Piove a Londra, “Che novità!” esclamerebbe sardonicamente qualcuno. Allo Stamford Bridge va in scena la sfida tra Chelsea e Manchester United, un match di cartello, ma sicuramente non con lo stesso peso specifico dei tempi d’oro: in campo non ci sono Cristiano Ronaldo, Wayne Rooney, Frank Lampard e Didier Drogba, non ci si gioca la Premier League – tutt’altro! –, ma il fascino resta, l’atmosfera è quella delle grandi serate.
Le compagini di Mauricio Pochettino ed Erik ten Hag si presentano con due moduli – se ha ancora senso parlare di moduli – abbastanza speculari: 4-2-3-1, o 1-4-2-3-1 per chi ormai preferisce inserire anche il portiere, giocatore di movimento a tutti gli effetti. Rapida occhiata alle formazioni, e l’attenzione si posa sull’età media: 23,5 per il Chelsea, 26,1 per lo United; l’unico giocatore nato nello scorso millennio dalla trequarti in su delle due squadre è il capitano dei Red Devils Bruno Fernandes.
Pronti, partenza, via: il Chelsea azzanna subito la partita. Imbucata per Malo Gusto, che scarica al limite per l’accorrente Conor Gallagher: 1-0 al 4’, lo Stamford ringhia d’orgoglio. Il dodicesimo posto in classifica sta evidentemente stretto a un tifo abituato a ben altri palcoscenici.
Lo United prova ricomporsi e si mette a giocare. L’ex Inter André Onana fa partire spesso l’azione saltando la prima linea di pressione, cerca Bruno Fernandes che a memoria pesca un Antony nella serata giusta, e per limitarlo Mykhaylo Mudryk è spesso costretto a dare manforte a Marc Cucurella.
I tentativi di rimettere velocemente in piedi la partita però capitolano al 19’: proprio Mudryk imbuca Cucurella – come nel caso del primo gol l’inserimento dei terzini è una costante nelle trame offensive del Chelsea, che può sfruttare l’attenzione gravitazionale rivolta ai due esterni blues –, Antony ripiega, ma, come spesso accade quando un giocatore offensivo si trova a difendere dentro la propria area di rigore, fa la frittata: rigore per il Chelsea. Dagli undici metri Cole Palmer, con il suo solito sguardo glaciale incrocia e spiazza Onana: 2-0.
Sembra che il copione della serata sia già scritto. Palmer dopo il gol continua ad essere il fulcro della manovra offensiva dei padroni di casa, con il suo andamento che ricorda maledettamente quello di Ángel Di María, un altro mancino dai tratti fisici incredibilmente simili. La stessa magia che nasce dal sinistro, la stessa capacità di creare gioco e di accendersi anche con violenta personalità nei momenti importanti, ma come in una recita degli opposti non possono nascondere le loro origini: da una parte il figlio del barrio, glielo leggi in faccia, non puoi uscirne mai; dall’altra l’espressione massima della nobiltà anglosassone, con quel colorito ceruleo, le calze tirate fin sopra le ginocchia e quella spavalderia di chi crede che il mondo sia ai suoi piedi.
A un certo punto però, il copione della serata presenta il più classico dei plot twist, un harakiri improvviso che rimette in gioco l’antagonista. Casemiro recupera una palla al limite della propria area di rigore e cerca subito Rasmus Hojlund, che appoggia su Bruno Fernandes. Da lui ci aspetteremmo la solita sventagliata ad aprire e illuminare il campo, e invece svirgola malamente il pallone, che sembra destinato ad uscire. Antony riesce in un recupero disperato, la palla finisce sui piedi di Moisés Caicedo, che con una sufficienza criminale gioca in orizzontale su Benoît Badiashile, Alejandro Garnacho intercetta e si invola a campo aperto, e davanti al portiere non può sbagliare: 2-1, i Diavoli Rossi sono ancora vivi.
La partita cambia, lo United alza il baricentro prendendosi anche qualche rischio. Kobbie Mainoo pressa sulla linea della trequarti lasciando dietro un buco che il Chelsea cerca di sfruttare per trovare i suoi uomini offensivi. Nicolas Jackson si decentra e crea continuamente problemi alla coppia difensiva: Harry Maguire cerca spesso l’anticipo, ma altrettanto spesso lo sbaglia, ma è soprattutto Raphaël Varane ad andare in sofferenza.
Al 38’, da un calcio d’angolo per il Chelsea, ne nasce una ripartenza dello United orchestrata a meraviglia: Onana per Burno Fernandes, che apre immediatamente per Antony, il brasiliano cambia velocemente gioco su Garnacho che scarica per Diogo Dalot, cross sul secondo palo e Bruno Fernandes va a chiudere l’azione con un preciso colpo di testa che ristabilisce la parità: è 2-2 a Londra, e lo spettacolo è solo all’inizio.
A cavallo tra la fine del primo tempo e l’inizio del secondo, la partita evolve in uno spettacolo dai ritmi folli, vertiginosi, sugli spalti qualcuno ha quasi la sensazione di assistere a una partita di tennis con i continui scambi da una parte all’altra.
