plusvalenze

Come funzionano le plusvalenze e perché sono così importanti

Analisi AR Slider

Il tema delle plusvalenze è uno dei più dibattuti quando si parla di economia legata al calcio, ed essendo recentemente salito agli onori della cronaca questa parola è ormai entrata nel linguaggio comune della stampa e del dibattito calcistico. Ma cosa sono dal punto di vista contabile le plusvalenze? Che valore assumono all’interno del bilancio delle società calcistiche? Sono davvero un elemento così essenziale per la sopravvivenza delle squadre nel medio lungo termine? Vediamo di risolvere questi dubbi e di rispondere a queste domande in maniera semplice.


Cosa sono le plusvalenze?

Senza entrare in inutili tecnicismi, possiamo dire che una plusvalenza è la differenza positiva tra il prezzo di cessione di un tesserato e il suo costo residuo iscritto a bilancio. Il prezzo di cessione del tesserato è abbastanza intuitivo, ed è banalmente la cifra – totale, quindi indipendentemente dalle eventuali dilazioni di pagamento – che la squadra titolare del cartellino incassa a fronte della vendita del giocatore. Al contrario, per capire il concetto di costo residuo iscritto a bilancio bisogna introdurne un altro, quello dell’ammortamento. L’ammortamento è uno strumento estremamente utile a livello aziendale, perché permette di ripartire – o appunto “ammortizzare” – il costo di un determinato bene su più esercizi – quindi “spalmandolo” su diversi anni. Nel caso specifico delle società calcistiche, il cartellino del giocatore non viene iscritto a bilancio una tantum, ma il relativo costo viene calcolato ogni anno: questo viene infatti diviso in parti uguali in base agli anni di contratto. Qui entrano in gioco le plusvalenze. Richiamando la definizione di cui sopra, il costo residuo del calciatore – o valore netto contabile –, è proprio il prezzo a cui questo è stato acquistato, al netto degli ammortamenti pagati fino a un determinato momento.

Per spiegarlo in maniera pratica, prendiamo come esempio la cessione di Lukaku al Chelsea, la più grande del nostro campionato per la cifra ricevuta. L’Inter nella stagione 2019/2020 ha acquistato il cartellino del belga dal Manchester United per 74 milioni di euro, facendo al calciatore un contratto quinquennale. Questa cifra è stata dunque ammortizzata per cinque stagioni, pagando 14,8 milioni annuali. Dopo due stagioni e altrettante ripartizioni, il Chelsea ha acquistato il cartellino del nerazzurro per 113 milioni di euro. Il valore residuo a bilancio di Lukaku era in quel momento di 44,4 milioni – i 74 iniziali meno due manche di ammortamento –, di conseguenza la plusvalenza fu di 68,6 milioni – i 113 del Chelsea meno il valore residuo a bilancio.

C’è da precisare che questa tipologia di ammortamento, definita “a quote costanti”, non è l’unica. Ne esistono di vari tipi, come quelli a quote crescenti o decrescenti. Ad esempio, nel caso di un contratto triennale, le squadre che sono molto attive nella rapida valorizzazione dei calciatori possono optare per quote decrescenti di ammortamento – 50% del costo totale il primo anno, 30% il secondo anno e 20% l’ultimo –, in modo da massimizzare un’eventuale plusvalenza derivante dalla cessione del calciatore dopo un solo anno di contratto. Queste tipologie vengono però molto meno utilizzate dalle società calcistiche, poiché troppo rischiose rispetto a quella tradizionale.


Perché fare plusvalenze – e non fare minusvalenze – è così importante?

Le plusvalenze sono considerate particolarmente importanti dalle società di calcio perché, senza entrare nel dettaglio, concorrono direttamente alla formazione di utili, o più comunemente al tamponamento delle perdite di esercizio – uno scenario molto più comune per le società calcistiche che per le normali aziende –, che eventualmente permette loro di non incorrere in sanzioni da parte di UEFA o FIFA. Inoltre, a differenza delle aziende commerciali, dove le plusvalenze ordinarie hanno luogo tipicamente nelle operazioni che riguardano vendita di cespiti o macchinari vari – quindi non derivano dall’attività commerciale principale dell’azienda –, nel caso delle società di calcio le plusvalenze ricorrono più spesso, perché i “cespiti” sono proprio il nocciolo dell’attività aziendale, ossia i calciatori.

Peraltro, quanto abbiamo detto è il motivo principale per cui alle squadre sotto sanzioni – come ad esempio la Roma – viene imposto di raggiungere un certo numero di plusvalenze: non basta acquisire somme ingenti dalla cessione di un giocatore, ma tale cessione deve comportare un effettivo “aumento” dei fondi a disposizione, tenendo quindi conto dei costi che tale calciatore ha generato negli anni.

A ben vedere, questo spiega molto dei comportamenti delle squadre del nostro campionato. Da un lato, anche le grandi squadre spesso sono “obbligate” a sacrificare i propri migliori giocatori, se questi permettono ingenti guadagni e plusvalenze – vedi il caso Tonali –, dall’altro, alcune società decidono a sorpresa di rinnovare contratti a scadenza di giocatori sotto tono, non più in grande forma o addirittura fuori dal progetto. Difatti, ad alcune società può tornare utile il prolungamento di contratto ad alcuni calciatori ancora relativamente giovani e sperare di riuscire a valorizzarli nuovamente nell’attesa di un’offerta, piuttosto che incorrere in minusvalenza – il fenomeno opposto, quello per cui la differenza fra ricavi e costi di cui sopra risulta negativa. In casi più rari alcune squadre rinnovano i contratti perché abbassando il peso dell’ammortamento stagionale di un cartellino – se questo è particolarmente elevato – possono operare più facilmente sul mercato o, nei casi più problematici e disperati, per rinviare il pagamento di un costo che non possono permettersi, confidando in una ripresa economica futura.

Il discorso sulle minusvalenze spiega invece perché molte società non riescono a cedere i propri calciatori, o lo facciano solo in prestito. Per fare un esempio concreto, è evidente che Arthur Melo sia un giocatore da anni fuori dal progetto della Juventus, ma – oltre che per uno stipendio importante – la società bianconera non riesce a liberarsene per via del residuo a bilancio ancora molto alto – oltre 30 milioni di euro, che chiaramente nessuno è disposto a pagare per un giocatore così svalutato.

Speriamo che questo articolo possa aver chiarito a qualcuno alcuni dei concetti principali relativi al mondo delle plusvalenze, di cui spesso si sente parlare in maniera vaga e astratta, se non proprio errata, nonostante siano l’aspetto più concreto dell’attività aziendale delle squadre di calcio.

Leggi anche: Paracadute, davvero conviene retrocedere?