Inter Triplete

La bellissima e pazza Inter del Triplete

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Quella dell’Inter del Triplete è un’epopea illogica. Una storia di uomini e alieni, di manette, di parole giuste, di corse sotto acquazzoni, di tempismo e di ultimi respiri. È la storia di un principe, di un drago, di un colosso, di un trattore, di un mamba e di altre creature meravigliose che si sono ritrovate unite, d’improvviso, in un’impresa che sembrava troppo grande per loro. È anche la storia dell’uomo che li ha riuniti tutti nel suo nome e li ha conquistati, prima ancora di conquistare il resto. È la storia di una lunghissima attesa ripagata, di un amore incondizionato verso una filosofia di vita che non muta nel tempo, ma rimane nobile, elegante e unica nel corso degli anni. Era la speranza di un folle, prima di diventare la realtà per tanti altri. Comunque tutti folli, sia chiaro.


L’Inter del Triplete – Addii pesanti, arrivi importanti, partenze false

È un’altra estate da campioni in casa Inter. Dopo i trionfi del triennio 2006-2008 firmati Roberto Mancini, i nerazzurri sono riusciti ad imporsi in Serie A anche nella stagione 2008/2009, sotto la guida di José Mourinho e del carismatico fuoriclasse Zlatan Ibrahimović, capocannoniere del campionato e trascinatore assoluto del club.

Al predominio nazionale non corrisponde però un progresso internazionale: Ibra e compagni, approdati agli ottavi di Champions League, si sono arresi al Manchester United di Sir Alex Ferguson, che concluderà poi il suo percorso europeo a Roma, in finale contro il Barcellona di Pep Guardiola.

Deluso dal percorso europeo è, principalmente, proprio il gioiello svedese della Beneamata, da sempre all’inseguimento della Champions, e su di lui si accendono prepotenti le voci di mercato. In mezzo a tanti interessamenti relativi, a fine luglio ne emerge uno concreto e molto allettante: il Barcellona sembrerebbe disposto ad acquistare Ibra, che aveva già anticipato a Moratti come la destinazione catalana gli sarebbe stata assai gradita. Dopo un lungo lavoro dietro le quinte di Mino Raiola, Laporta e Moratti si incontrano a casa del patron nerazzurro per trattare. La sera stessa, è tutto fatto. Ibra passerà al Barça per 46 milioni di euro più il cartellino dell’attaccante camerunese Samuel Eto’o, fortemente voluto nell’affare da Mourinho.

E così, già prima dell’inizio della stagione, cominciano i primi mugugni. Ibrahimović è, per molti, assolutamente insostituibile, specie da un attaccante con caratteristiche totalmente differenti. Controcorrente va capitan Javier Zanetti, che alla testata argentina La Nación sostiene che Eto’o sia forte come Ibrahimović, e dichiara che gli acquisti dell’Inter permetteranno al club di andare più avanti in Europa.

In un reparto d’attacco già occupato da Mario Balotelli, Eto’o si affianca alla punta argentina Diego Milito, prelevata dal Genoa con un accordo stipulato già a maggio assieme al centrocampista centrale Thiago Motta. El Principe ha trent’anni, e non si può dunque considerare un investimento per il futuro, ma vanta già 144 reti in carriera tra Racing, Genoa e Real Saragozza, mentre Motta, un poco più giovane, impressiona per la sua intelligenza tattica in mezzo al campo. L’altro acquisto fondamentale della campagna di mercato di Massimo Moratti è il roccioso Lúcio, centrale difensivo risoluto e dalla progressione devastante, arrivato dal Bayern Monaco per 7 milioni di euro.

Ci sono anche tanti addii, da Figo a Crespo, da Burdisso a Cruz, passando per Obinna e Maxwell, anch’egli passato in blaugrana. Insomma, Mourinho sembra aver dato per assodata una cosa: per vincere e mantenersi competitivi, è necessario cambiare. I quattro acquisti citati saranno difatti titolari inamovibili lungo quasi tutta la stagione.

Nonostante i buoni propositi, però, il Biscione parte piuttosto male. La prima uscita ufficiale, l’8 di agosto, vede gli uomini di Mourinho sconfitti per 2-1 dalla Lazio in Supercoppa. A segno Matuzalém e Rocchi per i biancocelesti, a cui risponde troppo tardi Eto’o, al suo primo gol in nerazzurro. Dopo le uscite estive, non particolarmente convincenti, arriva anche la prima sconfitta stagionale. Passano due settimane, e l’Inter stecca anche la prima di campionato contro una neopromossa, il Bari – che si rivelerà poi un osso duro per tutte le squadre del campionato. Il rigore trasformato da Eto’o fa il paio con la rete di Kutuzov, in contropiede. A fine partita dalle tribune piovono fischi, che rendono la settimana seguente, quella del derby, subito decisiva.


L’Inter del Triplete – Cecchini olandesi, predominio, grattacapi dell’est

L’interludio ad una delle tante chiavi di volta della stagione è la vacanza di Massimo Moratti a forte dei Marmi. Leggenda vuole che proprio lì un barista di fede nerazzurra, riconoscendo il presidente, ci abbia scambiato qualche parola e, tra un amaro e un caffè, abbia fatto saltare fuori il nome di Wesley Sneijder.

Il tempo di impostare l’affare con il Real Madrid e il trequartista olandese, e la situazione si risolve in un battibaleno. Sneijder è a Milano venerdì sera per visite mediche e firma. Mourinho vuole farlo giocare subito.

Sabato sera, davanti ad un Giuseppe Meazza strapieno, l’Inter schiera il suo nuovo dieci dal primo minuto nella stracittadina contro il Milan. Ad uno dei suoi primissimi tocchi di palla, l’olandese scaglia un destro a giro di prima intenzione da venticinque metri, che trova una risposta fantastica di Marco Storari. Sneijder mette in luce tutte le sue qualità già all’esordio, sfiorando due volte il gol dalla distanza, ma è l’intera Inter a dominare la partita. Il match viene sbloccato da Thiago Motta, sferzato dal rigore di Milito e già virtualmente chiuso, dopo l’espulsione per doppio giallo di Gattuso, dal 3-0 di Maicon. Nel secondo tempo, sopra di tre gol e di un uomo, i nerazzurri fanno accademia e si concedono il lusso di una perla di raro valore, un destro terrificante di Dejan Stanković che si infila all’incrocio dei pali. Poker, preoccupazioni della vigilia messe a tacere, dimostrazione di forza spaventosa a scapito di una delle dirette concorrenti al titolo.

I gol al minuto 30:40, 37:50, 47:40 e 1:13:45

Due settimane dopo, la vittoria in casa con il Parma per 2-0, firmata da Eto’o e Milito, precede la prima partita di Champions League. Tutte e quattro le squadre presenti nel girone dei nerazzurri sono regine dei loro campionati nazionali: Barcellona, Inter, Dinamo Kiev e Rubin Kazan. Nel primo scontro l’Inter trova davanti a sé proprio i blaugrana di Messi, ma al Meazza riesce a contenere i suoi assalti e inchioda il risultato sullo 0-0. È chiaro, però, che per raggiungere i livelli degli alieni di Guardiola c’è ancora tanta strada da fare, considerata anche la scarsità di occasioni create dai nerazzurri nella primissima uscita europea.

Nonostante gli impegni di coppa, la Beneamata continua a convincere in campionato. Una difficile rimonta sul Cagliari, con la prima doppietta meneghina di Milito che risponde al vantaggio di Jeda, precede un’agevole vittoria sul Napoli di Ezequiel Lavezzi, in grado di far male a Júlio Cesar solo dopo le reti di Eto’o, Milito e Lúcio, alla prima marcatura italiana. La sconfitta con la Sampdoria – trascinata dal gol di Pazzini – non sembra preoccupare. Maggiore perplessità desta sicuramente l’inutile pareggio di Kazan quattro giorni dopo, in casa del Rubin, dove l’Inter appare spenta e poco conclusiva. A complicare ulteriormente le cose ci pensa Mario Balotelli, unico attaccante disponibile in quella fredda serata russa, espulso poco dopo l’inizio del secondo tempo per doppia ammonizione.

Il divertente aneddoto di José Mourinho su quell’espulsione

A riprendere la situazione per i capelli è Wesley Sneijder, nella successiva uscita casalinga contro l’Udinese. La prima, forse, delle tante partite da pazza Inter di quella stagione. Avanti con Stanković, i nerazzurri vengono raggiunti da Di Natale. Poi un lungo – e rischioso – stallo che dura fino al 93’, quando un cross troppo lungo di Eto’o finisce sui piedi del fantasista olandese. Sneijder stoppa, prende la mira e trova un angolo fenomenale che regala ai suoi i tre punti. Meno patemi causa la sfida contro il Genoa, vinta dai nerazzurri per 5-0 sul campo del Ferraris. Da segnalare però un’altra splendida prestazione di Stanković, coronata da una rete al volo da centrocampo, che si aggiunge ai gol di Cambiasso e Balotelli, spalancando la porta agli uomini di Mourinho, che chiudono il match con Vieira e Maicon.

