Islanda Europei 2016

La scorribanda vichinga dell’Islanda agli Europei del 2016

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L’Islanda è una terra unica, sia a livello naturalistico che culturale. La culla delle saghe scaldiche e la custode della mitologia nordica e dell’antico norreno. Nel corso della sua lunga storia, tra i suoi vulcani, campi di lava e geyser, in Islanda il pallone ha sempre trovato poco spazio. Per un’isola incastonata fra due continenti, con una scarsissima densità abitativa e poco più di 370.000 abitanti, non è affatto semplice modellare un movimento calcistico nazionale all’altezza del calcio europeo.

D’altra parte, nei decenni si sono – giustamente – sprecati gli elogi per l’Uruguay, proprio perché capace di presentare sia nel continente, che a livello globale, formazioni altamente competitive, nonostante possa contare su una popolazione di appena 3 milioni di individui. Con le dovute proporzioni, ciò dovrebbe rendere la portata dell’impresa compiuta agli Europei del 2016 dall’Islanda, popolata pressoché quanto la città di Bari.


Per la prima volta tra le grandi d’Europa

A penalizzare, da sempre, lo sviluppo di un efficiente sistema calcistico in Islanda è il clima. Nei duri mesi invernali, per decenni, la palla ha smesso di rotolare, data l’impraticabilità dei campi innevati o ghiacciati e le temperature glaciali. Attraverso la costruzione di campi coperti e riscaldati, l’introduzione dell’erba sintetica, la comparsa di centri e strutture idonei all’allenamento e una sorta di “coscrizione” gratuita e volontaria per tutti i bambini islandesi nelle scuole calcio, passo dopo passo, lo Stato ha coinvolto sempre più gente in questo sport e fornito agli addetti ai lavori i mezzi necessari per formare e affinare schiere di potenziali futuri calciatori.

Gli Europei francesi del 2016 sono un banco di prova unico per i progressi dell’Islanda in ambito calcistico. Per la prima volta, la manifestazione vede la presenza di 24 squadre, anziché 16. Naturalmente, molte squadre storicamente tagliate fuori dal discorso qualificazione, vedono aprirsi uno spiraglio storico. E in effetti sotto la Tour Eiffel si presentano l’Austria, qualificatasi solo nel 2008 come organizzatrice; le esordienti Irlanda del Nord, Galles, Albania e Slovacchia; l’Ungheria, che non arrivava alle fasi finali dal 1972; e proprio l’Islanda.

Per ottenere questo storico risultato l’Islanda, nel Girone A di qualificazione, arriva dietro la Repubblica Ceca, ma davanti a Turchia, Kazakistan, Lettonia e soprattutto Olanda, che resta clamorosamente fuori dal torneo. Gli islandesi, nella gara di esordio a Reykjavik, schiantano la Turchia per 3-0, ma è alla terza giornata, quando impongono un impronosticabile 2-0 agli Orange, che indirizzano davvero l’esito del girone, e attirano gli occhi dell’Europa su di loro. Quando il 3 settembre 2015, davanti ai 47.000 dell’Amsterdam Arena, un rigore di Gylfi Sigurdsson regala la vittoria esterna sull’Olanda, è chiaro a tutti che quella Nazionale aveva poco a che fare con quella mediocre e senza pretese di sempre. A essere subito evidente, è come la solidità difensiva sia la vera ricetta dietro i 20 punti conquistati. Sono infatti solo 6 i goal subiti dall’Islanda nel girone di qualificazione.


Più di un outsider

Il regolamento dell’Europeo permette all’Islanda di sperare in una qualificazione alle fasi a eliminazione diretta: sono solo 8 le squadre costrette a lasciare la competizione dopo la fase a gironi, in virtù dei 4 slot su 6 concessi alle migliori terze. Per gli islandesi, inseriti in un Gruppo F che comprende anche Austria, Portogallo e Ungheria, la prospettiva è proprio quella di strappare il terzo posto ai più quotati magiari e sperare di farlo con più punti di quanto cumulato dalle terze qualificate negli altri gironi. L’Austria, che ha incantato tutta Europa nel girone di qualificazione, e il Portogallo di Cristiano Ronaldo, sono sulla carta avversari fuori dalla portata della piccola nazionale nordica.

