Bryan Robson

Bryan Robson, il 7 dimenticato

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La maglia numero 7 del Manchester United, si sa, è una delle più prestigiose e ambite al mondo, e proprio per questo è anche una delle più pesanti. Questo numero, fino al 26 dicembre 1963, era un numero come tutti gli altri, quello dell’ala destra. Solo che l’ala destra dei Red Devils, in quel Boxing Day, era George Best, che segnò il suo primo gol con lo United proprio in quel 5-1 rifilato al Burnley, dando inizio al mito della 7. Il fuoriclasse nordirlandese portò quel numero sulla schiena – tra grandiose vittorie e ancor più rovinose cadute – fino al 1974, quando si accasò allo Stockport County, squadra di quarta divisione, ed era già l’ombra di sé stesso a soli 28 anni.

Il 7 rimase praticamente “anonimo” fino all’autunno 1981, quando ad Old Trafford si decise di spendere una cifra record per un centrocampista di belle speranze del West Bromwich Albion. Di nome fa Bryan, di cognome Robson, e allo United vi resterà per oltre un decennio, entrando nella storia del club e nel cuore dei suoi esigenti tifosi. Giocatore completo, univa la prestanza fisica ad una tecnica individuale eccellente, che insieme a un gran tiro dalla distanza con entrambi i piedi gli permise di segnare più di 150 gol, pur essendo un centrocampista prettamente difensivo. Il meglio di sé, però, lo dava nella fase di interdizione, con interventi quasi sempre puliti ed una grande capacità di intercettare i palloni vaganti e di far ripartire velocemente l’azione. Tutto questo, unito ad una grande polivalenza sul campo, fa di lui uno dei migliori calciatori inglesi mai esistiti.



Bryan nasce l’11 gennaio 1957 da papà Brian – con la “i” – e mamma Maureen, secondo di quattro figli – i suoi due fratelli minori, Justin e Gary, diventeranno anch’essi calciatori. Tutta la sua famiglia tifava per il Newcastle, così come quella di un altro Robson, Bobby, nato in un villaggio a 5 miglia di distanza da quello di Bryan circa vent’anni prima. Qualche anno dopo si incontreranno, in vesti diverse. Bryan cresce a Witton Green – un paesino vicino alla sua città natale, Chester-le-Street – fino ai 6 anni, ed è lì che comincia a giocare, arrivando a capitanare la squadra giovanile della sua contea all’età di 14 anni. Quando si dice che leader si nasce, la definizione calza a pennello con il profilo di Robbo, soprannome ricevuto nei suoi anni allo United.

Nel frattempo Bryan sostiene provini con Burnley, Sheffield Wednesday, Coventry e Newcastle – la squadra che tifava da bambino –, ma nel 1972 accetta l’offerta del West Bromwich Albion, la cui sede si trovava a 200 miglia da casa. Qualche anno dopo lo seguirà anche il fratello Gary, che giocherà più di 200 partite con la casacca dei Baggies.

Dopo due anni nelle giovanili, Bryan debutta con la maglia della squadra riserve nella stagione 1973/1974, a soli 16 anni. Il debutto coi grandi arriverà soltanto il 12 aprile 1975, contro lo York City, mettendo a segno il primo gol 7 giorni dopo nel 2-0 casalingo al Cardiff. Rivedrà il campo solo nell’ultimo match stagionale contro il Nottingham Forest – segnando –, che qualche mese dopo sarebbe passato in mano ad un altro Brian, Clough.

L’anno successivo gioca sporadicamente, con l’allenatore-giocatore Johnny Giles che lo prova in molti ruoli del campo, tra cui centrale difensivo e terzino sinistro, dimostrando grande affidabilità e presenza in campo, merce rara in un ragazzo appena maggiorenne. Quell’anno l’Albion finisce terzo in campionato e viene promosso in prima divisione.

Bryan Robson

Al primo anno in First Division Bryan comincia a giocare con più regolarità, e i primi infortuni – che condizioneranno molto la carriera di Robson – non fermano i progressi di questo talento che mette a referto 8 reti in 23 gare, media ottima per un ventenne che talvolta veniva schierato anche da terzino.

L’anno dopo, nonostante i soli 3 gol segnati, la compagine delle Midlands si qualifica in Coppa UEFA. Le stagioni successive sono in crescendo, sia a livello di squadra – nel 1978/1979 il WBA arriva terzo in campionato e ai quarti di Coppa UEFA – che personale – la prima presenza in nazionale nel 1980 e la doppia cifra realizzativa nella stagione 1980/1981. Tutto questo con la 7 sulle spalle, che gli era già tatuata addosso.



Nel 1981 Ron Atkinson, suo allenatore all’Albion da quattro stagioni, firma con il Manchester United, e la sua prima richiesta da nuovo tecnico è Bryan Robson. Il giovane era conteso, oltre che dai Red Devils, dal Liverpool di Bob Paisley, che col Forest dominava l’Inghilterra e l’Europa. Alla fine Robbo decide di seguire Atkinson ad Old Trafford, firmando il primo ottobre del 1981 e facendo una scelta coraggiosa, dato che lo United era da anni in crisi, culminata con la retrocessione appena sette stagioni prima. Iconico il commento di Atkinson, subito dopo l’affare: «Con questo giocatore non stiamo facendo una scommessa, quello che stiamo comprando è oro puro».

