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Genesi, evoluzione e futuro del centrocampo dell’Inter

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L’Inter di Simone Inzaghi sembra ormai avviata verso la sua seconda stella. Scaramanzie a parte, non è solo il distacco in classifica a premiare i nerazzurri, fattore che come ampiamente dimostrato in passato non è condizione sufficiente per cantare vittoria a poco più che metà campionato, ma anche un livello di gioco impareggiabile, che di conseguenza rende un arido deserto il novero delle rivali per il titolo. Con il discontinuo Milan sconfitto 5-1 a inizio stagione, e l’annata disastrosa di Lazio, Roma e Napoli, lontanissime dall’Inter sotto qualsiasi punto di vista, la vittoria per 1-0 contro la Juventus e i successivi scivoloni bianconeri sono sembrati la pietra tombale sul campionato, dato che i torinesi costituivano l’unico avversario velatamente credibile di questa Serie A.

È possibile che anche i bianconeri abbiano profittato dell’harakiri generale fra le big sulla carta per costruire il proprio dignitoso e minaccioso cammino. Senza una prova del nove europea, è davvero complesso provare a definire la reale dimensione della Juventus. Resta il fatto che la sfida contro l’Inter ne ha evidenziato tutti i limiti e i mismatch nascosti sotto il tappeto del cinismo allegriano. In particolare, a sembrare incolmabile è il gap fra il centrocampo dell’Inter e quello dei bianconeri.


L’eredità di Conte

L’asse Mkhitaryan-Çalhanoğlu-Barella proposto da Inzaghi è il punto di arrivo di un travagliato, a volte casuale, processo di tentativi e rimpianti iniziato con la firma di Antonio Conte per la panchina dell’Inter.

Quando il tecnico leccese raggiunge Milano, l’Inter ha abbandonato il 3-5-2 ormai da quattro anni, da quando Walter Mazzarri fu esonerato per lasciare spazio al ritorno di Roberto Mancini. Conte arriva all’Inter nel 2019 e da allora il suo sistema tattico privo di ali e trequartisti non è mai stato abbandonato. I primi a farne le spese furono Ivan Perišić ceduto al Bayern Monaco e Matteo Politano, spedito a Napoli a metà stagione, due giocatori che in quel momento avrebbero faticato enormemente a trovare una collocazione nel nuovo modulo. L’anno dopo anche Antonio Candreva si deve arrendere ai cambiamenti, scegliendo la Sampdoria, mentre Perišić, tornato a Milano, viene trasformato in terzino a tutta fascia con risultati clamorosi.

Dunque, è evidente come il passaggio a una difesa a tre non comporti mutamenti radicali solo nel reparto difensivo, ma una rivoluzione di portata tale da rendere inutili calciatori prima fondamentali, solo in virtù del loro inservibile ruolo. Marcelo Brozović assume così definitivamente la posizione di vertice basso mentre ai suoi lati, nelle intenzioni dell’allenatore, agiscono Stefano Sensi e Arturo Vidal.

La situazione è paradossale: Sensi resta intrappolato in un vortice di infortuni che spezzano prematuramente la sua avventura in nerazzurro da protagonista. Per una prima parte di stagione Matías Vecino gioca ancora un ruolo fondamentale in questa squadra, mentre Nicolò Barella inizia ad affermarsi lentamente. Ma lo scarso rendimento di Vidal e l’improvvisa latitanza di Vecino, permettono alla mezzala sarda di emergere sempre più nelle gerarchie, fino a divenire un titolare inamovibile: un centrocampo che sembrava in overbooking diviene sempre più rimareggiato, al punto che anche Borja Valero, inizialmente ai margini del progetto, mette insieme 19 presenze in campionato. A gennaio l’Inter corre ai ripari assicurandosi le prestazioni di Christian Eriksen.