Nonostante le cose in campionato senbrino prendere una piega positiva, la Champions League continua ad essere problematica. Nemmeno la terza uscita del girone, in cui i nerazzurri ospitano i campioni ucraini della Dinamo Kiev, va come sperato. La Dinamo va subito in vantaggio con Mikhalik, poi è il turno di Stanković, ben felice di proseguire con il suo stato di grazia. Il pareggio dura però soltanto pochi minuti, perché poco prima della fine del primo tempo, una sfortunata deviazione di Lúcio fa finire il pallone alle spalle di Júlio César. In apertura di secondo tempo, Samuel incorna in rete su assist di Sneijder, ma la cosa finisce lì, perché nonostante i continui assalti, la Dinamo si difende bene e la Beneamata non osa oltre. Un 2-2 che sa più di due punti persi che di un punto guadagnato: tre punti in tre partite sono una media pessima, soprattutto per una squadra che auspica di farsi strada in campo internazionale.

A scacciare i fantasmi ci pensa il campionato: vittoria per 2-1 contro il Catania – reti di Muntari e Sneijder – prima che i nerazzurri si regalino un’altra prestazione assolutamente senza senso. Tra la neve del Meazza, contro un agguerrito Palermo pieno di estro e talento, gli uomini di Mourinho sono in vantaggio di quattro reti a fine primo tempo grazie alle doppiette di Eto’o e Balotelli. Al rientro dagli spogliatoi, però, l’atteggiamento dei nerazzurri è drasticamente diverso e rischia di compromettere il buon esito della gara. Miccoli mette a segno due gol, Abel Hernández un altro ancora. Servirà il gol di Diego Milito, a meno di dieci minuti dalla fine, per chiudere il match sul 5-3 finale.

Questo ad ulteriore dimostrazione che l’Inter, fino a quel momento, sembra la classica Inter. Non è ancora la perfetta creatura mourinhana che divorerà ogni match point a fine stagione: manca di cinismo, è dominante ed impulsiva allo stesso tempo, oltre ad essere inconcludente in Europa.

Ma non si tratta di eliminare la follia. È una caratteristica troppo radicata nel gruppo squadra, troppo presente nell’ambiente per essere epurata. Persino nel suo perfetto finale di stagione l’Inter si comporterà ripetutamente in modo folle; ma di assimilarla, renderla parte di un progetto più ampio, renderla protagonista positiva. Mourinho ha intuito che la chiave per portare la sua squadra in alto è valorizzarla nelle sue stranezze. Per quanto il rodaggio richieda del tempo, i giocatori cresceranno progressivamente, diventando un gruppo di campioni veri.


L’Inter del Triplete – Svolte tardive, cadute, colpi di genio

Novembre si apre con un buon 2-0 a Livorno, firmato Milito-Maicon. Non è un caso che Mourinho disponga in campo una formazione un poco rimaneggiata nella sfida contro i toscani: a metà settimana bisogna fronteggiare una partita da dentro o fuori, nel gelo ucraino.

La svolta di Kiev sarà una delle grandi, impossibili sliding-doors della stagione interista. È distacco in piena regola dai trascorsi, dal passato, dall’incapacità di uscire dalle situazioni difficili. In questa, come in tante altre partite fondamentali, la dicotomia si manifesta tra primo e secondo tempo. La Dinamo la fa da padrone nella prima frazione di gioco, soprattutto dopo che, al minuto 21, un certo Andrij Shevchenko fa partire un bolide da fuori area, che si schianta sulla schiena di Cambiasso, curvando in una beffarda parabola che inganna Júlio César. Fino al quarantacinquesimo, gli ucraini fanno una gara perfetta. Possesso palla, pochi rischi, pochi errori.

Arriva l’intervallo, quindici minuti di sipario in cui – difficile dubitarne – ogni tifoso interista respira la stessa aria che Dante ha respirato dentro Malebolge. Con una sconfitta si è fuori. Marco Branca, ex direttore sportivo dell’Inter, ha raccontato, in un’intervista fatta in occasione del passaggio dello Special One alla Roma, dell’intervallo del match negli spogliatoi: «Mou partì con toni pacati, alzandoli via via. C’era questo lettino di acciaio puro, una settantina di chili. Finita la sua arringa, José lo ribaltò, urlando cose irripetibili alla squadra. Funzionò».

Quella che entra in campo nella seconda frazione di gara è, comprensibilmente, un’altra squadra, ben lontana dalla timida e scoordinata compagine delle prime tre partite di Champions. Sono entrati Balotelli e Thiago Motta per Chivu e Cambiasso, ci sono quattro attaccanti in campo ai quali, dal 70’ in poi, si aggiungerà in pianta stabile Samuel. Succede di tutto: parate incredibili, pali, conclusioni che escono di millimetri. Addirittura, a dieci minuti dalla fine, entra Muntari per il centrale argentino, ad aggiungere cattiveria e pressione davanti.

Ma la palla sembra non voler entrare nemmeno per idea, le speranze sembrano disfarsi come fili di un ordito impreciso. Almeno fino al minuto 86, quando Sneijder si defila sul vertice sinistro dell’area di rigore. Con un movimento rapido, si libera del suo avversario, pronto alla conclusione, ma con la coda dell’occhio vede qualcosa. O meglio, qualcuno. Il ventidue è da solo in area di rigore, la marcatura su di lui è stata allentata perché tutti sanno, o pensano di sapere, che l’olandese sta per calciare in porta. E invece Sneijder li inganna, perché da quel destro parte un passaggio, forte e teso, che Milito agguanta di destro come se fosse l’ultimo pallone della sua carriera. Basta un attimo, per girare quel pallone in porta di sinistro, eppure la palla va così lenta che sembra un sogno. Ma Bogush sa che è troppo sbilanciato, sa che finirà in porta, lentamente. Può solo accompagnarla con uno sguardo desolato, e prepararsi al seguito. Perché l’assedio non finisce, l’Inter non si accontenta.

Al minuto 89 Sneijder alleggerisce su Thiago Motta, che apre per Balotelli. Super Mario con la coda dell’occhio vede arrivare alle sue spalle Muntari e, senza pensarci, lo libera di tacco. Il ghanese va immediatamente al tiro dal vertice dell’area, Bogush non trattiene, ma la palla scivola verso la linea di fondo e sembra troppo difficile da mettere dentro persino per lui il Principe, che però ci prova, e il suo destro trova, di nuovo, la goffa opposizione dell’estremo difensore ucraino, che serve a Sneijder la palla perfetta. Basta un tocco, e la rete si gonfia. Nel bel mezzo della confusione generale, mentre tutti i giocatori di movimento dell’Inter sotterrano l’olandese in un’esultanza sfrenata, l’unico a far sì che Júlio César non rimanga a festeggiare da solo è proprio Mourinho, che corre per sessanta metri in cerca del suo portiere e gli salta al collo, passando di nuovo agli onori della cronaca con l’immagine della serata.

Nell’uscita successiva, in casa contro la Roma, Eto’o risponde a Vučinić nel secondo tempo di una partita dominata dalla compagine interista in lungo e in largo, ma mai concretizzata con la cattiveria giusta dalle punte. Mourinho ancora non lo sa, ma la Roma sarà la grande rivale del finale di stagione nerazzurro. Al momento le avversarie sono Juventus e Milan, distanti però rispettivamente quattro e sei lunghezze dalla capolista. Dopo la dodicesima giornata, quella del primo scontro diretto, la Roma è addirittura nella parte destra della classifica, distante quattordici punti dalla vetta.

La marcia nerazzurra sembra difficile, se non impossibile da arrestare: due vittorie, una a Bologna per 3-1 con reti di Milito, Balotelli e Cambiasso, e una in casa a Firenze decisa da un tardivo rigore del Principe, chiudono il mese di Serie A maestosamente.

Tra il Dall’Ara e San Siro, uno scontro diretto da grandi serate europee. Complice un improbabile passo falso del Barcellona contro il Rubin, i nerazzurri sono in testa al girone alla vigilia della battaglia con i blaugrana al Camp Nou. Certo, essere consapevoli delle proprie capacità significa esserlo anche dei propri limiti, ma potremmo dire che filtra un cauto ottimismo, anche dalle parole di Mourinho, che intende giocarsela. La lezione impartita da Guardiola però è durissima. Possesso palla straripante e vittoria senza fatica per l’allenatore spagnolo, a cui non serve nemmeno Messi per archiviare la pratica.

L’inizio di dicembre, proprio come l’uscita catalana, non è da ricordare. Bruciante si rivela la disfatta nel derby d’Italia a Torino, con Chiellini e Marchisio bravi a sfruttare grossi buchi lasciati in area di rigore e ad infliggere la seconda sconfitta stagionale a Mou.

Non ci potrebbe essere un modo peggiore per approcciarsi all’ultima, decisiva, partita di Champions contro il Rubin Kazan. Fortunatamente il tutto si gioca tra le mura amiche, ma serve una prova di forza per riscattarsi dalla brutta prestazione dell’Olimpico di Torino, una reazione da campioni. Non senza la giusta dose di follia, ovviamente. Non è un caso che l’uomo decisivo della serata sia Mario Balotelli. Prima, in seguito ad un’azione insistita di Zanetti, libera con un colpo di tacco Eto’o, che scaraventa la palla in rete. Poi si mette in proprio, scagliando una punizione terrificante dai trenta metri, con il pallone che dopo un paio di giravolte nell’aria si infila sotto la traversa. Con una prestazione di grande carattere la Beneamata stende i campioni di Russia e si aggiudica la seconda posizione del girone, dietro agli “alieni” del Barcellona. Una posizione comunque non comodissima, che costringerà la squadra ad affrontare una testa di serie.


