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Banter Era, un’analisi fisiologica

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La vita di un top club è una bella vita. Soldi, campioni e trofei circolano in continuazione, dando l’impressione di stare su una torre irraggiungibile dalle altre squadre, ridotte a cliens romani, plebei che implorano i loro protettori patrizi per un pugno di cibo e denaro, in cambio di una mercificata adulazione; e se la storia del calcio fosse un asintoto verticale, una linea proiettata a un’ascesa infinita, e i rapporti di forza non cambiassero mai, quell’impressione sarebbe sempre indiscutibilmente vera. Purtroppo o per fortuna, invece, un fantasma si aggira nel mondo del pallone, terrorizzando l’oligarchia di questo sport e sparandole spietatamente negli occhi la visione della mediocrità: il suo nome è Banter Era.

La Banter Era, traducibile in maniera alquanto grezza come ‘Era degli sfottò‘, corrisponde a un periodo di risultati e livello estremamente scadenti da parte di una squadra di club – ma si potrebbe estendere anche a una nazionale o a un campionato intero – in rapporto a una storia generalmente molto più gloriosa. Non a caso il termine – di origine britannica – banter, come spiega il “serissimo” Urban Dictionary, è «la magnifica arte di usare giochi di parole, opinioni, esagerazione, ironia, sarcasmo e altri temi comici per umiliare (giocosamente), prendere in giro e deridere».

Nella sua difficile capacità di individuazione, non si può certo dire che la Banter Era nasca dal nulla. Elementi contingenti hanno collaborato tra loro, a volte con intensità diverse, per “ammalare” più di una squadra che si godeva ancora molti sguardi allo specchio. Proviamo allora ad analizzarne qualcuno qui, basandoci su quanto proprio queste squadre hanno provato sulla loro pelle.


Le “mezze stagioni”

No, non si parla di quelle metereologiche che «non ci sono più», ma di annate collocate esattamente in mezzo tra quelle estremamente di successo e quelle straordinariamente negative. Considerando che si parla di grandi squadre, sono spesso stagioni con qualche trofeo ottenuto, qualche grande scalpo, qualche campione ancora nel pieno della propria forza, qualche premessa di futuro. Il canto del cigno prima che le cose vadano allo scatafascio.

Quando la notte del 22 maggio 2010, con la sua auto privata, José Mourinho sgasava via dall’apoteosi del nero e dell’azzurro, era quasi logico pensare per l’Inter che il mitologico Triplete avrebbe rappresentato il culmine di un successo probabilmente irripetibile. Per questo motivo la stagione 2010/2011, chiusasi con Coppa Italia e secondo posto dietro il Milan – tra l’altro quanto accaduto in modo quasi analogo nella stagione 2021/2022 –, non poteva essere accusata di fallimento.

Allo stesso modo, l’ultimo grande Liverpool pre-Klopp, quello di Rafa Benítez e del suo connazionale Fernando Torres, poteva godersi il “lusso” di rimpiangere la mancata vittoria della Premier League 2008/2009, a vantaggio dell’ineluttabile Manchester United di Sir Alex Ferguson, oltre al non essere riusciti ad andare oltre i quarti di Champions, uscendo con il Chelsea di Guus Hiddink.

Ancora, per il Milan la chiosa sulla stagione 2012/2013, un terzo posto valido per i preliminari di Champions, rappresentò un sospiro di sollievo dopo un campionato sofferto, a metà del quale i ragazzi di Max Allegri erano piazzati solo al settimo posto.

Ma gioire dopo stagioni del genere significava, col senno di poi, guardare il dito e non la luna. Perché i primi sintomi, sporadici, sottovalutabili e sottovalutati, avrebbero dovuto essere la spia di una patologia molto fastidiosa all’orizzonte.


Non è un’era per giovani

Non è sempre vero che le squadre in Banter Era siano rimpinzate di aspiranti pensionati o commentatori di DAZN e Prime Video, ed effettivamente molte squadre hanno conosciuto una rapida caduta dopo aver perso alcuni uomini particolarmente esperti e carismatici. Allo stesso modo, non è un assunto che le squadre piene di esperienza non possano essere giovani di spirito, si pensi all’età media di 29,9 periodico del Real Madrid nella recente finale di Parigi contro il Liverpool, o, sempre contro i Reds, la media molto simile – 30 anni – per il Milan trionfante ad Atene nel 2007.

A più riprese però è parso evidente scorgere, nelle dirigenze di squadre sull’orlo della crisi o intrappolate nella stessa, una mancanza di lungimiranza, di coraggio e forse anche di immaginazione. Perché, a occhio e croce, si poteva ad esempio comprendere che la rosa della Juventus 2010/2011 non guardasse esattamente al futuro con la stessa fiducia di Jack e Rose in Titanic: Grosso 33 anni, Manninger 34, Legrottaglie 34, Storari 34, Salihamidžić 34, Iaquinta 31, Amauri 30, Toni 33, Grygera 30, Barzagli 30, senza contare i più importanti di tutti, Alex Del Piero e Gigi Buffon, ovviamente intoccabili ma che comunque avevano già spento le candeline rispettivamente per 36 e 33 volte.

