Cristiano Ronaldo declino

Il malinconico declino di Cristiano Ronaldo

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C’è una certa dose di soddisfazione – che include anche una grande componente di sadismo – nell’osservare Cristiano Ronaldo riscaldarsi sul campo dell’Omonia Nicosia, squadra campione in carica del campionato cipriota, ma appena sesta in classifica dopo le prime sei partite di questa stagione. L’espressione del nativo di Madeira viene studiata in ogni dettaglio: è soltanto il frutto della concentrazione e della cura quasi maniacale che permea ogni aspetto della sua carriera, o c’è anche qualcos’altro? Forse c’è un po’ di disgusto, come se l’aria che è costretto a respirare in quello stadio portasse con sé il tanfo della mediocrità, forse della rassegnazione, in quello sguardo vitreo catturato dalle telecamere durante l’inno dell’Europa League, un inno a cui non è riuscito a sottrarsi, pur avendoci provato in tutti i modi. Probabilmente è solo lo sguardo del pubblico ad essere viziato, cercando nel solito Cristiano Ronaldo i sintomi di una legge del contrappasso che lo colpisca per la sua insaziabile voglia di grandezza, portandolo al declino.



C’è da dire che il portoghese quest’estate ha fatto di tutto per assecondare questa narrazione, cercando come ha potuto di liberarsi della trappola United, che lo aveva messo di fronte alla prospettiva di doversi confrontare per la prima volta dopo vent’anni con l’Europa “che non conta”. Si è parlato di ogni possibile opzione, ma alla fine tutto si è risolto in un nulla di fatto, e Ronaldo è stato costretto a rimanere a Manchester, ingabbiato in un matrimonio che nessuna delle due parti avrebbe voluto continuare. Il nuovo allenatore Erik ten Hag lo ha fatto capire con dichiarazioni forti, e gesti ancor più forti: le panchine in Premier League sono state azioni di lesa maestà, che hanno avuto un enorme risalto mediatico, ma che non sembrano aver inciso esageratamente – nel bene e nel male – sulle prestazioni dello United in questa stagione.

Basta concentrarsi, ancora una volta, sulla partita contro l’Omonia per renderci conto che Ronaldo non è più un fattore decisivo per la sua squadra: non accentra più il gioco su di sé con fare autoritario, né tantomeno riesce a segnare con la continuità che mostrava anche fin solo alla scorsa stagione. Un tempo lo avremmo visto fagocitare i gol dell’intera squadra, oggi guarda i suoi compagni segnare su un suo assist involontario.

Sono tanti i momenti dell’incontro che testimoniano la sua involuzione. Un suo passaggio di prima al limite dell’area di rigore per Bruno Fernandes, che arriva da dietro in corsa già pronto per tirare, si rivela una parabola corta e senza profondità, che costringe il numero otto a rallentare la corsa e a stoppare la palla di coscia per poter arrivare al tiro. Quando la palla torna in area, Ronaldo vi si avventa sopra in ritardo, dopo una piccola indecisione nel calcolo del rimbalzo. Per di più, anche se riesce ad arrivare sul pallone per primo, lo colpisce con la suola, non riuscendo ad indirizzarlo come dovrebbe, e l’azione termina con una ribattuta del difensore dell’Omonia.

C’è poi la solita punizione dai venticinque metri, che Cristiano continua a credere di poter segnare pur avendo un tasso di conversione bassissimo. Posa plastica à la Ronaldo, rincorsa decentrata e tiro ancor più verso le stelle del solito. Almeno l’attitudine a calciare i piazzati è rimasta la stessa.

Infine, ci sono le due azioni che fanno pensare che la statua di cera di CR7 esposta a Dubai – con maglia opportunamente rivisitata – sia scesa in campo al posto suo. Nella prima azione riceve palla in area di rigore da Dalot, dopo un bel movimento in profondità che ha tagliato fuori due difensori dell’Omonia. È leggermente decentrato sulla destra, e, mentre si prepara al tiro, alza lo sguardo cercando soltanto la porta, senza controllare se vi sia anche qualcuno dentro l’area. Nel farlo, si sposta troppo a destra, e chiude il tiro così tanto da fargli attraversare tutta l’area di rigore, senza che nessun compagno riesca a chiudere l’azione. Steso in terra, lo si vede accennare una lamentela perché nessuno è riuscito a intervenire sulla sua conclusione storta.

L’apice arriva però sull’assist per il gol del 3-1 di Rashford, che in realtà, come nella precedente azione, non è altro che un tiro che ha fatto cilecca ed è terminato fortuitamente sui piedi del compagno. È comico osservare Ronaldo, che prova sempre e in tutti i modi a segnare, terminare le sue azioni con conclusioni sempre più improbabili, e fa sorridere vedere i suoi compagni approfittare dei suoi errori come un tempo avrebbe fatto lui. Paradossalmente comico vedere una persona così egocentrica finire al servizio della squadra per sbaglio.

