Bologna Thiago Motta

Il Bologna di Thiago Motta ai raggi X

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Oggi il suo Bologna è una delle realtà più interessanti e celebrate del calcio italiano e non solo, ma quando il 28 dicembre del 2019 Thiago Motta veniva esonerato dal Genoa, a due mesi di distanza dall’inizio della sua prima esperienza in panchina, la montagna di dicerie e pregiudizi sul suo conto da scalare avrebbe fatto impallidire qualunque allenatore alle prime armi. Il mister del chiacchierato e in realtà decontestualizzato “2-7-2” aveva cominciato la sua nuova carriera tra i professionisti non riuscendo a invertire la cattiva rotta del Grifone, dovendo poi attendere quasi due anni per potersi ripresentare su una panchina della massima serie nostrana.

Ma sin dai primi mesi allo Spezia, si era iniziata a intravedere una concreta possibilità di ribaltare la sua percezione come tecnico, confermando il tutto con un’ottima salvezza sul Golfo dei Poeti, non senza dover dimostrare tutto il dimostrabile alla presidenza americana degli Aquilotti, a un certo punto ad un passo dall’esonerarlo.

Forse senza l’autogol di Juan Jesus in quel Napoli-Spezia 0-1, il Bologna non sarebbe entrato in un nuovo universo a livello di aspirazioni sportive. Invece, con l’arrivo di Thiago nel settembre 2022, il club di proprietà di Joey Saputo sta cercando di allargare braccia e mani più verso la zona europea, che non verso il vuoto pantano della seconda metà di classifica.

L’impatto dell’ex azzurro è stato immediato e totale: ha rivitalizzato giocatori dalla retta via smarrita, come Riccardo Orsolini; trovato buone chiavi di lettura ai problemi sorti, quale il lungo infortunio di Marko Arnautović; infuso nei suoi giocatori una consapevolezza e una saggezza che li ha resi capaci di superare tatticamente e mentalmente anche diverse big, non a caso solo Atalanta e Milan hanno vinto al Dall’Ara dal suo arrivo.

Abbiamo imparato ormai a deliziarci con il 4-2-3-1 mobile e malleabile dei bolognesi, la loro bellezza nel palleggio e nei movimenti, oltre all’attenzione nella copertura di ogni spazio sul campo, ma perché tutto questo riesce così relativamente semplice ai felsinei? Proviamo ad analizzare più nello specifico alcune delle chiavi tattiche che rendono il Bologna di Thiago Motta tanto solido quanto fluido e tanto sbarazzino quanto saggio.


Il centravanti è lo spazio

La celeberrima massima guardioliana ben si presta a spiegare come funzioni la parte terminale della manovra offensiva bolognese. Motta ha ereditato evidentemente nel suo DNA il gioco di posizione, basato sul controllo della palla per attirare e ingannare la pressione e l’attacco dei mezzi spazi attraverso la loro occupazione preventiva.

Il Bologna aveva in Arnautović uno sbocco strategico su cui direzionare palloni da mettere in cassaforte fisicamente, ma soprattutto una punta da lanciare con notevole pericolosità in verticale, oppure da cercare in area con i cross, minimizzando i tempi delle azioni in avanti. Già con i problemi fisici dell’austriaco nella scorsa stagione, i rossoblù avevano cominciato a sperimentare modi diversi di andare in porta, proponendo spesso Barrow, Orsolini o Sansone come “ali centrali”, che si scambiavano spesso tra di loro lasciando le difese senza punti di riferimento.

Quest’estate, però, Thiago Motta si è reso conto di avere qualcosa con cui potenzialmente riunire entrambe le modalità offensive del suo Bologna, un qualcosa che è un qualcuno: Joshua Zirkzee. Forse la più grande scommessa presa nella progettazione della rosa, Zirkzee è oggi uno dei giocatori più unici in Serie A, anomalia a livello di compiti e rendimento in campo; non sembra mai trovarsi dove dovrebbe in quanto punta di riferimento, eppure basta che accarezzi la palla per capire che non è così. Spesso lo vediamo ricevere spalle alla porta, contro una linea di difesa alta, oppure “scendere” più vicino o anche alle spalle delle ali per permettere al Bologna di palleggiare in mezzo al campo, e proprio in queste situazioni la delicatezza nello stop e nel tocco rapido lo rendono un rifinitore eccezionale, soprattutto per le mezzali che attaccano gli spazi vuoti in avanti, su cui lui cerca di portare via l’occhio, come dei ragazzini che fanno domande al professore per distrarlo dall’interrogazione già pianificata.