L’Inter del Triplete – Sacrificarsi, rimontare, cambiare pelle e sconfiggere il Diavolo

Al passaggio del turno segue una fase comprensibilmente stanca, dopo gli impegni di coppa. L’Inter pareggia a Bergamo contro l’Atalanta, con un gol di Milito raggiunto nel finale da Tiribocchi, e poi liquida il Livorno in Coppa Italia, con una punizione di Sneijder. È un momento di spossatezza e poca lucidità, ma anche in questo frangente si riesce ad intravedere il lavoro di Mourinho che riesce, senza esagerare con i carichi, ad imporsi per 1-0 anche su Lazio e Chievo, con le reti decisive di Eto’o e Balotelli.

Parentesi di non poca importanza, il mercato di gennaio regala allo Special One una pedina fondamentale per la sua stagione. Torna all’Inter, dopo il percorso con le giovanili, il macedone Goran Pandev, svincolatosi con qualche turbolenza dalla Lazio. L’acquisto di Pandev a parametro zero – unico vero acquisto della sessione invernale, oltre alla comproprietà di McDonald Mariga – permetterà a Mourinho di cambiare le carte in tavola, passando dal 4-4-2 a rombo, ad un più fluido ed offensivo 4-3-3, con Sneijder dietro al tridente formato da Milito, Eto’o e dal nuovo acquisto. Mourinho ha così completo controllo su due tattiche complementari, che gli permettono di decidere se coprirsi di più inserendo giocatori con grandi doti difensive, o se puntare invece all’offesa totale, con almeno due giocatori stabilmente in avanti.

A sacrificarsi per la causa non può essere che un campione, Samuel Eto’o, che pagherà la sua dedizione totale a Mourinho con un bottino di reti esiguo per uno come lui – anche a causa della Coppa d’Africa, che lo terrà lontano da Milano per quasi tutto gennaio –, e tante, tantissime corse a perdifiato per aiutare Maicon in fase difensiva. Già il 6 gennaio, a Verona contro il Chievo, gli attaccanti in campo sono di fatto tre. La rivoluzione è in atto.

Sono tre anche la settimana dopo, in una delle partite meno sensate di una stagione insensata. L’Inter ospita sotto una pioggia torrenziale il Siena, fanalino di coda del campionato, in grado di ottenere soltanto dodici punti in diciotto giornate. Non sembra esattamente uno scontro di alta classifica, ma i bianconeri sono pronti a smentire tutti regalando spettacolo, e sono di fatto loro a passare in vantaggio con un gran gol di Massimo Maccarone.

L’Inter non ci sta e risponde in fretta, prima con Milito e poi con Sneijder, sempre più dominante nei calci di punizione. Le cose sembrano essersi sistemate, ma allo scadere del primo tempo Albin Ekdal pareggia i conti sfruttando un buco difensivo e mandando le squadre negli spogliatoi sul risultato di 2-2.

Nel secondo tempo la situazione si fa ancora più complicata, perché Maccarone, innescato da Reginaldo, va di nuovo in rete. Nonostante manchi ancora del tempo alla fine, l’allenatore portoghese sfodera tutto il suo arsenale offensivo inserendo Arnautović e Stevanović, e, su un copione già visto a Kiev, facendo salire Samuel tra gli attaccanti.

La situazione rimane statica fino a due minuti dalla fine, quando Sneijder mette in rete una punizione clamorosa da trentacinque metri, spedendo la palla contro il palo e poi in rete e trasformando il Meazza in una bolgia infradiciata dalla pioggia e dalle urla di incitamento. I minuti passano, ma in pieno recupero passa anche il pallone: al termine di un’azione corale orchestrata da tutto il centrocampo nerazzurro, la sfera finisce tra i piedi di un muro argentino abituato a stare nella sua, di area di rigore. Samuel non ci pensa due volte, stoppa e tira di mancino, prima di andare ad esultare sotto la Nord. Una conclusione da apoteosi totale della follia.

I gol al minuto 19:55, 25:35, 37:30, 38:40, 1:11:15, 1:35:10 e 1:40:10




Il girone di ritorno si apre dunque al San Nicola di Bari. L’Inter soffre di nuovo contro i biancorossi, ma tutto accade nel giro di quindici minuti. Al 60’ e al 63’ due rigori di Barreto portano i biancorossi avanti di due, al 67’ Pandev accorcia, prima di procurare il rigore con cui Milito pareggia al 75’. Sullo stesso spartito dell’andata, quindi, l’Inter arriva al Derby di Milano dopo un risultato insoddisfacente, contro un Milan in piena ripresa e che ha recuperato, grazie alla gestione Leonardo, un Ronaldinho in forma smagliante.

Insomma, le premesse per una grande partita ci sono tutte. Si gioca da subito a ritmi altissimi, ma a passare è l’Inter, con il solito Milito che approfitta di una grossa ingenuità di Abate per infilare Dida. La partita è apertissima, ma anche tesissima, e se all’andata era stato Gattuso a fare le spese del nervosismo, al ritorno è Sneijder a mettersi nei guai, applaudendo ironicamente l’arbitro dopo un’ammonizione indirizzata a Lúcio. Inter in dieci uomini per sessantacinque minuti.

Il Milan preme a più non posso tra primo e secondo tempo, ma Mourinho non snatura la squadra e tiene in campo i due attaccanti di giornata, Pandev e Milito. Júlio César risponde in più occasioni agli attacchi rossoneri, mentre i due davanti danzano con il pallone. Una giocata in solitaria di Milito porta ad un palo di Pandev, ma la cesura della gara è alle porte.

Pandev sta per essere sostituito da un più corposo Thiago Motta, ma c’è una punizione dal limite. Mourinho fa segno di aspettare, vuole che sia il macedone a batterla. Goran Pandev obbedisce, prende il pennello e disegna una parabola perfetta, lasciando Dida di stucco e permettendo di nuovo al suo carismatico coach lusitano di prendersi meriti e copertina. L’immagine di Mou che urla ad un suo collaboratore: «Te l’avevo detto!» è storia.

Potrebbe finire qua, ma il Derby regala emozioni continuate. All’inizio dei minuti di recupero prima Huntelaar impegna di nuovo Júlio César, poi un tiro in area di rigore sbatte sul braccio di Lúcio. Per l’arbitro è rigore ed espulsione per il centrale brasiliano. Con ancora cinque minuti da giocare e l’Inter in nove, un gol potrebbe riaprire tutto. Ma Ronaldinho non segna, perché Júlio César ha studiato il suo schema di rigori e sa esattamente dove tirerà. Spinge, vola e, per dirla con le parole di Caressa, «spegne le luci a San Siro».

In una discussa, ma leggendaria intervista post-partita ai microfoni di RaiSport, Mourinho asserisce, con il suo mix polemico di portoghese e italiano, che l’unico modo per perdere questa partita sarebbe stato farlo a tavolino dopo essere arrivati a sei uomini in campo, ma che se l’Inter fosse rimasta in campo, l’avrebbe vinta anche con sette uomini senza problemi.

Sembra una sciocchezza, una classica uscita alla Special One, ma stavolta c’è convinzione nelle sue parole. Non è una provocazione fine a sé stessa la sua, ma un manifesto, una dichiarazione. Noi ci siamo, e vinciamo le partite anche in sette. Dovete avere paura della squadra che siamo diventati.


L’Inter del Triplete – Perdere terreno, manette e fazzoletti, London Bridge is falling down

Prima di una breve sosta, Lúcio e Balotelli nel recupero piegano la Juventus nei quarti di finale di Coppa Italia, spedendo i nerazzurri in semifinale contro la Fiorentina, liquidata cinque giorni dopo nella semifinale d’andata da una rete di Milito. L’Inter è sempre più corazzata, anche nella competizione più trascurata, anche con assenze del calibro di Eto’o. Un’armatura di forgiatura portoghese che non si può spezzare nemmeno con una sconfitta.

Prima partita di campionato del mese di febbraio, la sfida con il Parma viene sospesa e recuperata dopo la vittoria schiacciante ottenuta in casa sul Cagliari per 3-0 grazie alle reti di Pandev, Samuel e Milito. Nel recupero del Tardini apre Bojinov e chiude Balotelli, con il risultato fissato sull’1-1. La trasferta a Napoli finisce sullo zero a zero e dà inizio ad un periodo di flessione in campionato che di fatto si estenderà inesorabilmente, culminando nel match dell’Olimpico contro la Roma di Ranieri. Una fase di discontinuità non casuale, ma poggiata sull’enorme vantaggio accumulato dall’Inter già alla ventiquattresima giornata, che permette ai nerazzurri di concentrarsi su situazioni più impellenti, di natura inglese.

