrocampo.

Il capitano, Marino Defendi, può ricoprire qualsiasi ruolo da esterno: agisce spesso da quarto di centrocampo o da esterno alto, in appoggio a Christian Galano, da sempre considerato a Bari un fuoriclasse, ma mai come in quell’anno così decisivo e dedito alla causa.

Una menzione particolare la meritano João Silva ed Edgar Çani: due punte che, fino a quel momento, erano sembrate del tutto inadeguate alla categoria, improvvisamente diventate la fotografia del centravanti perfetto, freddo sotto porta e integrato nella manovra.

Se per molti di voi questi nomi non significano nulla, è normale: quell’anno qualcosa di soprannaturale si impossessò di quell’undici. Così come non va dimenticato l’apporto dei gregari più inseriti nelle rotazioni: Marco Chiosa, Richard Samnick, Gennaro Delvecchio, Richard Lugo e Stefano Beltrame.

In generale, ciò che alimentava la passione e accendeva le speranze dei tifosi era la spregiudicatezza del gioco proposto: il pressing asfissiante, il baricentro pericolosamente alto, un agonismo sopito da troppi anni. Tutto questo porta il Bari a vincere in rimonta per 4-3 a Trapani, a surclassare l’Empoli in casa con un netto 3-0, a imporsi in trasferta a Padova, Terni e Varese, fino a quella magica sera del 30 maggio, al San Nicola contro il Novara.

I piemontesi hanno disperatamente bisogno di una vittoria per evitare i play-out, o quantomeno garantirsi un piazzamento migliore. Il Bari, invece, può raggiungere i play-off soltanto vincendo questa partita: due situazioni differenti ma speculari, che raccontano bene la drammaticità di quel momento. Una squadra senza presidente, a tre punti dal pass che le permetterebbe di scrivere la storia.

Pablo González porta il Novara in vantaggio al 50’, e sugli spalti gli animi iniziano a farsi tesi. L’immagine di un sogno infranto si fa concreta, se non fosse che i giocatori in campo, da quello svantaggio immeritato, trovano la forza per sovvertire l’incubo in un autentico massacro sportivo.

Çani entra al posto di Lugo e, su un cross perfetto di Sciaudone, incrocia di testa all’angolino quasi dal limite dell’area, portando il Bari in parità a mezz’ora dalla fine. Dodici minuti dopo è Sabelli a servire, con una palla tesa a centro area, la spaccata di Çani per il 2-1. È il delirio. L’attaccante corre sulla pista d’atletica con la maglietta in mano, viene sommerso dai compagni, il San Nicola trema. La vittoria sarà poi arricchita dal rigore di Polenta e da una giocata fantascientifica di Stefano Beltrame, che fissa il punteggio sul 4-1 e regala al Bari il settimo posto in campionato, che significa play-off.

La campagna dei play-off inizia trionfalmente, con un netto 3-0 a Crotone in una gara mai in discussione, firmata da Galano, João Silva e Sciaudone. La promozione sembra così vicina da apparire scontata: un ombrellino sul long drink che il destino non può avere il coraggio di negare a questa città, per suggellarne l’impresa.

Lo scoglio del Latina, in semifinale, sembra solo l’ennesimo castello di carte pronto per essere spazzato via, ma si rivela più ostico del previsto. Il Bari, penalizzato dal peggior piazzamento in classifica e da qualche errore arbitrale di troppo, incappa in un doppio 2-2 che mette fine alla sua folle, epica corsa verso la massima serie. Due scontri che resteranno indelebili nella storia del club, come il segno di due schiaffi in pieno volto.

Bari, però, è consapevole della portata della sua impresa. E, messa da parte la delusione, organizza ugualmente una grande festa per i suoi eroi, che hanno tenuto alta la cresta del gallo e regalato una sublime distrazione dalla drammatica situazione societaria.

Il Bari manterrà la categoria fino al 2017/18, quando gli atavici problemi societari trascineranno una squadra appena sconfitta ai play-off per la Serie A fino alla Serie D.

Da anni Bari sogna il ritorno in Serie A, un traguardo che sarebbe più che giusto per una piazza che, a più riprese, ha dimostrato di meritare la massima categoria del nostro calcio. Che ci riesca o meno nei prossimi anni non possiamo saperlo, ma una cosa è certa: per accendere l’entusiasmo di questa città non serve molto. A volte, basta un fallimento.

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