La storia e la formazione di Jadon Malik Sancho si intrecciano in un affresco che, nel suo particolare, sembra descrivere gli ultimi vent’anni dell’occidente globalizzato, motivo per il quale il britannico è forse il giovane talento più rappresentativo del mondo del calcio.
Sancho nasce da due migranti di origini trinidadiane a Kennington, nella periferia sud di Londra. Come in un film di Ken Loach, la sua esistenza è scandita da un costante confronto con l’indigenza: abita in una delle tante case popolari in pietravista del suo quartiere, sprovvista – tra le altre cose – di un televisore, la sua famiglia è estremamente povera e la patinata city di Londra non rappresenta che una lontana prospettiva, nonostante la vicinanza geografica.
Il calcio di Sancho è imbevuto di quest’appartenenza popolare e street: la sua vasta gamma di dribbling, tunnel e conduzioni d’esterno piede ricordano il “calcio da favelas” proprio di un Ronaldinho – suo idolo da bambino –, ed infatti la formazione calcistica di Sancho non è quella delle academy londinesi, ma quella del calcio di strada, in cui ciò che conta è quanti amici riesci ad umiliare a suon di tunnel, doppi passi e veroniche.
Il ragazzo muove i primi passi sui campi verdi nelle giovanili del Watford, dove cresce e mostra sin da subito il suo grande talento, cosa che lo fa notare e che gli fa bruciare rapidamente le tappe. A 15 anni si presenta la grande occasione, la chiamata del Manchester City, che non solo gli dà l’opportunità di militare nella primavera di uno dei migliori club al mondo, ma anche di abbandonare la realtà cruda e pericolosa del quartiere di periferia.
Nel 2017, dopo aver disputato una stagione da 20 gol e 7 assist tra Under-18, Under-19 e Under-23, ed esser stato eletto miglior giocatore dell’Europeo Under-17 – nel quale ha trascinato con 5 gol e 5 assist l’Inghilterra alla finale persa con la Spagna –, è pronto ad essere promosso in prima squadra assieme a Phil Foden e Brahim Díaz – i tre talentini del City maggiormente apprezzati da Pep Guardiola –, ma è a questo punto che succede qualcosa di particolare: Jadon decide di abbandonare l’affascinante ma allo stesso tempo insidiosa idea di scalare le gerarchie del City di Guardiola, per evitare il rischio di finire ai margini del progetto e di rallentare la sua crescita e il suo impatto con il calcio professionistico. Il ragazzo forza dunque la società a cederlo per poter esordire da titolare nella prima squadra di un top club che vuole puntare su di lui fin da subito, e a cogliere l’attimo è il Borussia Dortmund, sempre attento in fatto di giovani. I tedeschi versano per lui una cifra importantissima se si pensa che all’epoca Sancho non aveva ancora fatto il proprio esordio tra i professionisti: 8 milioni di euro.
Sicuramente ancora acerbo, ma il talento era già ben messo in mostra
Il BVB gli concede una prima parte di stagione di ambientamento, anche perché ad ottobre è impegnato nel Mondiale Under-17 – nel quale gioca solo le tre partite dei gironi, segnando 3 gol, e poi viene richiamato dal Dortmund che non era disposto a lasciarlo all’Inghilterra per il resto della competizione, poi vinta dagli albionici –, in cui si alterna tra Under-19 e prima squadra, poi a gennaio lo inserisce definitivamente in rosa e lui può presentare le sue doti alla Germania. La condizione non ottimale e qualche problema ai legamenti gli rallentano il processo d’inserimento, ma già dalle sue prime presenze si vedono sprazzi importanti di classe e talento, coronati da quattro assist e il suo primo gol da professionista, segnato nel 4-0 al Leverkusen.
La seconda stagione, la prima completa, è invece quella dei record: diventa il primo 2000 a segnare una doppietta in Bundesliga e il più giovane nella storia del Dortmund a riuscirci, il primo 2000 a segnare un gol in Champions League e il più giovane giocatore nella storia del BVB ad andare in doppia cifra in campionato. Grazie ad un’ottima integrità e continuità fisica e alla fiducia del nuovo allenatore Lucien Favre, che gli fa giocare tutte le partite di campionato – è l’unico del Dortmund a non aver saltato nemmeno una gara –, chiude l’annata con 13 gol e 16 assist. Nell’intero campionato tedesco, solamente Robert Lewandowski sommando reti e passaggi vincenti ha uno score superiore al suo, ma di appena tre punti (29 a 26). Questi numeri spaventosi contribuiscono a fargli conquistare la prima chiamata di mister Gareth Southgate per la Nazionale maggiore, con la quale debutta ad appena 18 anni.