Debutta – ovviamente con la 7 – in un Tottenham-United di Coppa di Lega, segnando il primo gol con la nuova maglia esattamente un mese dopo, il 7 novembre 1981, contro il Sunderland a Roker Park. Ironia della sorte, la prima partita a cui assistette Bryan Robson da bambino fu proprio un Sunderland-Manchester United di tanti anni prima, come raccontato dallo stesso giocatore. La sua prima stagione con i Red Devils è buona, segna 5 reti in 32 partite, e lo United finisce terzo in First Division, sintomo che questo ragazzo del nord-est ha portato quello che mancava per far tornare la squadra ai vertici del calcio inglese. Durante la stagione successiva arriva anche il primo gol in Nazionale, e in estate arriva il primo titolo di miglior giocatore del campionato, riconoscimento che vincerà per sei volte – di cui cinque consecutive.

La gara del suo debutto in un Mondiale vede l’Inghilterra contro la Francia, nel contesto iberico di Spagna ’82. Robson ci mette 27 secondi a segnare il suo primo gol – il terzo più veloce di sempre in quel momento –, per poi raddoppiare nel secondo tempo. La gara finisce 3-1, e Robbo non poteva sperare in un debutto migliore, ma gli infortuni bussano di nuovo alla sua porta: questa volta è l’inguine a fermarlo, e che gli impone di saltare le due gare successive del girone. La selezione inglese passa comunque il turno a punteggio pieno, ma, con un Bryan Robson a mezzo servizio, viene eliminata nel secondo gironcino a 3, arrivando a un solo punto dalla fortissima Germania Ovest, poi finalista contro l’Italia.



Nella stagione successiva lo United arriva di nuovo terzo, Robson vince di nuovo il titolo di miglior giocatore e il 17 novembre 1982 veste per la prima volta la fascia di capitano della Nazionale, a soli 25 anni. Ma in quell’anno Captain Marvel, nuovo soprannome dato dai tifosi dello United – sì, ha già la fascia anche lì –, vince il suo primo trofeo di squadra, la FA Cup. Nella finale di Wembley la squadra di Atkinson affronta il Brighton, finisce 2-2 e il regolamento porta ad un replay cinque giorni dopo. Stavolta non c’è storia, i Red Devils vincono 4-0 e Robson segna una doppietta, alzando la coppa da capitano – il primo inglese dopo 70 anni – e riportando un trofeo a Manchester dopo sei anni. Poteva arrivare anche la Coppa di Lega, ma un altro infortunio alla caviglia in semifinale non gli permette di giocare l’atto conclusivo del torneo, perso contro il Liverpool.

Nel 1983/1984, dopo aver vinto il Charity Shield, lo United prova anche la cavalcata europea in Coppa delle Coppe. Bryan mette a segno altri due gol nello storico quarto di finale contro il Barcellona ad Old Trafford finito 3-0, ma l’ennesimo infortunio – questa volta al tendine rotuleo – lo tiene fuori per la semifinale contro la Juventus, che poi vincerà il trofeo.

Altra stagione, altra FA Cup, stavolta contro il fortissimo Everton di Graeme Sharp, fresco campione d’Inghilterra. Il 1985 però è un anno maledetto per tutte le compagini inglesi, dato che il tragico pomeriggio dell’Heysel ha come conseguenza l’esclusione di tutte le squadre inglesi dalle competizioni europee per 5 anni, negando praticamente anche a Robson – già 28enne – la possibilità di vincere un trofeo internazionale.

Gli anni seguenti furono un periodo di magra per lo United, ma per Captain Marvel ci fu la possibilità di riscattarsi ai Mondiali messicani. Il selezionatore inglese, Bobby Robson – sì, quel Bobby di cui parlavamo ad inizio articolo – gli dà in mano le chiavi della squadra, che trascina fino ai quarti di finale nonostante un ulteriore infortunio, stavolta alla spalla. Robson non giocherà la partita della Mano de Dios, e il cammino degli inglesi, favoriti sulla carta, si ferma ancora a metà strada.



Nel novembre dello stesso anno, il 1986, Ron Atkinson viene esonerato e in panchina arriva un giovane scozzese di nome Alex Ferguson. Sarà la svolta per Bryan ma soprattutto per il club. Fergie ritiene Robson il cardine e la principale fonte di motivazione della squadra e conferma la fascia di capitano a lui. Le premesse però non sono buone: lo United non vincerà trofei per quattro lunghi anni, in due stagioni arriva anche a metà classifica. Al giorno d’oggi Ferguson sarebbe stato esonerato almeno cinque volte, ma la dirigenza dello United crede in lui e la storia gli darà ragione.

Nel 1990, nonostante la squadra stentasse in campionato, vince ancora una volta la FA Cup. Questa volta di fronte c’è il Crystal Palace, e si andrà di nuovo al replay, come sei anni prima. Nel 3-3 della prima gara Robson segna il momentaneo 1-1, mentre la ripetizione finirà 1-0, dando a Sir Alex il suo primo trofeo in terra inglese.