Nel 2020/2021, anno in cui Conte riuscirà a riportare lo scudetto a Milano, il centrocampo è ormai un valore aggiunto e meglio codificato che nella stagione passata, in cui si affermano Brozović come regista, Barella come centrodestra ed Eriksen come centrosinistra, con compiti molto differenti fra loro. Brozović funge da raccordo e metronomo, mentre Eriksen offre una qualità di palleggio e di pensiero, che permette ai nerazzurri di proporre in corso d’opera il doppio play, con il croato e il danese lucidi e precisi al limite del meccanico, mentre Barella fornisce un supporto fondamentale a Milan Škriniar e Achraf Hakimi sulla fascia destra, coprendo le sortite dello slovacco o supportando le sovrapposizioni dell’attuale terzino del PSG. In questa fase l’Inter e Conte stesso operano una prima rivoluzione che si ripercuoterà, poi, sul futuro dell’Inter di Inzaghi: la rinuncia all’incontrista puro. Non è stato semplice adattare Eriksen nel centrosinistra del centrocampo, cosa che ha comportato la marginalizzazione sempre più sistematica di Vidal e Vecino: l’Inter si assume così un rischio che avrà risonanze sulla carriera di tanti suoi interpreti, a cominciare da Brozović, le cui capacità di fare legna centuplicano, dato che in quel momento reggeva sulle sue spalle la prima fase di schermo, prima dell’attacco diretto contro la difesa.


La ricollocazione dei trequartisti

Naturalmente il passaggio al 3-5-2 implica la rinuncia a piazzare un uomo dietro le punte, a meno di passare a un 3-4-2-1/3-4-1-2 alla Gasperini o, alla meglio, impiegare i propri trequartisti come seconde punte. All’Inter però evidentemente in questi ultimi anni si è scelta una terza via. Quando Christian Eriksen lascia Londra per venire all’Inter, porta in dote una posizione inesistente nello scacchiere di Conte, che lo mette nell’unica zona possibile: il centrosinistra, se si trascura un breve periodo in cui il danese è stato impiegato come regista al posto di Brozović. Dopo l’infarto che ha colpito Eriksen ad EURO 2020, l’Inter è costretta per motivi di regolamento a rinunciare a un suo pilastro, e decide – o vi rinciampa casualmente – di ritentare la stessa identica strada. Giunto all’Inter, Inzaghi non sostituisce Eriksen con un calciatore dotato delle caratteristiche indicate per la posizione in cui questi giocava, ma lo fa con un giocatore che aveva pressoché le stesse caratteristiche tecniche del danese, con le dovute proporzioni, almeno all’epoca: Hakan Çalhanoğlu.

Il turco al Milan ha ricoperto quasi sempre la posizione di trequartista, fra alti e bassi. L’Inter dunque si affida ad un altro blocco di argilla da plasmare, che nel giro di due anni, complice l’infortunio di Marcelo Brozović, finirà addirittura per trasformarsi in un regista fenomenale, capace anche di garantire quel lavoro di copertura e frangiflutti, che sembrava prerogativa insostituibile del suo predecessore. A rendere Brozović speciale, infatti, era la sua unicità: anche per centrocampisti più veloci, fisicamente più prestanti o banalmente più tecnici, non è scontato avere quel mix di caratteristiche ideale per reggere i compiti e le sequenze tattiche che il centrocampo dell’Inter richiedeva in quello specifico momento. A stupire, dunque, è come Çalhanoğlu sembri aver perfezionato questa particolare funzione, senza il fare dinoccolato e, a suo modo, efficace ed elegante di Brozović, ma con un atteggiamento più dinamico e vistosamente aggressivo, spesso altrettanto spettacolare, eppure in modo diverso. Quella del turco e di Inzaghi è una riuscita interpretazione personale di un’opera affinata e curata in dettaglio da Brozović, sin dai tempi di Spalletti.

A questo punto, con Çalhanoğlu migrato in regia, verrebbe da pensare che l’Inter abbia finalmente preso la sua mezzala sinistra di ruolo. E invece no: «è successo di nuovo» direbbe Phil, il personaggio interpretato da Bradley Cooper nella saga di Una Notte da Leoni, se commentasse l’arrivo e l’impiego di Henrikh Mkhitaryan in nerazzurro. Espertissimo trequartista dalle importanti medie realizzative, assume la posizione di centrosinistra dopo un fisiologico periodo di adattamento e subentri. E a questo punto è legittimo credere, in considerazione anche dei livelli di gioco straordinari garantiti dall’armeno in questa stagione, che quella dell’Inter sia ormai una scelta oculata che si determina in due parti: la rinuncia all’incontrista e la trasformazione del trequartista in mezzala. Esattamente come accadeva per Eriksen e Brozović con Conte, Mkhitaryan e Çalhanoğlu garantiscono scambi stretti, inserimenti, calcio da fuori e una qualità generale che permette di congelare il possesso palla e suonare a piacimento lo spartito del ritmo partita.