La parità si regge su imprecisioni negli ultimi metri e grandi interventi difensivi. Da segnalare, a tal riguardo, le ottime coperture di Axel Disasi, che magari pecca con il pallone tra i piedi, ma nel complesso annichilisce il diretto avversario danese, troppo statico e che poco dopo esce per lasciare spazio a Marcus Rashford.
Sulla destra Antony ingaggia un bellissimo duello in velocità con Cucurella, ma è solo l’antipasto di quello che accade al 67’: da una rimessa nella propria trequarti dello United, Badiashile sbaglia completamente un appoggio e i Red Devils ripartono sulla destra proprio passando per i piedi di Antony, che inventa un assist di esterno sinistro – anche questo a ricordare le migliori giocate del Fideo – che pesca Garnacho. L’argentino beffa di testa Dorde Petrović in uscita: è 2-3 per il Manchester United, estasi e disperazione allo Stamford Bridge.
Antony dimostra che quando vuole riesce a svincolarsi dall’etichetta che molti gli hanno già affibbiato, quella del giocatore fumoso. Il brasiliano forse verrà ricordato solo per la sua spin, ma può essere anche tanto altro: un giocatore velocissimo, utile in ripiegamento e dotato di un bagaglio tecnico che può diventare dannatamente efficiente.
A bordocampo cambia lo scenario, mentre ten Hag resta impassibile in piedi sotto la pioggia, Pochettino riemerge dalla panchina dove era sprofondato, quasi annoiato sul 2-0 dei suoi ragazzi, e cerca soluzioni tra i suoi uomini per evitare il disastro.
Girandola di cambi per entrambe le squadre, ma la partita sembra avviarsi verso la vittoria dei Reds, a cui parteciperebbe anche l’ex Mason Mount, entrato tra i fischi dei padroni di casa. Mainoo, Bruno Fernandes e Antony sembrano poter gestire la partita, strappando continuamente il campo da un lato all’altro.
All’89’ Pochettino si gioca l’ultimo jolly: dentro Noni Madueke per Gallagher, sembra la mossa della disperazione, ma proprio all’ottavo e ultimo minuto di recupero l’esterno classe 2002 punta e supera Dalot con la freschezza tipica del neoentrato, e il terzino ex Milan gli frana addosso: rigore.
Dopo un lungo consulto VAR il penalty viene confermato. Palmer non cambia lato e segna il 3-3, lo Stamford Bridge torna a respirare. Si stava rischiando davvero di fare la storia, in negativo: il Chelsea non perdeva in casa da una situazione di 2-0 dal 1999, e prima ancora era successo solo nel 1992.
Lo spettacolo sembra giungere a conclusione, tra il divertimento di tutti gli spettatori. I telecronisti non riescono a dire nient’altro che «What a match!», ma evidentemente questo film non è ancora finito. Sì, proprio un film, forse partorito dalla fantasia dei fratelli Cohen, come Non è un paese per vecchi, e la Premier sicuramente non lo è. Lo testimoniano gli attori in scena, i ritmi folli che solo la spregiudicatezza del fiore degli anni sa concederti e anche la sensazione di giustizia che alla fine chiude la storia, perché queste squadre sembrano le figlie dei padri più illustri che furono, entrambe non all’altezza dello United di Sir Alex Ferguson o del miglior Chelsea di José Mourinho, ma questa sera hanno scritto un classico della storia della Premier, e lo hanno scritto dei ragazzi figli del nuovo millennio, che magari scriveranno la loro storia con il tempo, così come l’hanno scritta i loro padri. La trappola della nostalgia non può negar loro questa dignitosissima possibilità.
Ma come dicevamo, il film non è finito. Siamo al100’, lo United riporta la palla nel cerchio di centrocampo e tenta un ultimo disperato tentativo di ritrovare quel sapore di impresa che aveva tanto pregustato. Proprio Dalot si lancia in una sortita offensiva pregna di orgoglio e riscatto, che si infrange però contro il muro blues, ormai rinvigorito e pronto a lanciarsi in campo aperto a cercare il più assurdo dei finali. Trevoh Chalobah tenta un tiro che con una deviazione velenosissima regala il corner delle ultime speranze ai londinesi.
Corner battuto corto su Palmer, che tenta l’ennesima conclusione. Questa volta, però, il Manchester United viene beffato da una deviazione: 4-3 Chelsea, è estasi pura allo Stamford Bridge. Anche il redivivo Pochettino corre sotto la pioggia in un delirio parossistico di riscatto.
È stato l’ennesimo manifesto del calcio inglese, del campionato che ormai ha staccato tutti gli altri, e che si presenta da favorito in tutte le competizioni del continente. Noi spettatori italiani, e probabilmente mondiali, andiamo a dormire con la consapevolezza di aver assistito ad uno spettacolo unico, ma forse con il sentore, non tanto celato, che questa in fondo è la Premier League, e che ogni settimana potremmo assistere a partite del genere, magari non con tutti questi gol e colpi di scena, ma sicuramente con questi ritmi, come ad esempio è stato il recente Liverpool-Manchester City.
«Qual è la cosa più grossa che hai perso a testa o croce?», probabilmente avrei risposto «Questa partita!», se non l’avessi vista.
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