Çalhanoğlu

Hakan Çalhanoğlu, odi et amo fra le due sponde dei Navigli

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Non è certo la logica, si intende, che ha permesso al calcio di sopravvivere ai decenni. Irrazionalità e istintività sono le fondamenta stesse di questo sport, a volte pericolosamente passionale. Il calcio non è che una struttura condivisa di regole e comportamenti, comprensibile a chiunque se ne interessi. Eppure, appurato che se la palla va in rete è goal, che un calcio negli stinchi è un fallo e un cartellino rosso comporta un’espulsione, è molto più complicato capire perché la cosa ci tanga o addirittura ci condizioni l’umore.

Come ogni fenomeno sociale, non più né meno del potere che un’ideologia o una religione è in grado di esercitare sui suoi seguaci, il calcio è in grado di fungere da pretesto e causa a giustifica di un comportamento collettivo, che a sua volta può sfociare nel fanatismo. È davvero complicato pensare che hooligans o ultras che passano la settimana a progettare come tendere un agguato a loro omologhi decorati da altri colori provino davvero amore e rispetto per lo stemma che millantano di difendere.

Il fanatismo e la violenza in questo caso sono meglio spiegabili con un’inversione del rapporto causa-effetto, in cui la squadra del cuore diviene niente più che un viatico per un’aggregazione sociale altrimenti priva di senso, così arricchita di un substrato culturale accessibile e giustificatorio. Anche volendo per assurdo accettare che esistano buoni motivi per aggredire fisicamente altri esseri umani, è lecito credere che un vero tifoso si renda conto che causare chiusure di curve, penalità, trasferte vietate e partite perse a tavolino a causa dei propri comportamenti sia la forma più lontana dall’amore e dalla difesa degli interessi della propria squadra del cuore.

Tuttavia, ci sono altre forme di violenza costitutive di questo sport, che sembrano affondare le loro origini in qualcosa di più personale, profondo e difficilmente comprensibile della mera aggressività di gruppo. A volte, infatti, l’amore per la propria squadra del cuore o l’affetto per un calciatore assume i connotati di una relazione tossica.

Si dice che amore e odio siano facce della stessa medaglia, che uno non possa esistere senza l’altro o senza esserne diretta conseguenza. E in questo caso è dannatamente vero. Per quanto ci possa sembrare assurdo, per molta gente un cambio maglia ha lo stesso valore di una diserzione, dell’apostasia o del collaborazionismo. Certo, è evidente che non si possa pretendere che passare dal Barcellona a Real Madrid sia come lasciare la Apple per lavorare per la Samsung: le società calcistiche sono qualcosa di più che semplici aziende, ma più che storcere il naso e bestemmiare fra i denti cosa possiamo farci?


Passare da una parte all’altra di Milano

Hakan Çalhanoğlu nasce l’8 febbraio del 1994 a Mannheim, in Germania, da una famiglia di origine turca, nazionalità che deciderà di rappresentare a livello calcistico. Dopo un’esperienza al Karlsruhe, Hakan approda in Bundesliga, con le maglie di Amburgo e soprattutto Bayer Leverkusen, dove si afferma come uno dei centrocampisti più interessanti d’Europa.

Nel 2017 passa al Milan, divenendo un punto fermo per i rossoneri. In particolare nella stagione 2020/2021 contribuisce, suo futuro malgrado, a gettare le basi per il Milan campione d’Italia della stagione seguente, affermandosi nella posizione di trequartista del 4-2-3-1 di Pioli. Il Milan deciderà di non investire su un sostituto, sfruttando in quella posizione Brahim Díaz e Frank Kessié – in base all’esigenza tattica –, che nonostante siano due giocatori diversi dal turco sotto ogni punto di vista, ne ereditano magistralmente il posto.

Quando Çalhanoğlu, alle soglie della stagione 2021/2022, va via a parametro zero da Milanello per accettare l’offerta dell’Inter, diviene inevitabilmente l’ultima pedina dell’eterna rivalità che separa le due sponde di Milano, quella rossonera da quella nerazzurra.

Il turco è il più recente esempio del martirio che comporta agire da professionista in questo sport, secondo per risonanza mediatica solo al “tradimento” che ha portato Higuaín a lasciare Napoli per indossare la maglia degli odiati rivali della Juventus.


La seconda vita di Hakan

Le prestazioni del turco al Milan erano state certamente di livello, ma altalenanti. Sin dal suo arrivo la tifoseria non è mai stata completamente in sintonia con il giocatore, discontinuo, umorale e condizionato dai momenti negativi della sua squadra. Non l’esempio di calciatore che viene fuori nelle difficoltà, anzi.

Ad ogni modo, quando Hakan approda ad Appiano Gentile scatena le ire della sua ex tifoseria, nel cui cuore evidentemente aveva fatto breccia. Ovviamente per i tifosi rossoneri non è semplice digerire i contingenti addii di Donnarumma e Çalhanoğlu, entrambi in scadenza di contratto.

Dal canto loro i tifosi dell’Inter, passata la paura per le condizioni di salute di Eriksen, non sono convinti che il turco rappresenti il profilo ideale per sostituirlo. I cugini, beffardi, ammoniscono: vi farà penare. E il tifo nerazzurro, preda dello snobismo figlio di uno Scudetto appena vinto, è mediamente d’accordo.