Oggi l’Inter è una fisarmonica, in grado di contrarsi e aprirsi secondo esigenza, di segnare in contropiede dopo trenta minuti arroccata dietro, come di schiacciarti fino ad ammazzare la partita in un tempo; di attendere le mosse dell’avversario, per poi scardinare qualsiasi contromossa avversaria grazie a imbucate e azioni codificate in grado di far saltare il banco in qualsiasi momento.


Il ruolo di Barella

Nicolò Barella è, se vogliamo, l’elemento più “oscuro” del centrocampo dell’Inter. È difficile spiegare quali siano i suoi compiti, eppure la sua presenza è fondamentale. Barella è il jolly dei nerazzurri: alzandosi sulla linea degli attaccanti permette in fase di pressing il passaggio al 3-4-3, mentre in fase di possesso partecipa ai fraseggi con i compagni, spostandosi da una parte all’altra del centrodestra, garantendo sempre uno scarico sicuro a chi orbita nei pressi del suo raggio d’azione. Rispetto a quando approdò all’Inter si inserisce meno sugli esterni, e ciò gli ha permesso di affinare le capacità di inserimento centrali. Instancabile e dotato di ottima tecnica di base, Barella è l’interprete perfetto per il centrodestra nerazzurro. Il suo lavoro di posizione e occupazione degli spazi, la sua testa sempre proiettata verso il peggiore scenario possibile sui calci piazzati a favore, sono quei dettagli che sfuggono all’osservatore meno attento, ma che complicano terribilmente le partite all’avversario.


Il rimpianto Sensi

Spesso l’Inter, dopo lo scudetto, ha dovuto fare di necessità virtù per restare a galla, e visti gli straordinari risultati attuali, si è scatenato un dibattito fra chi parla di bravura e chi di fortuna. Senz’altro, è innegabile che il fato abbia influito molto sul cammino dei nerazzurri nelle ultime stagioni, lasciando in piedi una sequela di se e di ma che non avranno mai risposta. E ciò non solo per i problemi cardiaci di Eriksen che hanno condotto a Çalhanoğlu o lo scarso rendimento di Vidal che ha costretto a rivoluzionare il centrosinistra del centrocampo dell’Inter. Uno dei grandi se della storia recente nerazzurra è come sarebbe andata se Stefano Sensi non si fosse infortunato, o qualsiasi cosa gli sia capitata. Più o meno scherzosamente Sensi è ricordato come il miglior giocatore che l’Inter abbia mai visto a settembre. L’esplosione di Barella e l’arrivo di Eriksen devono molto a questa circostanza, e non è banale chiedersi quanta centralità il ragazzo marchigiano si sarebbe guadagnato nel mondo nerazzurro proseguendo su quei livelli, e che conseguenze ciò avrebbe avuto sui suoi compagni.


La questione Frattesi

Prima che la stagione iniziasse, quasi nessuno credeva che Mkhitaryan avrebbe conservato la maglia da titolare per tutto l’anno o che avrebbe reso su questi livelli, divenendo addirittura imprescindibile. Ciò ha chiuso le porte alla scalata di Davide Frattesi verso la titolarità. In realtà l’ex Sassuolo ha cumulato così pochi minuti da non poter essere noverato neanche fra le prime riserve prese in considerazione da Inzaghi, e questo la dice lunga sull’intoccabilità del centrocampo. Per quanto dispiaccia vedere un calciatore così forte e dalle prospettive così rosee arrancare in panchina, sembra che lui stesso con molta umiltà capisca con chi compete per una maglia da titolare e attenda pazientemente il suo momento. Se Frattesi sostituirà Mkhitaryan, quando sarà fisiologicamente troppo avanti con l’età per reggere la titolarità assoluta, allora l’Inter dovrà rivoluzionare nuovamente le sue logiche di centrocampo. Se, invece, ipotizzando una cessione di Barella, Frattesi prenderà il suo posto, l’eredità dell’armeno potrebbe essere colta da Piotr Zieliński, che dovrebbe arrivare a luglio, anche lui con un’evoluzione calcistica che l’ha portato dalla trequarti al centrosinistra. Così come Frattesi, però, l’attuale centrocampista del Napoli potrebbe essere nell’immediato una riserva. Una cosa sola sembra certa: una buona fetta delle speranze per il futuro del centrocampo nerazzurro sono sulle spalle di Frattesi, che al momento sembrano più larghe di quelle di Kristjan Asllani o di qualsiasi altro giovane centrocampista di proprietà dell’Inter in giro per il mondo.

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