«Va benissimo, mi soddisfano tutte le condizioni, ma bisogna far fuori Ronaldinho, Deco ed Eto’o». Sono state ufficiosamente queste le prime parole di un giovane Josep Guardiola alla dirigenza del Barcellona, dopo che gli venne offerta la panchina blaugrana.
Chi è “totale” non ragiona come gli altri: Deco veniva considerato troppo vecchio per il sistema, Ronaldinho troppo protagonista – avrebbe messo in secondo piano la figura di un giovane Lionel Messi – ed Eto’o troppo sfrontato nello spogliatoio.
Non c’è spazio per le personalità troppo appariscenti in una filosofia come quella del Barça – almeno fino all’avvento della Pulce. Dinho e Deco saranno ceduti in quella stessa sessione di calciomercato, rispettivamente al Milan e al Chelsea, mentre Eto’o – per motivi ancora ignoti, e nonostante insistenti sirene inglesi – rimase in Catalogna.
Mai scelta fu più giusta. Il Barcellona tornò subito grande anche grazie al Re Leone. In quella leggendaria stagione che consacrò Pep come predestinato, i blaugrana vinsero la Champions League a Roma, atto conclusivo di uno straordinario Treble. Le firme sulla vittoria contro il Manchester United di Cristiano Ronaldo vennero impresse dal camerunese – che come nella Coppa dalle Grandi Orecchie del 2006 siglò la prima rete dei catalani – e da un piccolo ragazzino che, per la prima volta, volò veramente in alto.
Ad ogni modo, Guardiola non cambiò idea sul capitano dei Leoni Indomabili. A Milano, nel frattempo, c’era Ibra che spaccava le porte, ma aveva “mal di pancia”. Zlatan venne accolto a Barcellona a braccia aperte, e solo a stagione in corso venne giudicato incompatibile con il sistema. La pedina di scambio fu proprio Eto’o, che dalla filosofia di Guardiola passò alla sostanza e alla liquidità di José Mourinho.
Difficile essere incisivi in due poli opposti, ma quando si parla di fuoriclasse sembra tutto facile. Samuel Eto’o è fondamentale anche con lo Special One, è il primo contropiedista ed il primo fluidificante, in poche parole fa tutto lui.
La prima all’Inter è una stagione inimitabile. Segna gol pesantissimi, decide partite complicate, esce da Re dall’ostico Stamford Bridge ed è l’ultimo baluardo a crollare nell’inferno catalano che solo un anno prima era casa sua. Al Camp Nou è il primo a difendere e ad attaccare, il titolo di tutto-campista per quella partita è assolutamente riduttivo. In finale contro il Bayern Monaco conquista il secondo Triplete in due anni. È record.
Del resto si sa che il Re Leone è il primo a sopravvivere nella savana. Qualunque sia la situazione, lui è troppo più forte. Ce lo spiega la biologia evoluzionistica. La teoria sulla selezione naturale di Charles Darwin, smentendo quella di Jean-Baptiste de Lamarck, ritiene che non esistono adattamenti alle condizioni di vita, ma predisposizioni.
Applicandola al calcio, non tutti i calciatori sono predisposti a giocare in sistemi di gioco diversi, ma Samuel Eto’o è fra quelli. Un giocatore non imitabile, indispensabile ovunque. Perfetto nel darwinismo di Guardiola, si è però rivelato monumentale anche nel lamarckismo di Mourinho, e prima ancora eccezionale nel cinismo quasi galactico di Gregorio Manzano a Palma de Mallorca.
Impossibile trovare un altro elemento di una completezza filosofico-tattica tale. Nessuno è fondamentale in un calcio attendista e ancora più prolifico nella patria moderna del calcio totale, ma lui sì, perché? Semplice, la sua predisposizione tattica non si insegna. Non c’è nessuna scuola calcio o allenatore che può far assimilare a un giocatore normale le caratteristiche del Re Leone, perché è semplicemente unico.
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