«Milito, una finta, in area… ancora! El Príncipe, Diego Milito! La firma lui probabilmente questa finale, questa coppa! È 2-0, el Príncipe diventa Re nella notte di Madrid!»
Con queste meravigliose parole, Massimo Marianella, uno dei più celebri telecronisti sportivi italiani, accompagna Diego Milito fino alla porta avversaria nel suo secondo gol della finale di Champions League del 2010, quando el grito del Príncipe si alzò alto al Santiago Bernabéu, e l’argentino toccò il punto più alto della sua carriera.
Il suo urlo poderoso dopo ogni gol inizia a verificarsi in Argentina, dove Milito nasce e cresce. Precisamente succede a Bernal, città collocata a nord-est della provincia di Buenos Aires, confinante con il partido di Avellaneda. Proprio qui, nel Racing, el Príncipe – soprannominato così per la somiglianza con Enzo Francescoli – segna i primi gol della sua carriera, mettendo in mostra i primi bagliori di quello che lo porterà a scrivere la sua storia.
Milito era un attaccante rapido e di movimento, cinico e letale se lasciato libero di agire. La natura ha relegato al suo piede destro il compito di terrorizzare le difese avversarie, riservando il sinistro – che male non era – solamente per occasioni di necessità.
Abilissimo di testa, sia per quanto riguarda il fondamentale tecnico che l’intelligenza tattica sfruttata in campo, Diego sapeva sempre cosa fare ma soprattutto come farlo.
Un giocatore nobile, mai falloso, sporco e nemmeno mai attore, al Príncipe non serviva nulla di tutto questo per segnare. Rendeva quasi facile, a vederlo, ciò che faceva. È come se un’aria leggiadra lo accompagnasse fino al gol, rendendo inutile ogni opposizione che gli si poneva davanti.
Nella sua prima parentesi in terra Argentina, il Piccolo Príncipe di Bernal colleziona 148 presenze e 37 gol. Ma soprattutto Diego e i suoi compagni riportano il Racing a conquistare l’Apertura del 2001, titolo nazionale di cui l’Academia era orfana da trentacinque anni, scacciando definitivamente la maledizione dei sette gatti neri.
L’esperienza all’ombra del Cilindro termina nel 2004. Diego lascia l’Argentina a 24 anni per l’opportunità di giocare nella “sua” Italia – i nonni erano di origini calabresi. Ad averlo adocchiato è il Genoa, che in quegli anni militava in Serie B. I liguri si accorgono di lui grazie al suo debutto con l’Argentina di Marcelo Bielsa – un periodo breve ma parecchio significativo nella sua carriera.
L’argentino inizia subito alla grande la sua avventura in Italia, siglando 12 gol nel girone di ritorno del campionato cadetto. Fa ancora meglio l’anno successivo, quando arriva secondo nella classifica dei marcatori con 21 reti – una in meno di Gionatha Spinesi. Tuttavia, a causa di un illecito sportivo, il Grifone viene retrocesso in Serie C1, e conseguentemente a delle difficoltà finanziarie si ritrova costretto a cedere il centravanti albiceleste. Ad acquistarlo è il Real Saragozza, club aragonese militante nella Liga spagnola. Squadra nella quale, per altro, militava il fratello Gabriel.
Alla prima stagione con i Blanquillos segna ben 20 reti, contribuendo allo straordinario percorso in Copa del Rey, terminato solamente in finale contro l’Espanyol. Nel corso della competizione la Spagna e tutto il mondo hanno assistito ad uno dei più grandi acuti nella carriera di Diego. Dopo aver eliminato il Barcellona – con una doppietta di Milito –, il Saragozza si trova di fronte al Real Madrid dei Galacticos, che riesce a battere all’andata con un clamoroso 6-1, con ben quattro reti dell’attaccante argentino.
Definito dal telecronista spagnolo «l’exterminador merengue», Milito fa quello che vuole nell’area madrilena, facendo impazzire un giovane Casillas.
Se si guardano le azioni che portano al gol, il Príncipe appare identico a quello che salirà sul tetto d’Europa: gli stessi occhi gelidi e glaciali, la stessa curvatura del corpo al momento di calciare, lo stesso numero 22 che campeggia sul retro della maglietta.
Non sembrerà mai mutare nel tempo, muteranno solo i – pochi – colori delle sue maglie. Nella stagione 2008/2009 rifiuta il Tottenham per far ritorno nel suo Genoa, che nel frattempo, guidato da Gian Piero Gasperini, era tornato in Serie A.
Il ritorno di Milito in rossoblù rappresenta uno dei momenti più iconici nella storia calciomercato italiano: Federico Pastorello, agente dell’argentino, arriva solo in extremis alla consegna dei documenti in Lega, vedendosi costretto a lanciare il contratto per poterlo depositare. Una delle sliding doors più importanti della carriera di Milito e per il futuro di Genoa ed Inter.