Ovviamente è una giocata fatta di due metà, perché scartare i cioccolatini che l’olandese dispensa è meno facile di quanto Lewis Ferguson faccia apparire. Lo scozzese è un freak assoluto nel fondamentale dell’incursione degli spazi liberi, e certo, questo l’avevamo giù notato la stagione scorsa, ma senza poter ben ammirare la partnership con Zirkzee che ha ormai raggiunto livelli quasi scientifici. Basta guardare le sue due reti contro Juventus e Lazio, entrambe su quest’asse fiammingo-albionico, per capire quanto codificata eppure quasi indifendibile sia questa arma.



La prima (im)pressione è importante

Come molte squadre che adottano principi posizionali, il Bologna di Thiago Motta cerca il più possibile di far partire le sue azioni con la costruzione del basso, girando la sfera con pazienza per attirare la pressione e raggiungere gli spazi vuoti in avanti. I rossoblù non mostrano remore nel farlo contro nessun avversario, neanche a San Siro contro l’Inter, la quarta squadra finora più aggressività nella metà campo avversaria, e quella che segna più di tutte da riconquista alta – dati OPTA.

Qui possiamo notare il rombo d’impostazione, con i due centrali, un terzino – De Silvestri che rimane basso, mentre Lykogiannis scala in avanti –, ed Aebischer che fa da play pochi metri più in alto.

Non bisognerebbe ripeterlo per la milionesima volta, ma chiaramente manovrare sotto pressione vicino alla propria area comporta ineluttabilmente dei rischi: in questo stesso video i nerazzurri conquistano palla in una zona invitante con Dimarco, e poi troveranno il momentaneo 2-0 allo stesso modo.

Ma spesso è così che i rossoblù costruiscono azioni molto pericolose, guardare per credere la già citata rete di Ferguson contro la Lazio. L’azione parte da un giro palla dei centrali, mentre Aebischer e Freuler sono marcati a uomo da Guendouzi e Rovella; il pallone arriva a Lykogiannis che subito trova sul lungolinea Saelemaekers, da cui poi in tre passaggi si arriva al gol. L’interazione tra terzini e ali è dunque fondamentale per saltare ampie porzioni di campo e passare subito alla fase offensiva, e infatti in questo caso vediamo che gli stessi centrocampisti laziali sono in ritardo e Zirkzee gli è già avanti, pronto a fronteggiare Romagnoli e Patric.

Anche il primo gol al Frosinone, che è solito pressare con continuità in zone alte, nasce attraverso la buona uscita dal basso in conduzione di Ferguson, che poi combina con Orsolini per mandare a vuoto tre uomini e attaccare a campo aperto.

Sono due i nomi che spiccano parlando della fase difensiva e di prima costruzione bolognese: Sam Beukema e Riccardo Calafiori, entrambi volti nuovi dell’estate, già simboli di questo avvio stupefacente. Il primo, sesto in A per passaggi corti completati – dati WhoScored –, ottimo in conduzione e in lettura; il secondo, che avevamo conosciuto da terzino sinistro nei suoi primi scampoli alla Roma, è stato trasformato in un factotum difensivo, capace di stare al centro con l’olandese, ma anche di agire da mediano davanti al triangolo di difesa basso, come “collega” di Aebischer.

In questo frangente, ad esempio, lo osserviamo prima salire addirittura oltre Barella e Çalhanoğlu, per offrire una linea di passaggio avanzata a Lykogiannis, e poi rientrare alle spalle dei due centrocampisti interisti, per liberarsi nello spazio lasciato da Barella, che si è alzato in pressione, andando in due contro due con Mkhitaryan e Çalha. Poco dopo, peraltro, da un suo ottimo anticipo su Lautaro si avvierà l’azione del pareggio finale.

Il Bologna, poi, sta dimostrando di essere seria candidata all’Europa anche grazie alla varietà di soluzioni che riesce ad applicare in una partita, non trincerandosi in una sola disposizione tattica. Per questo il lancio in verticale immediato, una mossa tanto ossimorica rispetto alla manovra a pelo d’erba, è comunque un’arma spesso usata, per esempio sotto una pressione particolarmente efficace. Esemplare il gol del solito Zirkzee contro il Sassuolo, un saggio della setosità dei piedi del ragazzo di Schiedam, ma anche di quelli di Aebischer.