Sancho, nel 4-2-3-1 del mister svizzero, gioca da ala destra – adattato occasionalmente anche a sinistra –, ruolo nel quale può esaltare le sue grandiose doti nel dribbling – in tutto il campionato è il migliore per dribbling riusciti a partita (3.3) – ma anche quelle realizzative e di assistman – anche in questo caso il migliore, con 14 –, poiché tende ad accentrarsi per fare spazio sulla fascia all’avanzamento del terzino – soprattutto quando a destra ci gioca Hakimi –, in modo da poter usufruire degli spazi lasciati dalla difesa avversaria tramite la sua velocità di inserimento.
Chi è stato fondamentale nel processo di maturazione di Sancho è senza dubbi capitan Marco Reus, che rappresenta il calciatore che più lo ha influenzato nel suo percorso, insieme al connazionale Raheem Sterling – come lui proveniente da Londra e dal calcio di strada, e con il quale fece amicizia durante gli allenamenti insieme ai tempi del City. L’ottimo rapporto tra i due si traduce in una fantastica intesa dentro al campo, dove l’inglese e il tedesco regalano agli appassionati delle combinazioni formidabili che spesso si traducono in gol, come nella partita contro il Leverkusen dell’ottobre 2018, quando si scambiano la palla dalla propria metà campo fino all’area di rigore prima del destro vincente del numero dieci.
I suoi 12 gol e 14 assist in Bundesliga nella stagione 2018/2019
L’annata 2019/2020 si apre con la conquista del primo trofeo con i club, la Supercoppa tedesca vinta in finale contro il Bayern Monaco, battuto 2-0 grazie al suo assist per il primo gol di Paco Alcácer, arrivato dopo aver seminato il panico tra la difesa bavarese, e alla sua rete del raddoppio che ha chiuso il match. Il Dortmund giocava la terza Supercoppa in quattro anni, ma la vittoria più recente risaliva all’ultima stagione dell’era Klopp. La squadra con cui Sancho ha scherzato, in quella prima partita stagionale, è la stessa corazzata che nel 2020 metterà in bacheca tutti i trofei a propria disposizione, per un totale di sei, eguagliando il record fino a quel momento imbattuto del Barcellona di Pep Guardiola.
La stagione, nonostante l’interruzione dei campionati che farà perdere la continuità di rendimento al giocatore – dopo il lockdown metterà a referto solamente 1 assist e 3 gol, per altro la prima tripletta in carriera, in 9 gare, mentre prima dello stop era l’unico giocatore nei top 5 campionati europei, insieme a sua maestà Leo Messi, ad essere in doppia-doppia cifra –, per i numeri mostrati riesce ad essere migliore della già straordinaria precedente: Sancho chiude il complicatissimo 2019/2020 con 20 reti segnate e 19 assistenze vincenti per i compagni.
Nella sessione estiva di mercato si presenta per Sancho la possibilità di tornare a Manchester, questa volta nella sponda rossa della città inglese, fortemente voluto da Ole Gunnar Solskjaer. Nonostante il trasferimento di Jadon al Manchester United – dove per altro è diventato leggenda un altro londinese cresciuto a Kennington, Rio Ferdinand – sia diventato in poco tempo la trattativa più chiacchierata dai media inglesi e non solo, i Red Devils non sono mai davvero stati vicini al suo acquisto. Il motivo principale è che il Dortmund nell’estate del 2020 valutava Sancho 120 milioni di euro – qualche mese prima uno studio del CIES lo valutava addirittura 198.5 milioni, più di chiunque altro e quasi il doppio del secondo, il compagno di squadra Haaland –, e l’investimento totale tra stipendio e commissioni per gli agenti sarebbe stato di circa 250 milioni, cifre che, in un momento così drammatico per le casse dei club calcistici, si sono rivelate impossibili da reperire per lo United.
I suoi 17 gol e 16 assist in Bundesliga nella stagione 2019/2020
Quest’anno ha iniziato, subito dopo aver concluso, con un ritardo di condizione e qualche problema fisico che hanno contribuito ad una prima parte di stagione sotto tono, e quando iniziava ad avere continuità è dovuto rimare fermo ai box per oltre un mese a causa di uno strappo muscolare – che gli ha fatto anche saltare il doppio confronto in Champions contro la sua ex squadra, il Manchester City, dal quale il BVB è uscito a testa alta ma perdendo entrambe le partite. Queste informazioni potrebbero far intuire un nettissimo calo dei numeri, e invece, nel momento in cui scriviamo, Sancho ha già collezionato 12 gol e 13 assist in 32 presenze: nella sua “peggior” stagione contribuisce direttamente ad un gol del Borussia Dortmund ogni 100 minuti di gioco circa, con lui si parte praticamente dall’1-0. Nella partita del suo ritorno in campo dopo l’infortunio, oltre a tornare ad illuminare il Westfalenstadion, ha raggiunto quota 100 presenze in Bundesliga, diventando il più giovane straniero di sempre a tagliare questo traguardo.