Riabbracciare la Liguria si rivela una scelta straordinaria per Diego. Nell’annata del Milito-bis genoano è autore di 24 reti in campionato, tra le quali vi è una tripletta segnata contro la Sampdoria di Cassano e Pazzini, nel Derby della Lanterna di maggio – dopo aver deciso anche quello d’andata. Questa tripletta gli permette di diventare il primo – e al momento l’unico – giocatore a realizzare tre gol nella storia di questa leggendaria partita.
Il Genoa di Gasperini, autore di una straordinaria annata, termina al quinto posto il primo campionato, ottenendo una qualificazione in Europa che mancava da quasi vent’anni. A stagione non ancora conclusa, però, il presidente Enrico Preziosi aveva già annunciato le cessioni di due giocatori chiave: si tratta di Thiago Motta e Diego Milito, entrambi acquistati dall’Inter. Alla corte di José Mourinho approderanno altri illustri acquisti, quali Wesley Sneijder e Samuel Eto’o – arrivato come contropartita nell’affare Zlatan Ibrahimović con il Barcellona –, che insieme ai due ex Genoa si riveleranno essere delle pedine fondamentali dell’Inter capace di vincere tutto in Italia, in Europa e nel mondo.
L’Inter veniva da anni di totale dominio nel calcio italiano, ed era ormai arrivato il tempo per realizzare il salto di qualità definitivo e vincere in Europa. Il 4-2-3-1 costruito da Mourinho, orfano di Ibrahimović, prevedeva l’ex Genoa come totale finalizzatore delle azioni costruite dai nerazzurri.
Aleggiava, sopra i capelli scuri e disordinati dell’argentino, la gravosa eredità dello svedese, di cui il ricordo lasciato al club nerazzurro era più che dolce. Tuttavia, Diego sembrò non risentirne particolarmente, tant’è che il suo primo gol milanese arriva nel Derby della Madonnina stravinto per 4-0 ai danni del Milan, con un calcio di rigore potente e centrale.
Nonostante sia un’autentica corazzata, per raggiungere l’obiettivo Scudetto l’Inter deve affrontare un duello magnifico con la Roma di Claudio Ranieri fino all’ultima giornata. I nerazzurri alla fine dei giochi concludono il campionato distanziando i giallorossi di sole due lunghezze.
Decisivo – ma tu pensa! – il gol di Milito nell’ultima giornata del torneo, che fa esplodere il settore ospiti dello stadio Artemio Franchi di Siena. Al fischio finale dell’arbitro, con il risultato di 0-1 per gli interisti, lo Scudetto dell’Inter diviene realtà. Lo stesso Milito, qualche settimana prima, era stato sentenza anche nella finale di Coppa Italia disputata proprio contro la Roma, vinta per 1-0 grazie ad una cavalcata poderosa dell’argentino, che lascia partire una fucilata alle spalle dell’incolpevole Júlio Sérgio.
L’Inter si avvicina dunque alla finale di Champions League con la concreta possibilità di conquistare il Triplete, a seguito di un ineccepibile cammino in Europa. Il percorso dei nerazzurri li ha visti eliminare, in ordine, il Chelsea, il CSKA Mosca e il Barcellona di Guardiola campione in carica – con Milito naturalmente in gol contro tutte e tre le squadre.
Ad attendere Zanetti e compagni nell’atto conclusivo della competizione c’è il Bayern Monaco di Luis van Gaal, anch’esso in cerca del Triplete, avendo vinto già la Bundesliga e la DFB-Pokal. Al Santiago Bernabéu, teatro designato per ospitare la finale di Champions League 2009/2010, si preannuncia una partita memorabile.
Così come a Roma e a Siena, anche a Madrid il protagonista della serata è sempre e solo lui, Diego Alberto Milito. Le sue due reti sono ancora oggi impresse nei ricordi dei tifosi interisti.
Dopo aver segnato il primo gol, a seguito di una triangolazione con Sneijder, Milito corre verso gli spalti, sdraiandosi sul terreno, urlando contro il cielo e contro il mondo intero. Se lo si guarda dritto negli occhi, si potrebbe dire che forse nemmeno lui riesce a credere di star vivendo tutto questo.
Alla metà del secondo tempo, dopo una ripartenza nerazzurra, Eto’o trova Milito, nella sua posizione preferita per saltare l’uomo, il centro-sinistra. Ricevuto il pallone, Milito inizia la sua corsa verso Van Buyten, saltandolo secco con un dribbling. Arrivato in area, spostandosi sul destro, lascia partire un piazzato che può solo superare inesorabilmente Hans Butt.