Bryan Robson

Quella vittoria sarà una seconda rinascita anche per Robbo: oltre ad essere nominato Ufficiale dell’Ordine dell’Impero Britannico, ai Mondiali di Italia ‘90 – dove l’Inghilterra arriverà quarta – diventa uno dei pochi giocatori inglesi a giocare tre edizioni diverse del Mondiale – insieme a gente come Shilton, Beckham e Rooney. L’anno dopo Bryan gioca l’ultima partita con la maglia della Nazionale, che lascia dopo 90 caps – di cui 65 da capitano – e 26 reti.

Nella stagione 1990/1991 il Manchester United torna a vincere a livello continentale, trionfando in Coppa delle Coppe. Nella finale di Rotterdam i rossi di Manchester battono 2-1 il Barcellona che sarà campione d’Europa l’anno successivo, con una doppietta di Mark Hughes. Bryan Robson alza così al cielo da capitano il primo trofeo europeo dei Red Devils dopo 33 anni dall’ultimo, ossia la Coppa Campioni del 1968 con un altro numero 7 a dominare in campo, quello citato all’inizio.

L’unico alloro che gli manca adesso è il campionato, sfuggitogli varie volte sia con lo United che con il West Brom. Nel 1992 nasce la Premier League, e il primo capitano a sollevare tale trofeo sarà proprio Bryan Robson, nonostante quell’anno giochi soltanto 14 match, dato l’arrivo di Éric Cantona, raggiunto l’anno dopo dall’erede in mezzo al campo di Robbo, l’irlandese Roy Keane.

Bryan Robson

La stagione 1993/1994 sarà l’ultima per lui con la maglia rossa, e l’assegnazione fissa del numero di maglia gli toglie anche la storica 7, che passa proprio a Cantona. Il Manchester vince Charity Shield, campionato ed FA Cup, dove Ferguson escluderà Robson dai titolari della finale, definendo a posteriori quella decisione «una delle più difficili della mia carriera». Gioca l’ultima partita con lo United l’8 maggio 1994 contro il Coventry, proprio una di quelle squadre che aveva provato a prenderlo quando aveva appena 15 anni.

Dopo aver lasciato lo United si trasferisce al Middlesbrough per tre anni da allenatore-giocatore – la carriera da manager fu discreta, ma non ai livelli di quella da calciatore –, giocando la sua ultima gara il giorno di capodanno del 1997, 10 giorni prima del suo quarantesimo compleanno.




Il voto per i 13 anni di onorato servizio di Bryan Robson ad Old Trafford dovrebbe essere di 9.9, dato che in 461 partite ha segnato 99 gol, è mancato soltanto l’ultimo tassello per una carriera perfetta. Ma in realtà il numero che più lo rappresenta è ovviamente il 7, tatuato sulla pelle fin dalla nascita.

Quando si parla dei numero 7 del Manchester United, però, si pensa sempre a Best, a Cantona, a Beckham e a Cristiano Ronaldo. Robson, che è stato un pezzo fondamentale della storia dei Red Devils, nella lista dei numero 7, è troppo spesso dimenticato – soprattutto fuori dall’Inghilterra.

All’interno del mondo calcistico, invece, è sempre stato stimato ed apprezzato. Basti pensare che, in una votazione riservata ad ex calciatori dello United, è stato eletto come miglior giocatore nella storia del club, o che gente come Tony Adams e Bobby Robson l’hanno inserito nel proprio 11 ideale. Paul Gascoigne, altro pezzo da 90 della storia del calcio d’Oltremanica, lo ha definito addirittura «il miglior giocatore con cui avesse mai giocato» e il «migliore della sua generazione».

Ovviamente bisogna prendere queste valutazioni con le dovute accortezze, dato che in Inghilterra, quando si danno questo tipo di opinioni, la mera tecnica e le statistiche passano quasi sempre in secondo piano rispetto al carisma e al modo di portare la maglia della propria squadra. Quel ragazzo del nord-est dell’Inghilterra univa tutte queste cose, e quindi a parte i giudizi di ex-compagni illustri che portano avanti questa tesi, la cosa che spesso si dimentica non citandolo tra i migliori Red Devil della storia, è che, indirettamente, Bryan Robson è stato il giocatore che ha dato più di chiunque altro il via al meraviglioso United anni ’90.

Senza di lui, che ha trascinato la squadra a vincere i primi trofei dopo anni di stagnazione, probabilmente non sarebbe mai arrivato Alex Ferguson con i suoi 38 trofei in 26 anni, l’uomo che che ha fatto sbocciare la Class of ’92 – Scholes, Giggs, Beckham, Gary e Phil Neville –, che avevano come punto di riferimento proprio Captain Marvel. Se lo United è tornato ad essere un club prestigioso lo deve principalmente alla mente di Sir Alex, ma il braccio che metteva in pratica questa rivoluzione, quando le cose andavano più male che bene, era quello di Bryan Robson.

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