Prima di pensare al Chelsea di Carlo Ancelotti, campione d’Inghilterra in carica e deciso pretendente alla vittoria finale, è necessario affrontare la Sampdoria a San Siro. Quella che potrebbe sembrare una partita di importanza marginale, diventa de facto l’espressione di quello che potremmo chiamare mourinhismo.

Un match ostico fin da subito, ma che diventa molto più complicato al trentunesimo, quando Tagliavento espelle Samuel per doppia ammonizione. Il manager portoghese prova a tutelarsi inserendo Lúcio per Muntari, ma al trentottesimo Tagliavento sanziona per la seconda volta anche Córdoba, privando di fatto l’allenatore portoghese dei due centrali difensivi della difesa a quattro.

Che le espulsioni fossero giuste o meno conta davvero poco. Quello che rimarrà impresso nella memoria di quella serata è un istrione portoghese travestito da allenatore che, magistralmente, rende plateale il suo disaccordo con il direttore di gara girandosi verso il suo pubblico e mimando con le mani delle manette che racchiudono tutto il succo della sua polemica.

San Siro è un teatro di pubblico affine, che sa rispondere alle provocazioni degli attori. Quel gesto, che costerà allo Special One tre giornate di squalifica, crea un clima di gioco che manda in confusione tutti tranne i giocatori dell’Inter. A fine primo tempo, il Meazza asseconda il suo condottiero lusitano con una bordata di fischi assordante, al punto che sembra che non stiano fischiando Tagliavento, ma il mondo intero.

Mourinho non opera più cambi difensivi, ma mantiene l’assetto normale della squadra, lasciando tutti gli attaccanti in campo e rinunciando a due centrali di difesa puri. Gli schemi saltano, l’Inter attacca e difende in nove, non senza creare pericolo. Dopo dieci minuti di secondo tempo, lo stadio, che ha avuto tempo a sufficienza per organizzarsi durante l’intervallo, si esprime ancora più chiaramente con una delle più eclatanti manifestazioni di dissenso sportivo. Da estremo ad estremo, migliaia di fazzoletti bianchi sventolano dalle gradinate, impietosi.

Milito viene sostituito da Pandev. Solo alla fine Mourinho cede e sostituisce Sneijder con un giocatore di copertura, Thiago Motta. A quindici minuti dalla fine viene espulso anche Pazzini nella Samp, e ad un soffio dallo scadere Eto’o spara addosso a Storari un pallone che avrebbe potuto rappresentare una delle vittorie più epiche della storia nerazzurra recente. Ma poco cambia, perché questo 0-0 sarà chiave di volta della stagione e ulteriore dimostrazione che l’Inter è una squadra difficilissima non solo da battere, ma anche da mettere in crisi dal punto di vista psicologico e fisico.

E non è solo la Serie A a dare questa impressione. Il primo, colossale ostacolo a presentarsi davanti alla Beneamata in Champions League sono appunto i blues. I nerazzurri li affrontano all’andata, in casa, a San Siro, e a Milito bastano tre minuti per mettere le cose in chiaro con la sua classica finta a rientrare e un tiro preciso sul primo palo. Che l’Inter soffra, è praticamente ovvio. Ma lo fa consapevolmente, senza risparmiarsi sortite e contropiedi orchestrati. Una strada che sembra sottile come il filo di un rasoio pian piano si allarga fino a diventare un ponte percorribile, anche se decisamente impervio. Il Chelsea è duro a domarsi, come dimostra anche il gol di Kalou, su cui Júlio César ha delle colpe non indifferenti.

Proprio il portiere brasiliano è reduce da uno schianto in automobile in cui ha rischiato qualcosa di più che ferite superficiali, e Mourinho non l’ha presa affatto bene. Il tecnico lusitano però non si fida di Toldo e Orlandoni, e spedisce in campo il suo portiere titolare con il volto vistosamente tumefatto. Quando il tiro di Kalou, più che parabile, arriva, César combina un mezzo disastro e regala il pareggio ai blues. Quattro minuti dopo è Cambiasso, d’insistenza, a ribattere in rete un suo stesso tiro respinto dalla difesa inglese. A ritmo di tango l’Inter si porta a casa un 2-1 combattuto, ma maturo, in attesa del difficilissimo ritorno a Stamford Bridge.



In campionato, il periodo di flessione sembra terminare con un divertente 3-2 in casa dell’Udinese, con reti di Balotelli, Maicon e Milito. In realtà, la buona prova di Udine è preludio di una fase di crisi ancora più profonda, a cominciare dallo 0-0 in casa con il Genoa la settimana dopo, passando per la dolorosissima sconfitta esterna per 3-1 maturata nel quarto d’ora finale del Massimino di Catania, e proseguendo con il pareggio, sempre esterno, a Palermo, sigillato da Milito e Cavani. Piccoli incidenti di percorso che si ingrossano sempre di più nel tempo e che, pur non facendo perdere all’Inter la testa della classifica, contribuiscono ad assottigliare quell’enorme divario che aveva contraddistinto la prima parte di stagione, avvicinando pericolosamente la Roma, ormai emersa come seconda forza nazionale con il Milan.

Tra Catania e Palermo, però, una nota dolcissima. A Stamford Bridge, l’Inter fa l’ennesima partita epica della stagione, con la quale assurge seriamente a pretendente reale alla vittoria. Un match in cui spiccano le prestazioni del quartetto difensivo, più volte decisivo sui tentativi di Drogba e compagni. Ma, soprattutto, una partita in cui l’Inter dimostra di avere l’ultima caratteristica da grande squadra che le mancava: essere letale.

Quella col Chelsea è ancora una contesa nervosa, aperta e difficilissima, ma nonostante la pressione dell’ambiente e l’evidente nervosismo degli avversari, gli uomini di Mourinho non perdono mai la testa e proseguono con un calcio fatto di verticalizzazioni rapide e precise, al centro del quale, come un sole, sta Wesley Sneijder.

Colpo su colpo, Samuel, Lúcio e compagnia respingono gli assalti incessanti dei londinesi finché, in fondo al tunnel, al minuto 78, Sneijder non trova uno spiraglio. A correre verso il pallone stavolta non è Diego Milito, ma un attaccante centrale adattato a terzino che, dopo più di un’ora passata correndo avanti e indietro per togliere spazio vitale ad Anelka, ha ancora la forza di gettarsi in avanti, bruciare tutti i contendenti e bucare Turnbull con un esterno sul suo palo. Londra crolla ai piedi di Samuel Eto’o.

A quel punto, la squadra che avrebbe dovuto mantenere la calma mentre l’altra affogava nella marea blu di Stamford Bridge perde definitivamente il senno. Sarà Drogba a farne le spese con un rosso diretto di pura rabbia. Assieme a lui, spariscono anche le ultime velleità di rimonta degli inglesi. L’Inter è ai quarti di finale di Champions League.



L’Inter del Triplete – Scontro diretto, pratiche russe, sorpassati

In un momento così delicato della stagione, le rotazioni diminuiscono in modo considerevole. Oramai per la sua Inter Mourinho tende a schierare sempre i migliori, nei suoi occhi c’è già il sogno del Triplete. Questa mancanza di reali alternative non rende le cose facile ai nerazzurri, stanchi e alle corde in campionato.

Dopo aver schiacciato con facilità il Livorno con la doppietta di Eto’o e il gol di Maicon, Mourinho si ritrova ad affrontare lo scontro diretto più complesso della stagione, contro la Roma di Claudio Ranieri. Una vittoria gli permetterebbe di staccarsi definitivamente dai suoi competitor principali, una sconfitta riaprirebbe il campionato senza appello, mettendo a serio rischio le ambizioni nazionali nerazzurre.

Nonostante le premesse, la sfida dell’Olimpico se la aggiudica la Roma, complici i pali – ben tre – colpiti dai nerazzurri e complice anche una partita non precisissima di Júlio César, incapace di trattenere il pallone sul gol di De Rossi. Nonostante il pareggio di Milito, i giallorossi pescano il jolly con una girata magnifica di Toni e si portano a tiro della capolista.

Nella settimana successiva, l’Inter è di nuovo impegnata in Champions, ma il sorteggio dei quarti di finale è stato decisamente più clemente. Ad affrontare i nerazzurri è il CSKA Mosca. In Europa la Beneamata non sbaglia più, anche se all’ora di gioco la partita ha tutta l’aria di essere stregata, tra occasioni clamorose non sfruttate e miracoli di Akinfeev. Al 65’, però, una danza nello stretto di Milito permette all’argentino di liberare un tiro lento, ma fatale, che si insacca in rete. Nonostante continue pressioni per rendere il risultato più rotondo, la partita si chiuderà soltanto sull’1-0, un parziale troppo stretto per dichiarare la pratica già archiviata.

Dopo un altro 3-0, stavolta sul Bologna, con doppietta di Thiago Motta e rete di Balotelli, sarà il freddo moscovita a sancire il passaggio in semifinale. Per chiudere definitivamente i giochi, basterà una punizione di Sneijder sotto la barriera. Il CSKA non si rende praticamente mai pericoloso, e i tre gol da segnare a quel punto sembrano davvero un ostacolo insormontabile. La partita si trascina stancamente fino al 90’, prima di decretare il passaggio dell’Inter in semifinale, dove incontrerà nuovamente il Barcellona, che ha liquidato l’Arsenal.