Mettere «in campo la Primavera», per usare uno slogan populista in ambito calcistico, non è mai stata la sola soluzione ai problemi di un club, né per forza un fattore positivo, ma crogiolarsi nella lotta contro l’invecchiamento, anziché azzardare una qualche promessa di luce in fondo al baratro, è come percorrere le scale mobili in direzione opposta.


I need a dollar, a dollar, a dollar is what I need

Può capitare che una squadra storica entri nella propria Banter Era anche a seguito di un periodo complicato dal punto di vista economico, ma non sempre è così. L’equazione soldi = successo, oltre a non essere davvero un’equazione, non è sempre necessariamente funzionante nel calcio. Secondo un recente studio del CIES Football Observatory, nell’ultimo decennio le dieci squadre con il saldo netto maggiormente negativo, cioè col maggior numero di soldi spesi in rapporto alle entrate, risultavano essere – in ordine di passivo – Manchester United, Chelsea, Paris Saint-Germain, Arsenal, Manchester City, Newcastle, Barcellona, Tottenham, Milan e West Ham. Totale delle Champions League vinte nel periodo da tutte le squadre messe insieme: 3, quella del Barça nel 2015, quella del Chelsea nel 2021 e quella del City nel 2023; numero di volte in cui una di queste squadre ha giocato la finale della stessa Champions, sui 20 posti disponibili: 6.

Naturalmente sarebbe superficiale riassumere il concetto con dati del genere, anche perché, ad esempio, nel caso del PSG il nuovo status economico ha totalmente contribuito a conferire un nuovo status sportivo, e spacciare come fallimento il non vincere quella che è probabilmente la competizione più difficile al mondo sarebbe sbagliato. È chiaro, tuttavia, come l’elemento fondamentale non stia nell’avere, ma nel sapere avere, nella gestione delle proprie risorse e nella capacità di investire sulle idee anziché sull’hype, sulla costruzione di un progetto tecnico coerente e futuribile, anziché su redivivi Forlán, Essien e Podolski – sì milanesi, parlo con voi.

Quando il semplicismo e il sensazionalismo oscurano le inevitabili conseguenze postume, come l’alcool con l’hangover mattutino, i risultati sono il Milan pre-Maldini e Massara, l’Arsenal pre-Arteta, o lo United pre… niente, lo United e basta.


Cambiare perché tutto resti uguale

In Banter Era, rilassarsi un attimo è impensabile. La vita delle squadre muta sempre rapidamente, ma mai quanto in questa demoniaca fase, quando si modellano allo stesso folle ritmo con cui è creato un vaso d’argilla. Non c’è tempo per soffermarsi, né per analizzare, la fine dei giochi dirà se si è creato un cratere greco degno del MArTa di Taranto o una tazza con tre manici. La precarietà, insomma, la fa da padrone, e ciò è evidente non soltanto nella già menzionata scarsa fiducia ai giovani, ma anche nella frenesia delle scelte riguardanti il progetto tecnico, spesso incapace di svilupparsi o di anche solo nascere; frequenti cambi in panchina, alla ricerca di un improbabile messia che rimetta in orizzontale la nave che affonda, sono parte di una – forse moderna – pretesa, certo non circoscritta al calcio, di tutto e subito, della formula magica che salvi la situazione. Si cambia così spesso che il cambiamento non si accorge di esistere.

Non possono rappresentare delle casualità le varie volte in cui degli allenatori sull’orlo del baratro o quasi hanno poi ribaltato completamente il proprio status e quello delle loro squadre: Gasperini con tre punti dopo le prime cinque partite con l’Atalanta; Pioli dopo la peggiore scoppola del suo Milan, per parlare sempre di cinque e di bergamaschi; Arteta dopo due ottavi posti e un piazzamento in Champions sbriciolatosi in mano. E invece, dal dark side of the moon, le cacciate di Benítez e dello stesso Gasp nelle prime partite stagionali, la separazione con Mancini nel bel mezzo del ritiro estivo, seguite da scelte altrettanto naif, certificarono vivacemente il caos che regnava nell’Inter. La differenza giace, almeno in parte, nella fiducia del potere costruttivo dell’errore.

Sia chiaro, un breve elenco di possibili cause non servirà a salvare nessuno dalla Banter Era. Quest’epoca fallimentare è un insegnamento dell’ineluttabilità e imprevedibilità della decadenza che, ci piaccia o no, farà sempre parte di tutti noi, significhi questo affrontare demoni personali, come dipendenze, carenze affettive, paure, o collettivi, come guardare la tua squadra perdere partite che un tempo non avresti neanche guardato, sicuro che sarebbero andate bene perché le cose avevano sempre funzionato così. Ma in fondo, non è proprio sul fondo del barile che giace l’amore più vero verso una squadra? Perché un amore che vince le umiliazioni, la disillusione, la rabbia, la disperazione, è un amore folle, ma anche inscalfibile.

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