Tuttavia, l’Islanda non è a Parigi in gita di piacere, e questo risulta subito chiaro dalla passione e dal trasporto che caratterizza la sua tifoseria. Rispetto alle altre outsider del torneo, non è solo il ruolo di underdog a rendere l’Islanda la “squadra simpatia” della competizione. Contribuiscono l’inevitabile parallelismo con lo spirito guerriero e avventuriero degli antichi vichinghi; quel blu intenso e irreale che adorna ogni tifoso al seguito, frutto della legge che impone l’utilizzo di una sola e specifica tonalità di blu, bianco e rosso per la riproduzione della bandiera nazionale; la Viking Clap, la ritmica e cadenzata coreografia, in memoria delle antiche urla di guerra degli eserciti vichinghi; e quella cantilena, impossibile da ignorare, che accompagnava ogni rete di passaggi a ogni telecronaca: …son, …son, …son.

All’esordio nel girone, l’Islanda affronta il Portogallo, a Saint-Étienne, il 14 giugno. La partita è bloccata, il canovaccio tattico preparato dagli scandinavi è chiaro: difesa e ripartenza. L’Islanda è molto ordinata e soffre relativamente il giro palla portoghese, concedendo solo tiri dalla distanza. Halldórsson è però miracoloso sul colpo di testa di Nani che gli sbatte sui piedi, dopo che Ronaldo prova a far saltare il banco pennellando sulla testa del compagno una perfetta palombella. Poco dopo Nani, lasciato colpevolmente solo per la seconda volta nell’area piccola, insacca di destro sul primo palo, portando avanti i lusitani. Nella ripresa l’Islanda pareggia subito grazie all’ex Pescara Birkir Bjarnason, che, dimenticato dalla difesa del Portogallo, insacca al volo alle spalle di Rui Patricio. L’Islanda riuscirà poi a resistere al timido assedio portoghese, portando a casa un punto storico e fondamentale, attraverso una prestazione prettamente conservativa, ma essendo stata comunque capace di collezionare diverse occasioni da goal.

Usciti indenni dal complicato esordio contro i favoritissimi del girone, l’Islanda pareggia 1-1 contro l’Ungheria, mantenendo il vantaggio di Gylfi Sigurdsson fino all’autogoal di Birkir Saevarsson all’89′ minuto, e soprattutto riesce a battere 2-1 l’Austria a Saint-Denis con il goal di Arnór Ingvi Traustason, che segue l’iniziale vantaggio di Jón Dadi Bödvarsson e il momentaneo pareggio austriaco di Schöpf. Il goal della vittoria, arrivato al 94’, certifica una generale superiorità degli islandesi sui rivali di giornata, mai all’altezza della competizione e del percorso nei gironi. La sconfitta contro l’Ungheria della prima giornata e lo 0-0 contro il Portogallo, avevano infatti invertito i pronostici dell’ultima gara, specie per il livello delle prestazioni offerto dagli austriaci. La vittoria della terza partita garantisce agli islandesi persino il secondo posto nel girone, a pari punti con l’Ungheria prima e davanti al Portogallo, che si qualifica comunque come una delle migliori terze. Agli ottavi di finale l’Islanda dovrà però affrontare l’Inghilterra, uno scoglio all’apparenza insormontabile.


La più grande delle imprese

Quando Halldórsson stende in area Sterling, involato verso la porta, e Wayne Rooney trasforma dal dischetto, il sogno della piccola isola del nord sembra frantumarsi contro un avversario troppo superiore. L’Islanda ci mette però pochissimo a pareggiare, con un goal di pura volontà, quasi rugbistico: rimessa laterale battuta lunga verso l’area di rigore, sponda di testa che taglia fuori tutta la difesa avversaria e goal di Ragnar Sigurdsson. Dopo poco più di 300 secondi di gioco la partita è già sull’1-1.