La felicità per il raggiungimento della semifinale fa il paio con la delusione per la domenica successiva di campionato. In casa della Fiorentina, un’Inter spenta rimonta nel finale la rete iniziale di Keirrison con i gol di Eto’o e Milito, soltanto per farsi riprendere da una zampata di Kroldrup a dieci minuti dalla fine. Il pareggio significa salutare la vetta della classifica in favore della Roma, che si fregia di un Vučinić in stato di grazia per battere l’Atalanta e guadagnarsi la testa della corsa.

Il Mourinho sereno e sicuro di sé di inizio campionato sembra essere sparito, trasformato in un fascio di nervi che non le manda a dire a nessuno, anche quando non ce n’è bisogno. Dopo il match con la Fiorentina, accuserà entrambi i gol della viola definendoli irregolari, nonostante le immagini provino il contrario. Mourinho in realtà sa bene quello che sta facendo: creare uno scudo impenetrabile davanti allo spogliatoio è sempre stata la sua specialità, attirarsi addosso le critiche per risparmiarle ai calciatori, rendersi protagonista anche in negativo, per supportare emotivamente la sua squadra in un periodo difficile. La tattica funziona.


L’Inter del Triplete – Prima finale, arcobaleni letali, invasione aliena

Sempre a Firenze, tre giorni dopo, Eto’o sigilla il passaggio dei nerazzurri in finale di Coppa Italia su assist di Thiago Motta, ma l’appuntamento da non perdere è quello domenicale in una delle partite più sentite dell’anno, e forse quella decisiva per vincere lo scudetto.

Al Meazza si presenta una Juventus ormai fuori dai giochi, ma ben desiderosa di spodestare gli odiati rivali dalla loro quinquennale egemonia, facendo un favore a Ranieri, impegnato nel Derby di Roma. Ne risulta una partita tesa, contratta, con poche occasioni e tanto agonismo. Anche dopo la doppia ammonizione a Sissoko, sembra che non ci sia verso di sbloccare la partita, anche perché Milito ed Eto’o sprecano palle gol clamorose. Serve un colpo di genio.

Al 75’, Sneijder mette una punizione in mezzo, Milito non riesce a controllare e la palla viene respinta. Si alza uno strano pallonetto, che sembra favorire Maicon, fuori area. Un giocatore normale avrebbe messo giù il pallone, ma l’esterno brasiliano non rientra nella categoria. Il colosso non stoppa la palla, la accoglie con un palleggio di coscia. Con la palla rimessa delicatamente in aria, si avventa su di lui Amauri, in uscita dall’area di rigore, dove era andato a saltare. Maicon lo vede e, con il collo del piede, effettua un sombrero con il quale ottiene due ottimi risultati: il primo è saltare l’attaccante ex Palermo, il secondo è spostarsi in una posizione più centrale fuori dall’area di rigore, spalancando davanti a sé la visione della porta di Buffon. Ma è ancora troppo presto per calciare. Realizzando di essere praticamente solo e di avere dei secondi a disposizione, il numero tredici si aggiusta nuovamente il pallone con la coscia per preparare la sua bordata al meglio, prima di disegnare il suo tiro come se fosse un arcobaleno.

Sneijder ha battuto la punizione diciotto secondi dopo il settantaquattresimo. Quando la palla tocca di nuovo terra, dieci secondi dopo, è avvolta nella rete bianconera. Le reazioni della Juve sono deboli e spente, anche per via dell’uomo in meno. Sarà Eto’o a fare 2-0 al 91’, riportando momentaneamente l’Inter in vetta, prima che i nerazzurri vengano nuovamente scavalcati dalla Roma, vittoriosa nel Derby per 2-1.

Ciononostante, nel confronto con i bianconeri l’Inter si riscopre forte e in grado di rispondere alle chiamate decisive, tenendo aperte le sue speranze di campionato. Un buon preludio ad una sfida contro i migliori.

I gol al minuto 1:20:50 e 1:38:05




Il Barcellona è sicuramente la squadra più in forma del mondo, forgiata e consacrata negli ultimi dieci anni come una continua asserzione di dominio anarchico perfettamente organizzato. Per la maggior parte del mondo del calcio i blaugrana sono alieni, corpi armonici estranei a questa terra, e più di tutti il ragazzino basso con la maglia numero dieci. Il loro gioco è un’orchestra di contraddizioni, talmente veloce da sembrare casuale, ma in realtà concretamente sintonizzata sullo stesso spartito. Mourinho sa che per battere una squadra così servono prima di tutto convinzioni e concentrazione, oltre ad un modo per fermare Messi.

Lo Special One prepara una gabbia sull’argentino: ovunque si fosse mosso, avrebbe dovuto avere un giocatore dell’Inter pronto ad aggredirlo e non dargli spazio di manovra. L’obiettivo prevedeva che la Pulce, da sempre in grado di svariare con grande efficacia sul fronte offensivo, venisse sottoposta ad un continuo scambio di marcatori a seconda della posizione occupata in campo, in modo che il suo accentrarsi non tirasse all’interno anche il suo marcatore diretto, Zanetti, evitando così di lasciare Dani Alves indisturbato.

In fase offensiva invece l’idea di Mourinho era quella di sfruttare le fasce laterali con contropiedi veloci, in modo da poter sorprendere i terzini offensivi del Barcellona. Una soluzione tattica simile, anche se in un contesto diverso e di vantaggio, si era vista a Stamford Bridge contro il Chelsea di Ancelotti.

Per mettere in atto il tutto, la formazione schierata è senza vie di mezzo, e non rinuncia ai tre attaccanti con Sneijder alle loro spalle. I due centrali di centrocampo, d’altra parte, sono Cambiasso e Thiago Motta, due maestri dell’impostazione e del posizionamento difensivo.

L’Inter sembra avere bisogno di un po’ di rodaggio, ma in realtà riesce da subito a mettere in atto efficacemente questo sistema di ripartenze a catena. Milito, imbeccato da Eto’o e da solo davanti al portiere, viene bloccato da un fischio per fuorigioco in realtà inesistente. Poi lo stesso argentino si divora un gol dopo un tiro di Eto’o respinto corto da Valdés. Nonostante il buon approccio alla gara, è il Barcellona a passare in vantaggio. L’ex Maxwell sfonda a sinistra e trova Pedro, che spedisce la palla in rete senza esitazione.

L’Inter non molla, ma Milito cestina un’altra chance colossale. Sembra proprio che non sia la sua serata, e pare averlo capito anche lui. È per questo che, al 30’, quando gli arriva in area un cross rasoterra da Eto’o, invece di tirare al volo protegge il pallone, spalle alla porta, braccato da Puyol e Piquè. Accanto a lui, quasi d’impiccio, c’è Pandev, che si è tirato dietro Dani Alves in marcatura.

Con un movimento rapido il macedone si sposta e lascia libero lo spazio a sinistra, dove si è infilato Sneijder. Milito se ne accorge e lo serve, il cecchino olandese non sbaglia e la partita torna in equilibrio, per rimanerci fino a fine primo tempo.

Nella sua biografia, ‘Giocare da Uomo‘, Zanetti ha raccontato alcuni dettagli di quell’intervallo. Ciò che spicca più di ogni altra cosa è la sicurezza. Mourinho è certo di vincere. «Li battiamo 4-1!» continua a ripetere alla squadra.

Al rientro, l’Inter è, se possibile, più decisa di prima. E la tattica di Mourinho di servirsi delle fasce paga, prima con Milito che non riesce a trovare Pandev in mezzo per un soffio, poi con l’azione che porta al 2-1. Pandev entra in possesso del pallone sulla sua trequarti e si libera con un numero, facendo scattare il contropiede. Dopo una quarantina di metri palla al piede, il macedone apre sulla destra per Milito. Maxwell buca la copertura, sia Puyol che Piqué si gettano ingenuamente sull’argentino, mentre Maicon approfitta del buco lasciato per infilarsi ed entrare in area, superando in velocità Keita. Milito lo serve e Maicon appoggia delicatamente in rete, scavalcando anche Valdés in uscita. Il secondo tempo è appena iniziato, ma San Siro è già in festa.

Poco dopo Júlio César si supera su un colpo di testa di Busquets. La lotta è senza esclusione di colpi, il gioco è spesso spezzettato da falli e interruzioni. Ma l’Inter colpisce di nuovo, e stavolta lo fa con la sua arma migliore. Thiago Motta, autore di una prestazione di contenimento e interdizione straordinaria, recupera un pallone importantissimo sulla trequarti catalana servendo Eto’o sulla fascia. Il cross del camerunense è lungo per Milito, ma perfetto per Sneijder che serve il Principe dall’altro lato. Milito non può davvero sbagliare a questo punto, ma soltanto fare 3-1.

Gli attacchi del Barcellona si infrangono sulla difesa nerazzurra come acqua contro una diga, e l’Inter va addirittura vicina al 4-1 con un destro terrificante di Balotelli da distanza siderale. Al 90’ è un trionfo, e gli alieni tornano a casa con in testa una prospettiva decisamente più terrestre e la consapevolezza che, stavolta, la strada è davvero in salita.