Così Hakan arriva all’Inter in un clima surreale, in cui diviene oggetto di una disputa paradossale che perde in se stessa le motivazioni della sua origine. I tifosi del Milan lo criticano aspramente e giustificano il loro risentimento con la scelta del turco di giocare per l’Inter, non tanto per il valore in sé del calciatore; mentre i tifosi dell’Inter si ritrovano a dover fare quadrato per difendere un elemento della loro squadra senza avere ancora avuto il tempo per empatizzare con lui.

Da questo momento diviene un simbolo, da una parte e dall’altra, infiammando ancor di più un ancestrale conflitto stracittadino. Per i tifosi dell’Inter è l’amico spintonato dai bulli nei corridoi, per i cugini un sopravvalutato, un mercenario, un ingrato meritevole di scherno.

Ma dietro il simbolo c’è l’essere umano, e per Hakan tutta questa situazione diviene una sfida per la sua carriera. Uno spartiacque che lo pone al centro dell’attenzione e nei cuori dei suoi nuovi tifosi a prescindere. E Hakan la sente questa pressione, inizia a ricambiare quel sentimento d’odio che la Sud riversa su di lui e quando segna il rigore del vantaggio nel Derby d’andata del 2021 va sotto la curva, mani alle orecchie, e getta la maschera. Un gesto di liberazione, di sbeffeggio, ma che porta con sé tutti i rischi dell’esporsi in maniera così evidente.



L’exploit sul campo

Dal canto suo Çalhanoğlu ha preso in mano le chiavi del centrocampo dell’Inter. Tutto il rancore che i suoi ex tifosi gli hanno riservato, ha inevitabilmente avvicinato il calciatore al mondo nerazzurro, di cui ora ne è appunto un simbolo. Questa particolare circostanza lo pone in una condizione nuova per la sua carriera, che lo ha spronato ad un evidente salto di qualità mentale.

Nell’Inter ha “sfruttato” l’infortunio di Brozović per evolvere le sue capacità. In passato è parso spesso discontinuo, dotato di grande classe ma timido, a tratti svogliato. Se già nel ruolo di mezz’ala ha dato sfoggio di tutta la sua tecnica, arretrato in regia ha dimostrato di poter sostituire il croato sontuosamente. Essere regista dell’Inter di Inzaghi non è cosa semplice, significa essere anche mediano, incontrista e trequartista. Brozović è il profilo perfetto per interpretare il ruolo, metronomo e bravo in interdizione: non il migliore al mondo nelle due cose, ma uno dei pochi in grado di farle entrambe benissimo. Çalhanoğlu ha aggiunto a tutto ciò un dinamismo e una volontà che mostrano chiaramente come, conscio di essere solo l’usurpatore di una posizione mai in discussione, si impegni al fine di giocare anche oltre le sue possibilità. Hakan prova tutte le giocate possibili: fraseggio, lancio, anticipo, opposizione, recupero in scivolata. Non è mai stato così sicuro dei suoi mezzi.

Nella stagione passata, volendo assumere l’espressione “papera di Radu” a sinonimo di fattore determinante nella perdita dello Scudetto, la vera “papera di Radu” è stata l’assenza di un vice-Brozović. Nel periodo in cui il croato è stato infortunato, l’Inter ha perso una quantità di punti fatale, mostrando una difficoltà enorme nella costruzione di gioco. La seconda vita calcistica del turco è stata una panacea per il centrocampo dell’Inter, che in questo modo ha potuto anche inserire in pianta stabile Mkhitaryan nel 3-5-2 di Inzaghi. Nelle sette partite in cui Çalhanoğlu non è partito titolare in questa Serie A, l’Inter ha ottenuto cinque sconfitte, un pareggio e una sola vittoria, numeri che dimostrano quanto i nerazzurri siano divenuti dipendenti dalla presenza e dalle prestazioni del turco.

Quando è arrivato all’Inter, non era chiaro come Inzaghi intendesse inserire un trequartista nel suo contesto tattico costitutivamente privo di tale figura. Come accaduto per Eriksen e Mkhitaryan, Hakan è stato relegato a mezzala, in una posizione ibrida fra regia e supporto agli esterni, che ne ha modellato le caratteristiche attuali, permettendo uno spostamento più centrale del suo raggio d’azione.

Rispetto all’anno scorso è evidente una maggiore consapevolezza e maturità, specie sul piano fisico. E non è un caso che l’immagine che forse meglio rappresenta la sua stagione non è un goal o un assist – 4 le reti e 7 i passaggi vincenti fino ad ora – ma un momento, contenuto nei novanta minuti di Inter-Napoli, in cui Çalhanoğlu si stende fra la palla e l’avversario, pronto al tiro a botta sicura, difendendo l’uscita di Onana.

Un’immagine che ben racconta l’orgoglio e la tenacia di quello che è stato il profilo più performante della stagione nerazzurra, l’unico capace di alzare il livello anche nei tanti momenti di crisi assoluta che la squadra ha attraversato nel corso dell’annata.

https://youtu.be/Z9f2pV6IA_0

In quella che è la miglior stagione della sua carriera, e con un clamoroso Derby della Madonnina in semifinale di Champions League alle porte, per Çalhanoğlu c’è ancora la possibilità di scrivere molti capitoli di questa eterna sfida. Sono vari i protagonisti di questo doppio confronto, con la speranza e gli spauracchi delle due tifoserie principalmente concentrati su Lautaro Martínez e Rafael Leão, ma un occhio di riguardo da parte del tifo nerazzurro e rossonero andrà sicuramente sul turco, consci del fatto che più di chiunque altro, si tratti della sua partita.

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