L’Islanda capisce che i Three Lions sono feriti e spauriti, e mette in campo un’intensità mai vista prima, trovando addirittura il vantaggio con Kolbeinn Sigthórsson, che buca le mani di Joe Hart al 19’. Da quel momento gli scandinavi possono fare quello che sanno fare meglio, e organizzano una resistenza perfetta alle velleità di rimonta inglesi, non concedendo praticamente nulla, ma anzi, sfiorando ripetutamente il doppio vantaggio in contropiede. Il finale è un tripudio di corse folli, pugni al cielo, urla, abbracci: la definizione di impresa. L’immagine di tutta la squadra raccolta sotto lo spicchio di tifosi islandesi, a partecipare, come in una solenne cerimonia di vittoria, alla ormai celebre Viking Clap, è da brividi.

Purtroppo per gli islandesi la Francia, padrona di casa, è un avversario troppo forte per chiunque, come dimostrerà due anni più tardi, vincendo i Mondiali in Russia. Solo il Portogallo, dopo un percorso folle partito proprio dal pareggio con gli islandesi, è riuscito a batterli in finale, laureandosi campione d’Europa per la prima volta nella storia.

Gli islandesi vengono battuti con un punteggio di 5-2 e lasciano la competizione, consci di aver comunque raccolto un risultato storico e impensabile alla vigilia, scrivendo una delle storie più belle di sempre agli Europei di calcio.


Gli eroi dell’impresa

L’Islanda dei CT Lars Lagerbäck e Heimir Hallgrímsson, capace di raggiungere i quarti di finale degli Europei nel 2016, deve questo risultato alla compattezza e alla sapienza tattica del suo staff tecnico. Sono pochi i giocatori che spiccano sugli altri, ancora meno i grandi nomi o i talenti puri ed evidenti, eppure sono riusciti a costruire una squadra quasi meccanica, capace di ragionare come un solo cervello, solidissima nel reparto difensivo. Fra gli eroi dell’Islanda agli Europei del 2016, vale la pena citare il portiere e regista – cinematografico, si intende – Hannes Halldórsson, all’apparenza sempre insicuro e superabile, eppure tremendamente efficace e ben posizionato; il capitano Aron Gunnarsson, terzino all’epoca in forza al Cardiff, iconico per le sue lunghe rimesse laterali, che hanno prodotto, ad esempio, il goal del pareggio contro l’Inghilterra; i centrocampisti “italiani” Birkir Bjarnason e Emil Hallfredsson; ovviamente Gylfi Sigurdsson, la stella della squadra, in quel periodo allo Swansea, ma reduce da due ottime stagioni al Tottenham; l’attaccante Kolbeinn Sigthórsson e il compagno di reparto Eidur Gudjohnsen, ex Barcellona e Chelsea, all’ultimo grande valzer della sua carriera.

L’Islanda ha anche raggiunto due anni dopo la fase finale dei Mondiali, non riuscendo a impressionare come agli Europei del 2016, anche se c’è da dire che la stessa qualificazione – la prima e fino ad ora unica nella storia – sia già di per sé un risultato epocale. Negli ultimi anni il livello della Nazionale islandese si è abbassato di molto, sebbene sia complicato individuarne i motivi, dato che non si può parlare di una generazione d’oro, ma semplicemente del primo embrionale prodotto della crescita del movimento calcistico islandese. Potrebbero sì essere stati semplicemente quattro anni irripetibili, sulla scia dell’entusiasmo e di una grande guida tecnica, ma non si può escludere che gli islandesi, in futuro, raccolgano nuovamente i frutti del loro lavoro, riproponendo, chissà, un’altra scorribanda vichinga nel continente.

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