L’Inter del Triplete – Speranza di un pazzo, lasciarci la pelle, idranti e finali

Per Mou è la settimana della svolta. Il 24 aprile l’Inter recupera momentaneamente la testa della classifica con un secco 3-1 all’Atalanta, con le reti di Milito, Mariga e Chivu a ribaltare l’iniziale vantaggio bergamasco firmato Tiribocchi, e il 25 aprile all’Olimpico succede l’imponderabile. La Roma gioca una partita splendida contro la Sampdoria, dominando in lungo e in largo il primo tempo e chiudendolo sul risultato di 1-0, con svariate occasioni che però non vengono capitalizzate. Nel secondo tempo, dopo nemmeno dieci minuti, Pazzini pareggia. La Roma si proietta in avanti alla ricerca del gol vittoria, ma alla fine della gara è di nuovo Pazzini a colpire, riconsegnando di fatto ai nerazzurri la vetta della classifica.

Fu sera e fu mattina. Il pendolo ondeggia di nuovo, e un’Inter con in mano il suo destino in ogni competizione si affaccia sulle rumorose ramblas catalane. La cantilena è stata solo una per l’intera settimana: remuntada. Una missione che sembra assolutamente alla portata dei blaugrana. Con largo anticipo è stato lanciato uno spot intitolato ‘Ens hi deixarem la pell‘, ‘Ci lasceremo la pelle‘, in cui si invitano i tifosi a presentarsi allo stadio in gran numero per spingere la squadra alla rimonta. Un ambiente che ci crede e fa di tutto per disturbare l’arrivo di Mourinho, passando addirittura la nottata prima della partita a cercare di tenere svegli i nerazzurri con pentolacce e trombette. La vigilia è rovente.

È inoltre un lungo preludio di stoccatine e pretattica, quello che precede lo scontro finale, ma il clima torrido è molto più evidente quando, la sera, il Camp Nou si riempie di quasi centomila tifosi pronti a ruggire come una sola, gigantesca curva. I tifosi dell’Inter vengono confinati in uno scompartimento laterale, molto in alto, il più lontano possibile dal campo.

Il colpo d’occhio è incredibile, le grida assordanti. È una vista che farebbe tremare le gambe anche al più esperto dei giocatori. In una situazione di vantaggio e in un ambiente così complesso, lo Special One rinuncia alle sue tre perle offensive, sacrificando Pandev, sostituito da un più conservativo Chivu. Il rumeno viene schierato a sinistra come ala, ma in realtà il suo compito è aiutare Zanetti a raddoppiare efficacemente su Messi. A centrocampo Thiago Motta e Cambiasso coprono dietro a Sneijder, pronto ad innescare Eto’o e Milito.

Dal fischio d’inizio in poi, è un costante rumore blaugrana. La partita che la Beneamata ha preparato e prettamente contropiedista, come ci si poteva aspettare, ma le folate catalane si abbattono con una veemenza tale che è difficile capire per quanto potrà resistere l’Inter. È, di fondo, uno stato prolungato d’assedio. A creare più problemi di qualsiasi altra cosa sono un paio di incursioni di Pedro, che però quasi mai conducono a risultati concreti. Il Barcellona palleggia stanziato permanentemente sulla trequarti nerazzurra, l’Inter aspetta e riparte con quel che ha, sacrificando ogni velleità offensiva per reggere l’urto, e facendolo molto bene. Gli spazi si chiudono impietosi di fronte ai campioni d’Europa in carica, con Cambiasso, Lúcio e Samuel assoluti protagonisti. Le batterie del pubblico, fino a quel momento ininterrottamente coinvolto nell’azione, cominciano a scaricarsi, gli assalti si rarefanno. Almeno fino al minuto 28.

Thiago Motta protegge il pallone da Busquets e, nel farlo, gli striscia la mano sul volto. Il regista spagnolo si getta a terra con le mani sul viso, facendo interrompere all’arbitro il gioco. De Bleeckere si avvicina a Thiago Motta, già ammonito, e lo caccia con un rosso diretto dal campo, mentre qualcuno nella panchina del Barcellona mima il gesto di un’inesistente gomitata. Mentre l’italo-brasiliano si allontana sconsolato dal terreno di gioco, consapevole che non potrà giocare un’eventuale finale, le telecamere della regia internazionale pescano Busquets, tutt’altro che dolorante nonostante la messinscena, mentre si scopre il volto per capire se il suo avversario è stato espulso.

Le conseguenze di questa espulsione sono facili da predire. Un pubblico e una squadra che avevano mostrato segni di cedimento si rianimano e ricominciano a spingere, mentre gli uomini di Mourinho devono riassestarsi per evitare scossoni. Messi prova ad approfittare di questo periodo confuso e si infila in mezzo al campo, privo della copertura di Thiago Motta, per far partire un mancino potente e preciso. Il tiro si infilerebbe nell’angolino basso se Júlio César non estraesse dal cilindro la parata dell’anno, deviando il pallone al di là dal palo con i polpastrelli. I rinnovati assalti blaugrana hanno poco seguito. Si segnalano un paio di tiri di Ibra, uno fuori su calcio di punizione, e uno invece murato da Samuel allo scadere del primo tempo.

Sta di fatto che, in dieci oppure no, al termine dei primi quarantacinque minuti il risultato dice 0-0, e che in questi quindici minuti di intervallo Mourinho ha tempo di sistemare la formazione e riorganizzare le marcature. Guardiola sostituisce Gabriel Milito con Maxwell per dare ancora più spinta, mentre il tecnico lusitano porta all’estremo il sacrificio che Eto’o sta facendo da gennaio, facendolo arretrare il più possibile, quasi ad esterno basso, con il compito di solcare la fascia con la palla al piede e rientrare immediatamente non appena il possesso torni in mano al centrocampo avversario. Zanetti avanza a metà campo, raccogliendo l’eredità di Motta, mentre Chivu arretra a terzino. L’attacco non esiste più, serve solo a dare profondità, e quando anche Milito viene costretto ad arretrare a sinistra per non lasciare libero Alves, l’uomo più avanzato diventa praticamente Sneijder.

Ci si aspetterebbe, logicamente, un aumento della qualità delle occasioni create dalla compagine catalana, ma la realtà è che il secondo tempo rientra nella categoria della sofferenza controllata. Non significa che l’apparato difensivo nerazzurro non venga messo sotto stress, anzi. Del resto, a tenere palla in zona offensiva sono sempre i calciatori del Barcellona. Ma i cross, gli approcci, i dribbling, tutti sbattono su un muro umano che sembra impenetrabile.

Sono attimi drammatici per qualunque tifoso nerazzurro, ma, come disse anche in radiocronaca Francesco Repice, sono anche «momenti esaltanti» per una squadra che da tanto tempo non si trovava a questi livelli. Guardiola inserisce Bojan per Ibrahimović e Jeffren per Busquets, mentre il primo cambio di Mourinho è Muntari per Sneijder. Proprio Bojan ha un’occasione colossale per rialimentare le speranze dei 95.000 del Camp Nou, ma a due passi dalla porta spreca con un colpo di testa che passa a fil di palo.

Nonostante tutto, a cinque minuti dalla conclusione il Barcellona passa. Un’imbucata trova Piqué in posizione dubbia in area di rigore. Lo spagnolo salta l’uscita di Júlio César e deposita il pallone in rete. Mancano quattro minuti più recupero, il Camp Nou si rianima di nuovo, e l’assedio si fortifica negli ultimi spasmi di partita. Sono minuti di importanza capitale per la stagione europea nerazzurra. Milito è uscito poco prima della rete per far spazio a Córdoba, mentre con il cambio successivo Mourinho toglie uno sfinito Eto’o per mettere Mariga. È difesa totale, senza appelli. Prima ci prova Xavi, ma la sua conclusione viene respinta da Júlio César. Poi, al 91’, dopo un rimpallo addosso a Keita, Bojan recupera e spara in porta. La palla entra in rete, e qualsiasi interista che vi dica che il suo cuore non si è fermato in quel momento esatto, mente. Ma l’arbitro ha visto un fallo di mano. È stato Keita, sul rimpallo, a colpire il pallone con il braccio. Cinque secondi lunghissimi per capire cosa è successo, e poi si ricomincia, sempre sull’1-0.

È il culmine. Gli ultimi, sterili assalti blaugrana si spezzano contro una barriera di volontà imprescindibile e insuperabile. Una spazzata finale, il triplice fischio. È appena passato il minuto 96, la partita è finita. Prima ancora che i nerazzurri possano cominciare a festeggiare, partono gli idranti per scoraggiarli. A nessuno importa niente, finalista bagnata, finalista fortunata. Mourinho, con il dito teso verso il cielo, corre in mezzo al campo mentre l’acqua lava via tutte le riserve del finale di stagione. Si va in paradiso, a Madrid, a giocarsi tutto.