È 2-0, è ancora Diego Milito a segnare, e guardandolo esultare, possiamo notare come il suo volto assuma una nuova forma. I suoi occhi celesti, a tratti glaciali, diventano gli occhi di un uomo che ce l’ha fatta, di un uomo che adesso potrebbe anche affrontare la morte. Il suo corpo diventa leggero, e la natura potrebbe anche temere d’esser vinta dall’irrazionale metamorfosi di Diego. Le sua braccia, distese, potrebbero renderlo addirittura capace di volare, ma si accontenta di correre verso la sua gente, che già sapeva che lo avrebbe abbracciato ancora una volta.
Se lo si osserva con attenzione, notiamo come il ragazzo di Bernal sia avvolto e circondato da una totale aura di solitudine, di totale distaccamento dal mondo – perlomeno da quello reale. Sorvolando sulla sua vita sul campo, nobile ed elegante, separata distintamente dalla sua vita extra calcistica, l’aura che trasporta con sé l’attaccante argentino è quella di essere un uomo solo, quasi estemporaneo alle vicende che lo circondano, facendo del silenzio il suo rumore più forte. Si potrebbe narrare molto sull’estetica dell’eroe di Madrid, ma mai raccontare qualcosa di concreto riguardante la sua voce, al più idealizzata durante il suo grido di liberazione dopo una rete, tempestivamente soffocata dai tifosi sugli spalti.
Il Príncipe risulta in effetti essere, dalle parole dei propri compagni, un vero e proprio leader silenzioso, amante del pragmatismo e del concreto. Milito riesce ad esprimersi solamente con le proprie marcature. Dopo aver siglato la seconda bellissima rete, è compito di Dejan Stanković scuoterlo per riportarlo nella terra dei mortali, mentre l’argentino era impegnato ad osservare il cielo, forse a pregustare già da quel momento il proprio Olimpo da eroe epico del calcio, probabilmente bramato ed atteso da più di una vita.
Finisce così, nel segno di Diego Milito, la Coppa dei Campioni della stagione 2009/2010, con il ritorno dell’Inter sul tetto d’Europa dopo quarantacinque lunghissimi anni di attesa. L’apice della carriera della punta argentina si consuma qui, in questa notte che lo incorona come Re incontrastato.
Dopo quella memorabile stagione, il rendimento di Milito – e dell’Inter tutta – subisce un grave calo: nella stagione successiva, che vede il Milan di Allegri trionfare per la corsa Scudetto, l’Inter si piazza seconda, portando a casa solo una Coppa Italia. L’ex Genoa, anche a causa di alcuni problemi fisici, termina la sua annata con soltanto 8 reti.
L’anno dopo torna a segnare con regolarità, ma l’Inter è ormai solo una lontana parente di quella di Mourinho, e fatica ad imporsi come big del campionato. Nonostante questo, ci sono ancora degli acuti di Diego degni di nota, dalla tripletta contro il Milan nel maggio 2012, fino alla doppietta allo Juventus Stadium, nella prima storica vittoria di una squadra nella nuova casa della Vecchia Signora.
Gli infortuni lo segneranno ancora nelle sue ultime due stagioni in nerazzurro, e dopo cinque anni terminerà la sua storia con i meneghini, lasciando da leggenda assoluta del club.
Per l’ultimo atto della sua carriera il Príncipe non può che far ritorno nella sua terra, fra la sua gente, dove tutto ebbe inizio, nel suo Racing. E non poteva esserci finale migliore, perché torna a vincere ancora una volta il campionato argentino, che mancava da quel lontano 2001. Dopo esser diventato Re con l’Inter, Milito viene definitivamente incoronato anche dagli aficionados di Avellaneda.
Nel marzo del 2016 annuncia il suo ritiro, che avviene al termine della stagione fra le lacrime e l’ultimo emozionato e viscerale abbraccio del Cilindro, con il club che lo accoglie in società.
Quello di Milito è stato un viaggio indimenticabile, che ha spesso assunto un sapore romanzesco in tutte le sue tappe: a partire dal ruolo del fratello Gabriel, prima rivale – Diego militava nel Racing, lui nell’Independiente – e poi ritrovato compagno di squadra nel Saragozza; dall’addio al ritorno al Genoa, arrivato nei tempi della Serie B, lasciato in Serie C e ritrovato in Serie A, portandolo poi in Europa; dalla sua Argentina, luogo dove Milito muove i primi passi, lasciata per volare nel Vecchio Continente, dove riesce a vincere tutto con la maglia dell’Inter, concludendo il suo percorso con un romantico ritorno nel suo Racing, riportandolo alla vittoria del titolo nazionale. Un lungo viaggio che ha visto tantissime tappe e cambiamenti, ma che a prescindere da queste ha sempre avuto una costante: il suo urlo, il suo canto dopo ogni gol, el grito de Diego Milito.
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