Una statistica redatta dal sito The Analyst, evidenzia che Sancho è l’Under-21 inglese che ha contribuito a più gol dal 1992 ad oggi, con 36 reti e 43 assist, per un totale di 79, 3 in più di Robbie Fowler, 6 in più di Michael Owen, 13 in più di Wayne Rooney. L’esterno d’attacco nella posizione più alta di questa speciale classifica, dopo Sancho, è Raheem Sterling, che però ha contribuito a meno della metà dei suoi gol (38). Nessuno è meglio di lui per quantità di assist – il secondo è Rooney con 22, poco più della metà – e solo i tre leggendari striker precedentemente citati hanno segnato più di lui, a testimonianza anche di un buon cinismo sotto porta che spesso ha messo in mostra.
Possiamo inquadrare The Rocket – epitaffio che si è guadagnato a Dortmund – come un’ala dribblomane, abile tanto nello stretto quanto in conduzione palla al piede, che può svariare su tutto il fronte della trequarti offensiva. Non è particolarmente propenso al tiro – sembra strano visti i numeri realizzativi, ma la realtà è che segna molto più di quanto “dovrebbe”, basti guardare i suoi dati sugli xG, anche se c’è da dire che sta progressivamente aumentando la quantità di tiri nel corso degli anni –, ma è quasi sempre coinvolto nelle azioni potenzialmente pericolose, e la statistica sui passaggi decisivi ne è una chiara indicazione: in questa Bundesliga sono, al momento, 2.9 ogni 90 minuti, in Germania solo Müller ha una media migliore (3.0). Ma, per fotografare meglio Sancho, è necessario far riferimento alla sua innata dote per i dribbling, e le statistiche, anche da questo punto di vista, sono importanti: ha una media di 3.1 dribbling riusciti ogni 90 minuti, con una percentuale di conversione prossima al 56%. Contestualizziamo la statistica paragonandola a quella dei tre giovani esterni del Bayern Monaco: Coman 2.1 (63%), Sané 1.9 (55%), Gnabry 0.9 (44%).
I dribbling di Sancho lasciano la stessa sensazione di un incontro di box di Mayweather: in entrambi i casi sembra che per loro il tempo funzioni in una maniera diversa. In quello che a noi è apparso come un attimo impercettibile loro hanno ragionato sul comportamento dell’avversario, schivato il tentativo di aggressione e contrattaccato con un dribbling o un montante. Un’efficace dimostrazione della relatività del tempo, senza scomodare matematica e formule.
Non bisogna però pensare a Jadon come uno di quei giocatori fini a se stessi o estremamente sbilanciati verso un unico fondamentale: The Rocket è, tutto sommato, un soprannome che a Sancho va stretto. Certamente non inappropriato – perché utile ad inquadrarne l’esuberanza atletica ed agonistica –, ma riduttivo. Sancho non è solo il giocatore capace di condurre palla in campo aperto trovando il dribbling in corsa: il suo stile è, anzi, in certe situazioni, quasi orizzontale. Il dribbling per lui non è solo lo strumento di preludio alla giocata ma anche un mezzo per dare ordine a situazioni entropiche. Sa utilizzare la “pausa” e le sue qualità tecniche vengono esaltate nello stretto, quando il tempo si riduce – più per gli avversari che non per lui evidentemente.
Questa abbondanza di qualità sono ciò che rende Sancho veramente unico nel panorama mondiale. Il suo talento non si risolve in una fisicità fuori scala rispetto a chi lo attornia: sono la sua eleganza, l’intelligenza calcistica innata e lo strapotere tecnico che ci fanno vedere il gioiellino inglese tra i predestinati.
Sancho non è però, come si potrebbe banalmente pensare, il futuro del calcio mondiale, è già da un po’ il presente, e noi non abbiamo neppure fatto in tempo a rendercene conto. Un’altra dimostrazione di quanto per lui il tempo sia una questione relativa.
Leggi anche: L’eleganza jazz di Julian Brandt
Fonte immagine: Вячеслав Евдокимов, via Wikimedia Commons | CC BY-SA 3.0 Unported