«Era una partita dove io non volevo la palla, perché il Barcellona vuole pressare per fare il suo famoso tiki-taka, ma se noi non abbiamo la palla come fanno a pressarci? Loro si portano a casa il pallone, noi ci portiamo a casa la finale»

Galvanizzata dall’impresa europea, l’Inter si libera senza problemi della Lazio in campionato, con le reti di Samuel e Thiago Motta. È il 2 maggio, e di fatto la squadra di Mou non rientra nemmeno a Milano perché, ad attenderla a metà settimana, c’è una finale di Coppa Italia da giocare contro i rivali in patria della Roma di Claudio Ranieri.


L’Inter del Triplete – Campioni al cubo, leggenda e lacrime a Madrid, epilogo

È il 5 maggio e si gioca all’Olimpico, non esattamente un binomio che fa impazzire i tifosi nerazzurri se si conosce un po’ di storia dell’Inter. Ma, forse, è arrivato il momento di sfatare, o quantomeno alleggerire, lo sbiadito fantasma di quel pianto di Ronaldo e di quel fallimento epocale, regalando a milioni di tifosi un motivo per gioire come se stessero festeggiando un anniversario.

Il clima è chiaramente di parte. Siamo nella città degli sfidanti, nel loro stadio, è del tutto naturale che la spinta del pubblico sia più in direzione giallorossa. Mourinho continua a schierare i titolarissimi, ormai scolpiti nella roccia. Serve una partita di grande carattere per fronteggiare una squadra che in quella stagione l’Inter non è mai riuscita a battere. La sorpresa nelle fila dei capitolini è l’assenza di Francesco Totti dal primo minuto.

Mourinho fa ancora parlare di sé. Non è contento dell’accoglienza, a suo dire eccessiva, riservata ai padroni di casa in quella che di fatto dovrebbe essere una partita neutrale, così come non è contento dell’inno della Roma ad inizio serata. Soprattutto, però, non è contento dell’andazzo che prende la partita sin dal secondo minuto di gioco, quando Sneijder viene steso e infortunato da un fallo piuttosto duro di Burdisso, che se ne va non sanzionato. Al posto dell’olandese entrerà Balotelli.

L’atteggiamento della Roma è decisamente troppo aggressivo, non in senso tattico, ma in una concezione di supremazia squisitamente fisica. È come se i giallorossi cerchino di marcare il proprio territorio tramite i contrasti, ma spesso lo fanno con foga eccessiva e senza utilità. Di fatto, quella che dovrebbe essere semplicemente una partita di calcio, degenera in breve tempo in una corrida. Burdisso, Mexès, Taddei, Perrotta, tutti giocatori di grande calibro ed esperienza, si rendono autori di atteggiamenti decisamente sopra le righe e di interventi rischiosissimi.

Il gol di Milito a fine primo tempo – un grande gol, che consegnerà la Coppa Italia all’Inter – passa davvero in secondo piano di fronte ad una partita in cui l’agonismo diventa cattiveria pura, e il cui emblema sarà un nervosissimo Totti, già autore di un brutto fallo su Milito non sanzionato, che nel finale di partita perde completamente la testa e colpisce con un calcione Balotelli, con conseguente rosso diretto. Nemmeno il triplice fischio sederà gli animi in campo, con una rissa che terrà occupati tutti. La premiazione restituisce un po’ di serenità all’ambiente, e il primo obiettivo dell’anno all’Inter. Non è una vittoria di poco conto, ovviamente. Fornisce ulteriore sicurezza alla compagine meneghina, nel caso ne fosse servita dopo la battaglia del Camp Nou, e rende Milito nuovamente l’uomo decisivo della squadra, con un gol bellissimo e pesantissimo. E il Principe ci prenderà gusto.

Il gol al minuto 41:35




La cavalcata prosegue, mancano le ultime due partite di campionato prima della finale di Champions. Partite che è necessario vincere per rimanere davanti alla Roma, che segue gli eventi molto da vicino. Inter-Chievo potrebbe essere già festa scudetto. Ad aprire la partita è un’autorete di Thiago Motta, immediatamente raggiunta da un autogol di Mantovani. I nerazzurri prendono il largo con le reti di Cambiasso, Milito e Balotelli, e, nonostante le marcature di Granoche e Marcolini, sono virtualmente campioni d’Italia fino al minuto 83 di Roma-Cagliari, quando Totti firma la sua doppietta in quattro minuti, ribaltando il gol rossoblù di Lazzari e regalando ai suoi tifosi ancora una partita di speranza.

Il che ci porta direttamente all’ultima giornata della Serie A 2009/2010, in cui l’Inter è impegnata in una trasferta complessa a Siena, mentre la Roma è ospite del Chievo al Bentegodi. All’Inter basta, ovviamente, fare lo stesso risultato della Lupa. Con Sneijder, di nuovo disponibile, c’è Balotelli dal primo minuto. In difesa, Materazzi viene preferito a Lúcio, con Zanetti a sinistra al posto di Chivu. A centrocampo i soliti noti ad appoggiare le tre punte.

Che sia una partita complessa, lo si capisce da subito, quando al sesto minuto Ekdal – spauracchio che diventerà perenne per i nerazzurri – aggancia un bel pallone di Codrea in area di rigore, fa fuori Maicon e, d’esterno, piazza la palla a centimetri dal palo alla sinistra di Júlio César.

Non sarà l’unico pericolo di giornata per il numero numero dodici brasiliano. L’Inter comincia a prendere un po’ di confidenza con il campo, senza trovare però la precisione necessaria per andare in rete. Balotelli mette fuori da eccellente posizione su un cross di Maicon dalla trequarti. Non passa nemmeno un minuto, ed è lo stesso Balotelli ad innescare Milito sul filo del fuorigioco. A tu per tu con Curci, ma in posizione defilata, l’argentino tenta un pallonetto che si spegne sul fondo. Al ventunesimo, è di nuovo Balotelli a fare da sponda per Milito su un cross di Maicon, ma Curci risponde al colpo di testa del Principe.

Il forcing si fa più pesante, Thiago Motta ci prova schiacciando verso la porta durante un calcio d’angolo, ma l’ex Roma si oppone ancora. Anche Eto’o, due minuti dopo, in deviazione aerea, trova i guantoni del portiere del Siena. Il rischio di una strategia così offensiva, per una squadra abituata a colpire negli spazi come l’Inter di Mourinho, è quello di lasciare buchi che gli avversari possono sfruttare. Al 36′ è Maccarone ad impegnare Júlio César con un tiro dai venticinque metri dopo un’azione personale. L’occasione più clamorosa della prima frazione ce l’ha però ancora Mario Balotelli, che su un cross dell’inevitabile Maicon gira in rovesciata sfondando la traversa. Con poca brillantezza sottoporta e un po’ di sfortuna, la Beneamata torna negli spogliatoi da seconda in classifica. A Verona, infatti, la Roma è passata in vantaggio con la rete di Vučinić e ha poi raddoppiato con De Rossi.

Questa situazione potrebbe anche scoraggiare una squadra normale. Ma, come si ripeteva sin dall’inizio, l’Inter non è una squadra normale. Inoltre, le recenti vittorie l’hanno resa assolutamente sicura dei suoi mezzi e in grado di protrarre il suo assalto ancora a lungo. A rientrare dal tunnel è una squadra che sa quello che vuole e farà di tutto per prenderselo. Già al 49’ una percussione pericolosissima di Maicon viene chiusa in angolo, e tre minuti dopo Zanetti innesca Milito, la cui bordata da fuori area trova di nuovo la risposta di Curci.

Mourinho non attende oltre e inserisce il quarto attaccante, con Pandev che entra a sostituire Thiago Motta. Il caos creato nella difesa toscana da questa soluzione è evidente. Con quattro attaccanti più Sneijder in campo, chi deve marcare chi? La rapacità dell’Inter fa il resto. Al 57’, Zanetti riceve palla a sinistra, accelera, si accentra, passa in mezzo a due uomini e poi, con l’uscita su di lui del terzo, riesce a servire con un tocco di punta Milito, solo tra Rosi e Terzi. Il Principe riceve e, fulmineo, sposta palla verso la porta, prendendo il vantaggio sui suoi diretti marcatori. Rimane solo Curci da superare, ma stavolta il senso del gol di Milito non gli lascia scampo. Un tocco di esterno, rasoterra, preciso, letale. La rete si gonfia, l’argentino guadagna il suo premio ed è di nuovo pronto a scrivere la storia, anche se probabilmente, mentre corre a braccia tese verso la nutrita rappresentanza nerazzurra presente al Franchi, pensa soltanto a quanto è felice.

La partita si addormenta un po’, ma non è finita. Mourinho passa immediatamente a tre a centrocampo, inserendo Stanković per Balotelli, e poi rilevando Sneijder per Chivu e avanzando Zanetti a centrocampista centrale, per avere più densità e meno fantasia. Il serbo prende una traversa da fuori, e poco dopo Pandev e Milito cercano nuovamente di raddoppiare con un contropiede corale. Il Siena sembra spento e svagato, ma siccome non ne può fare a meno, ci tiene a regalare un ultimo brivido ai tifosi interisti. A cinque minuti della fine, Aleandro Rosi, altro romano ex Roma, riceve palla sulla destra e fa partire un traversone talmente strano che rischia di finire in porta. Perdere uno scudetto così sarebbe stato proprio da Inter, ma il destino nell’anno 2010 è semplicemente nerazzurro. La palla esce di un soffio. È l’ultimo spasmo prima della fine, prima del secondo titolo stagionale, prima della festa.