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Eppure, man mano che la partita va avanti, si fa strada qualcosa di diverso dal divertimento: un retrogusto amaro, difficile da spiegare, nel vedere Ronaldo fallire così spesso e così grossolanamente. Diventa quasi doloroso guardarlo sbagliare stop facili, incespicarsi col pallone, rendersi conto di come sia calata la sua velocità di fisico e di pensiero. Ed è una sensazione che non accompagna solo i fan, cosa che potrebbe renderla comprensibile, ma anche chi per quel giocatore non ha mai provato il minimo affetto, ma anzi una sana antipatia per i suoi atteggiamenti. Forse è qualcosa che sta dietro la figura stessa di Ronaldo a far provare queste sensazioni, qualcosa di universale che non permette di definire i comportamenti del portoghese soltanto comici: la comicità, da sola, non riuscirebbe a raccogliere tutte queste contraddizioni.

Lo scrittore e poeta siciliano Luigi Pirandello, attraverso il suo saggio ‘L’umorismo‘, riusciva a tracciare perfettamente la linea di demarcazione tra il sentimento comico e l’umoristico. Uno degli esempi esposti dal Nobel per la letteratura è quello della ‘Vecchia imbellettata‘, attraverso il quale illustra il suo pensiero: «Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti, tutti unti non si sa di quale orribile manteca, e poi tutta goffamente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. […] Ma se ora interviene in me la riflessione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne soffre e lo fa soltanto perché pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne come prima […]. Ed è tutta qui la differenza tra il comico e l’umoristico».

Forse per la prima volta, guardando Ronaldo, anche i suoi detrattori riescono a superare quell’astio iniziale, ad andare oltre quella coltre di ostentata perfezione che continua a cercare di mantenere anche nel finale della sua carriera. Per la prima volta si riflette sul perché il Ronaldo calciatore – e uomo – continui a ritenersi indispensabile, come se il sole senza di lui non possa più sorgere regolarmente, come se fosse egli stesso il Sole.

Perché in questi anni ha continuato a rifiutare o a digerire malvolentieri le indicazioni tattiche degli allenatori che si sono susseguiti? Semplice testardaggine o paura di dover accettare il decadimento fisico a cui andava incontro, l’impossibilità di essere decisivo partendo dalla zona di campo della sua giovinezza?

Perché ha cercato in tutti i modi di tornare a giocare in Champions League, rifiutando offerte di squadre che lo avrebbero accolto come il Salvatore? Non certo per paura dell’acclamazione, ma forse con la consapevolezza che uscendo dalla stanza che accoglie le squadre più blasonate sarebbe stato impossibile tornarvi. Un esilio equivalente alla morte calcistica, a cui nessun giocatore è abituato.

Perché, infine, anno dopo anno per lui continua a crescere l’importanza dei record numerici? È solo perché è necessario fissare degli obiettivi per qualsiasi cosa si voglia raggiungere nella vita? O è a causa della più comune e intima paura umana, quella di essere superati dalla storia, che inesorabilmente va avanti e sbiadisce i nostri contorni fino a non lasciare traccia di noi, anche se noi siamo Cristiano Ronaldo? Un record, sotto questo aspetto, è qualcosa di scritto e tangibile, che prolunga l’illusione d’immortalità, almeno finché non viene infranto. Ogni record permette a Cristiano di prolungare il suo «eu estou aqui», che ripropone dopo ogni esultanza, potendolo trasformare in futuro in un «eu estive aqui».

Dopo quest’estate qualcosa sembra essersi rotto dentro di lui, forse resosi conto che è giunto il momento di scendere a patti con i limiti della propria longevità: ha dovuto accettare di non poter scegliere dove andare, di dover fare panchina senza essere lui a deciderlo, di giocare in un ruolo che non ha mai davvero tollerato a pieno. Soprattutto, sembra aver capito che i record e i gol sono soltanto un’illusione, il velo che gli ha permesso, in tutti questi anni, di non guardarsi allo specchio mentre invecchiava. Forse lo aveva già capito due settimane fa, quando ha segnato il suo settecentesimo gol con una squadra di club: l’esultanza è stata composta, silenziosa, un gran sorriso mentre i compagni andavano ad abbracciarlo. Nessun imponente «SIU!», nessun indice puntato prima al petto e poi alla terra, nemmeno un addominale scolpito in evidenza.

https://youtu.be/OSJjYggc6Qc

Non c’è niente di comico nel declino di Cristiano Ronaldo e, a dire il vero, anche il sentimento dell’umorismo cede il posto a qualcosa di più sinistro, perché dopo aver gettato lo sguardo oltre il velo non si riesce più a vedere il lato divertente, oscurato dalla componente malinconica di un personaggio che non riesce più a ritrovarsi sotto quella maschera portata per così tanto tempo, che sembra averlo incastrato in una narrazione da cui non può scappare. L’immagine del suo volto insanguinato, nell’ultima partita giocata con la Nazionale portoghese, sembra la perfetta metafora di un uomo che ha almeno scoperto che quella maschera c’è. Forse avrebbe dovuto avvertirci di questo, Pirandello: che, dopo aver scoperto l’inganno, non è più possibile tornare indietro. E forse ora lo sa anche Ronaldo.

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