Ernesto Guevara è sicuramente una delle personalità più famose e influenti della storia del Novecento e non solo. Il Che, come era soprannominato Guevara, è stato uno dei rivoluzionari comunisti più importanti del suo continente, nonché dell’intero movimento mondiale, tanto da diventare un vero e proprio simbolo e rappresentazione visiva dell’immaginario di rivoluzione, anche nel mondo del calcio.
Tra le persone che si sono da sempre proclamate come forti estimatrici del Che, infatti, ci sono anche tantissimi calciatori. Basti pensare a, uno su tutti, Diego Armando Maradona. El Pibe de Oro, oltre ad avere tatuato sulla pelle il volto del Che iconicamente regalato alla storia da Alberto Korda, ha sempre professato una visione politica similare a quella del connazionale argentino e del suo compagno di rivoluzione Fidel Castro.
Quello che sfugge a molti, però, è che Che Guevara avesse anche una grande passione per il calcio – e come poteva essere altrimenti, nascendo a Rosario, la ciudad del fútbol. Ciò che sicuramente è spesso dimenticato è che il Che di questa passione ne fece un vero e proprio hobby a livelli discreti, anche a carriera politica già in corso.
È ben più ricordata la sua carriera rugbistica, rispetto a quella con protagonista il pallone rotondo, ma Che Guevara lasciò il segno anche nel calcio. Grande tifoso del Rosario Central ed estimatore viscerale di Alfredo Di Stéfano, nel 1952, ben prima della rivoluzione di Cuba, fece una scelta di vita e iniziò ad attraversare tutto il Sud America in motocicletta accompagnato dal fedele amico Alberto Granado.
I due, durante il viaggio, si fermarono più volte per giocare a calcio. La prima volta in Cile, dove giocarono una partita con degli operai edili, poi in Perù, dove parteciparono a delle partite vicino a Machu Picchu con i dipendenti dell’hotel nel quale alloggiarono, e infine nel dipartimento colombiano di Amazonas, dove si presentarono come grandi conoscitori calcistici e furono posti dalla gente locale come allenatori-giocatori della squadra della città di Leticia, l’Independiente Sporting Club.
Scesero spesso e volentieri in campo per aiutare i compagni, ma mentre Granado giocava più avanzato da fantasista e faro della squadra – veniva simpaticamente chiamato Pedernerita, in onore del fenomenale Adolfo Pedernera –, il Che si sistemava in porta. Vuoi per l’asma che lo aveva colto sin da ragazzo, vuoi per la scarsa abilità col pallone fra i piedi, Ernesto Guevara giocava come portiere. Un portiere neanche troppo malaccio tecnicamente, capace di parare diversi rigori e dedito totalmente alla protezione della sua porta nel corso dei novanta minuti.
Il suo amico Granado ricorda infatti come durante una partita a Cuba nel 1963, quando Guevara era già stato nominato ministro dell’industria, giocando per il Madureira, uscì coraggiosamente dall’area di rigore per fermare un attaccante lanciato a rete, non avendo la ben che minima esitazione nell’atterrare senza troppi complimenti l’avversario. Qualcosa di certamente atipico per un ministro.
Sulla carriera calcistica di Che Guevara si sprecano altre leggende, come quella che lo vide impegnato in un amichevole contro lo stesso Di Stéfano – da poco emigrato nei Millionarios di Bogotà per la cosiddetta epoca dell’El Dorado del calcio colombiano –, costretto a fare i conti con tutta la maestosa bravura della Saeta Rubia.
I due si conoscevano e si stimavano, tanto che Di Stéfano regalò dei biglietti a Guevara e Granado per assistere ad una sua partita, ma su quest’ultimo evento si può dubitare. Quello che possiamo affermare come sicuramente veritiero è che il calcio, da quando è nato, è stato un vero e proprio ammaliatore per milioni di persone nel mondo, compreso una figura come quella di Che Guevara, una delle personalità più influenti della storia.
Leggi anche: El Trinche Carlovich, più forte dei campioni del mondo