Difendere attaccando, attaccare difendendo

L’intitolazione chiastica fa riferimento a un’arma che il Bologna di Thiago Motta ormai applica con straordinarietà ossequiosità: il blocco medio a centrocampo, strumento che intimorisce e protegge, che azzarda e cautela. I rossoblù non sono estremisti nel loro rapporto con il pressing: raramente lo portano dentro l’area di rigore, né però lo aborrano attendendo l’avversario nella propria metà. Piuttosto, preferiscono creare una o due linee di pressione nella zona che ritengono sia più utile neutralizzare, il primo quarto di campo avversario, dove i centrocampisti possono ricevere e, se lasciati liberi, guardare in avanti e far avanzare pallone e squadra.

Bloccare la recezione dei centrocampisti diventa quindi un’arma duplice, sia per trarre i difensori nell’errore di forzare il passaggio, con la possibilità di recuperare palla e avviare un’azione in una zona relativamente offensiva, sia per isolare sempre i centrocampisti dalla manovra, togliendo risolse creative.

Vediamo qui contro il Milan una marcatura a uomo eseguita pedissequamente, con la peculiare scelta di Moro accanto a Zirkzee su Thiaw e Tomori, poi Ndoye e Ferguson su Theo Hernández e Calabria, infine il partente Nico Domínguez su Krunić. La mancanza di sbocchi in questa occasione costringerà Maignan a cercare di saltare il centrocampo, non riuscendoci e consegnando la sfera ai ragazzi di Motta.

Un altro esempio contro la Juventus. Il Bologna è prima disposto su un 4-1-4-1, con Zirkzee che si stacca dal blocco per andare a disturbare i difensori, mentre Aebischer rimane dietro a coprire. Bremer supera la pressione ma non può servire né Chiesa né Fagioli, così va da Alex Sandro che, attaccato, gli restituisce la palla facendo perdere metri. La sfera arriva a Danilo – il quale, guardando con attenzione, è pressato da Orsolini su invito di Ferguson – che forza un passaggio diretto su Vlahović, intercettato intelligentemente da Moro. La Juve ritorna presto in possesso ma il Bologna, ora con un 4-2-4, costringe la punta serba a scendere letteralmente al centro del campo, dove Aebischer lo porta ad allargare male verso Alex Sandro; Ndoye recupera palla e subisce il fallo di Rabiot, anche ammonito.

Tuttavia, perché la magia riesca, i bolognesi hanno la necessità di non farsi schiacciare in non possesso, cercando di negare il più strenuamente possibile la riconquista alta all’altra squadra. Altrimenti capiterebbe di prendere gol come quello di Bonaventura a Firenze: con Kristiansen e Posch schiacciati dalle ali e la salita di Arthur e Duncan, che creano superiorità centrale, permettendo alla Fiorentina di riconquistare il possesso, manovrare subito al limite dell’area e, nonostante un buon ripiegamento, bucare la difesa con l’ottimo lavoro di sponda e smistamento di Nzola.

Insomma, il Bologna deve prestare particolare attenzione alle squadre che applicano una pressione e una linea di difesa alta, perché lo costringono ad un palleggio pressoché perfetto, e in caso di palla persa fatica a presidiare la sua area di rigore.

Ma in questa necessità di precisione può contare su un Michel Aebischer quest’anno davvero in stato di grazia. L’elvetico, ottimo anche in marcatura e ripiegamento, è in questo momento – stando ai dati di WhoScored – secondo solo a Daniel Boloca per percentuale di passaggi a buon fine (93.4%), sopra perfino a un top del fondamentale come Lobotka.


Tu non mi basti mai

È giusto chiudere con un minimo omaggio ad un simbolo di Bologna, Lucio Dalla. «Tu non mi basti mai» è la frase che potrebbero dirsi Motta e i suoi calciatori, il club e i suoi tifosi, esplicativa di un’ambizione che cresce e non vuole fermarsi, ma anche di un amore che, al di là di tutto, è ormai granitico e irremovibile per tutte le parti in causa, più forte dei risultati, del tempo che scorre. Vedremo se Thiago Motta sceglierà di plasmare la sua legacy sotto le Torri Garisenda e degli Asinelli, o se continuerà a stupire altrove; se il Bologna saprà eventualmente crescere anche senza di lui, raffinando un’identità che vada oltre la guida tecnica; se, dopo anni di immobilismo, il grande salto verso l’Europa sarà finalmente compiuto. Per ora, comunque, nella città Dotta, Grassa e Rossa ci sono tante ragioni per sperare in meglio.

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