Il gol al minuto 1:06:50




Ad attendere i nerazzurri in finale di Champions, dopo aver spazzato via Fiorentina, Manchester United e Lione, c’è il Bayern Monaco di Louis van Gaal, ex-maestro di Mourinho. Come l’Inter, anche i bavaresi sono ad un passo dal Triplete, una parola che si cominciava a sussurrare nelle vie milanesi dopo la finale di Coppa Italia con la Roma e che ha preso sempre più corpo con il passare del tempo, fino ad esplodere dopo la vittoria del campionato. Per entrambe le squadre sarebbe la prima volta non solo per loro, ma anche per le loro nazioni. Il Bayern si gloria di una pesante ossatura tedesca che parte dal portiere Butt e arriva, in linea retta, fino alla punta mobile Thomas Müller, passando per Lahm, Badstuber e Schweinsteiger, ma il suo giocatore di maggior talento e l’uomo decisivo nel percorso europeo è l’ex Real Madrid e Chelsea Arjen Robben. Certo, l’olandese è coadiuvato da Franck Ribéry, ma l’esterno francese sarà indisponibile in finale.

Il Santiago Bernabéu si veste del suo abito migliore per accogliere due squadre che si giocheranno una finale storica per importanza, premesse e impatto. È gremito, quando le due formazioni entrano in campo, dopo uno show d’apertura di pura tradizione spagnola. L’Inter ormai non ha più segreti. All’assenza di Thiago Motta sopperisce lo spostamento a metà campo di capitan Zanetti e l’inserimento nella difesa a quattro di Chivu, con il difficile compito di neutralizzare Robben. Maicon, Lúcio e Samuel chiudono il quartetto difensivo, mentre Cambiasso e Sneijder completano il trio di centrocampo con Pandev, Eto’o e Milito in avanti. Il Bayern invece opta per una sorta di 4-2-4 con ali invertite a supporto delle due punte, Olić e Müller. Robben e Haltintop sulle fasce, Schweinsteiger e van Bommel in mezzo al campo, mentre in difesa Lahm e Badstuber sono i terzini, e la coppia centrale è formata da van Buyten e Demichelis.

Pronti, via, le prime azioni degne di nota della partita sono bavaresi. Prima un affondo di Robben sulla fascia trova Olić, che non è però in grado di mettere in rete, poi un momento di indecisione a livello difensivo riesce a liberare Robben, il cui tiro finisce in curva. La reazione dell’Inter è affidata ad una punizione di Sneijder, che da trentacinque metri prova a calciare in porta. Il pallone viene deviato da van Bommel e diventa seriamente pericoloso per Butt, costretto a metterci le mani. Non è un match spettacolare, anzi. Sembra che in entrambe le squadre la prudenza superi la sfrontatezza. I meccanismi girano, sicuri, ma negli ultimi venticinque metri ad entrambe le squadre manca qualcosa. Difficile sbloccare una situazione del genere, se non con una strategia ben costruita, o con un errore della difesa.

Al 35’, Júlio César rinvia dal fondo verso Milito, sulla trequarti avversaria. Demichelis lo segue per limitarlo, ma il Principe riesce a girare di testa verso Sneijder, su cui Lahm non ha stretto la marcatura, rimanendo largo. Non appena Milito tocca palla, comincia a correre nello spazio lasciato dal centrale suo connazionale. Il Principe è veloce, molto più veloce di Demichelis, e lo brucia creandosi lo spazio in area, uno spazio che van Buyten, occupato a controllare l’area intorno a Sneijder, non può coprire. Il passaggio del fantasista olandese arriva, preciso, sui piedi del suo attaccante. Butt esce, ma Milito si è creato il tempo per l’ultimo inganno, un leggero movimento di piede che mette il portiere sulle sue ginocchia, intrappolandolo in una finta. Al Principe, poi, basta alzare il pallone e gettarsi tra i suoi fan, prima di venire seppellito nell’esultanza dai suoi compagni di squadra.

Prima della fine del primo tempo, Sneijder ha l’occasione di raddoppiare su un assist di Milito, ma si fa ipnotizzare da Butt e gli calcia addosso di mancino. La prima frazione si chiude così, con l’Inter in vantaggio per 1-0 e un Bayern decisamente in difficoltà nella parte finale, ma sempre pericoloso. Di fatto, la seconda frazione si apre con un’occasionissima per Müller, innescato da Hamit Altintop. Da solo davanti a Júlio César, non riesce a superare l’incredibile intervento dell’estremo difensore nerazzurro. In Brasile il suo soprannome è l’Acchiappasogni, nulla di più azzeccato in una serata come questa. Anche Butt, poco dopo, fa una bellissima figura sul tiro da distanza ravvicinata di Pandev, a cui Milito ha scaricato il pallone dopo una percussione. Il portiere bavarese toglie il pallone dall’incrocio dei pali, mettendolo in angolo.

Il Bayern non ci sta, e van Gaal sostituisce Altintop con Klose, creando più di qualche problema di riassestamento alla difesa interista. Intorno al 65′ Samuel, per evitare che la palla finisca proprio al futuro attaccante della Lazio, libera su Robben, che ha il tempo di preparare la sua classica giocata. L’olandese punta Chivu, rientra sul sinistro e tira, costringendo Júlio César ad un altro intervento da Acchiappasogni, con la mano di richiamo. Entra Stanković per Chivu, con Zanetti di nuovo largo a sinistra. Mancano venti minuti alla fine.

Sneijder recupera palla a centrocampo, il Bayern è spezzato in due. Subisce fallo, ma prima di cadere a terra riesce a servire Eto’o, che allarga verso Milito. I due vanno avanti, da soli, ma la retroguardia del Bayern è in ritardo. È un due contro due. Milito, al limite dell’area, affronta van Buyten e, con una mossa rapida, si porta il pallone sul destro, come se volesse rientrare e calciare. Il belga lo vede e, goffamente, sposta il peso sulla gamba sinistra per bloccare un eventuale tiro in porta. Ma Milito lo sa, ha già fatto questa finta in tournée americana, in campionato, in Champions con il Chelsea. Con uno scarto improvviso si sposta la palla sul sinistro e si libera di van Buyten, troppo sbilanciato per rimediare. Demichelis ha lasciato Eto’o in mezzo all’area, e il camerunense chiede palla, ma il Principe ha occhi solo per la porta. La palla è di nuovo sul destro, Butt sta uscendo con le movenze tipiche della scuola di portieri tedeschi, a braccia alte e gambe larghe, ma lo spiraglio per fare gol c’è e Milito è sufficientemente lucido per centrarlo, fare 2-0 e far esplodere il settore occupato dai tifosi nerazzurri.

Il resto è un calderone di immagini e suoni confusi. Materazzi abbraccia Mourinho, Milito sotto i suoi tifosi, che piange assieme a Stanković prima della ripresa del gioco, Massimo Marianella che urla: «il Principe diventa Re nella notte di Madrid». Altri cambi, con Gómez al posto di Olić, Muntari che rileva un monumentale Goran Pandev e, infine, la standing ovation per il signore della serata e l’uomo decisivo per il Triplete dell’Inter, un ragazzo di trent’anni alla prima esperienza in un top team e in una competizione internazionale europea, che è stato in grado di fare trenta reti in stagione e di firmare tre coppe con il suo straordinario senso del gol. Milito esce accompagnato da una vagonata di applausi per far entrare, al 92’, Marco Materazzi, a cui Mourinho aveva promesso dei minuti in finale in caso di risultato favorevole. C’è ancora tempo per un paio di scorribande, ma al minuto 94 l’Inter si laurea, dopo quarantacinque anni di dolorosa astinenza e brucianti delusioni, campione d’Europa per la terza volta nella sua storia, chiudendo in gloria una stagione praticamente perfetta sotto ogni punto di vista.

Quello che accadde dopo quel triplice fischio, si sa. Mourinho che annuncia l’addio, l’abbraccio tra lui e Materazzi con entrambi in lacrime, vicino alla famosa auto che porterà lo Special One a firmare con il Real Madrid di Florentino Pérez. Il rientro in aereo, la festa di San Siro. Mourinho ha detto di recente che probabilmente, se fosse tornato per festeggiare, non sarebbe più andato via da Milano.

È un addio agrodolce il suo, doloroso e bellissimo allo stesso tempo, da eroe di teatro tragico. Uno strappo inconciliabile che, però, non l’ha mai reso meno amato dai suoi tifosi. Se chiedete ad un qualsiasi interista cosa ricorda di quella sera, di quella meravigliosa serata spagnola in cui tutti i suoi sogni più reconditi divennero realtà, vi racconterà sicuramente, con il volto velato da un po’ di tristezza, di un tractor pazzo di gioia che alza una Coppa orecchiuta sopra la testa, e di un uomo grigio, un po’ in disparte nel quadro finale, che ha preso una squadra e l’ha fatta diventare leggenda.

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