Il calcio, si sa, è un fenomeno sociale che spesso sfugge a ogni logica, e anche la storia della cosiddetta “Lazio dei meno nove“, ambientata nell’Italia calcistica degli anni Ottanta, di logico ha ben poco. Più che un semplice evento sportivo, fu un vero e proprio film: un thriller dalle sfumature epiche, in cui tra il baratro e le stelle non passano neanche 500 secondi.
Alla Lazio serve un’impresa
È l’estate del 1986 e, tra colpi di mercato e l’attesa per la nuova stagione, sul calcio italiano incombe una nuova inchiesta – dopo il Totonero del 1980 – legata a un giro di scommesse clandestine. Il quadro è meno grave rispetto a quello di pochi anni prima: nessuna retrocessione, ma pesanti penalizzazioni condizionano il campionato di diverse squadre. Tra queste c’è anche la Lazio, che si prepara ad affrontare il secondo anno consecutivo in Serie B con una zavorra enorme: nove punti di penalizzazione. Una sanzione durissima nell’era dei due punti a vittoria, che getta un’ombra cupa sul destino della squadra biancoceleste.
La panchina viene affidata a Eugenio Fascetti, giovane tecnico toscano reduce da un’annata complicata in Serie A con il Lecce, chiusa all’ultimo posto. La rosa, un buon mix di esperienza e gioventù, è tutt’altro che mediocre: la salvezza non è un’utopia, ma per raggiungerla servirà comunque un’impresa.
«Chi vuole, resti. Chi non se la sente, può andar via subito». Con queste parole secche e iconiche, Fascetti si presenta al gruppo. È un messaggio forte, che diventa presto il prologo di una storia leggendaria. La squadra risponde compatta: nessuno molla. Il caso più emblematico è quello di Gabriele Pin, che appena un anno prima ha alzato la Coppa Intercontinentale con la Juventus, ma sceglie di restare anche dopo la conferma della penalizzazione.
Per quella stagione, la Lazio rispolvera una maglia destinata a diventare leggenda: la celebre maglia bandiera. Introdotta per la prima volta nel 1982, rivoluziona le divise tradizionali dell’epoca con un design quasi futuristico, dominato da una grande aquila blu che si staglia sul bianco e celeste. Per l’occasione vengono apportate alcune modifiche, tra cui una seconda versione in giallo e blu. Riproposta anche in tempi recenti – nelle stagioni 2014/2015 e 2018/2019 – è tutt’oggi considerata da molti la maglia più bella nella lunga storia degli Aquilotti.
Vestita in modo iconico, la Lazio si prepara ad affrontare quella che si annuncia, fin da subito, come una delle stagioni più difficili della sua storia. L’avvio, però, è promettente: dopo appena sette giornate, la squadra azzera la penalizzazione. Da lì può cominciare il vero campionato biancoceleste.
La Lazio di Fascetti si dimostra una vera corazzata, capace di imporsi anche contro le future promosse in Serie A, Pescara e Cesena: pareggi all’andata, vittorie al ritorno. La salvezza sembra a portata di mano, e in un campionato equilibrato si inizia persino a sognare in grande.
Ma i sogni, spesso, allontanano dalla realtà. E la realtà colpisce duramente: dalla 29ª alla 37ª giornata arriva una sola vittoria, contro il Cagliari. Appena 6 punti su 18 disponibili. Ora serve davvero un miracolo.
L’inferno bussa alla porta, risponde Giuliano
È il 21 giugno 1987 e per la Lazio è il momento della verità. Allo Stadio Olimpico va in scena l’ultima giornata di campionato contro il Vicenza. La classifica è cortissima: Lazio e Taranto a 31 punti, Campobasso, Catania e Vicenza a 32. È uno spareggio mascherato. I biancorossi, forti del punto in più, hanno due risultati su tre dalla loro. La Lazio, invece, ha un solo obiettivo: vincere, o sarà retrocessione diretta.
È una partita per cuori forti. Oltre 65.000 tifosi trasformano l’Olimpico in una fornace, rendendo ancora più rovente una giornata già afosa. Il Vicenza si chiude a riccio, puntando tutto sul pareggio, e il risultato resta inchiodato sullo 0-0. Ennio Dal Bianco, il portiere ospite, è insuperabile. Nemmeno l’espulsione di Danio Montani, difensore biancorosso, a mezz’ora dalla fine, basta a scardinare il muro vicentino.
La Lazio continua l’assedio, ma il varco giusto non si trova. I minuti passano, la fine si avvicina: la squadra è a un passo dalla prima retrocessione in Serie C della sua storia. Poi, all’improvviso, Giuliano Fiorini cambia tutto. Giuliano ha 29 anni, ha segnato in ogni categoria, non è un bomber, ma per la bassa Serie B è un lusso. Un tiro sporco del capitano Gabriele Podavini si trasforma in un assist imprevisto. Fiorini controlla, anticipa il difensore, tocca la palla con la punta del destro e beffa il portiere in uscita. È gol, è 1-0.
Un boato potentissimo travolge l’Olimpico, riaccendendo una speranza che sembrava ormai spenta. Fiorini ha segnato il gol più importante della sua carriera e corre sotto la curva, con gli occhi lucidi di commozione. Un’esultanza che ancora oggi resta scolpita nel cuore di chi ha vissuto quel momento, quando l’inferno sembrava bussare alla porta.
Negli ultimi minuti di gara il risultato non cambia: l’incubo biancoceleste è finito. La Lazio manda il Vicenza in C1 e, complice i contemporanei risultati delle dirette concorrenti, prenota un posto per gli spareggi-salvezza contro Taranto e Campobasso.
Fascetti ce l’ha fatta
Le tre sfide, con una sola retrocessione in palio, si giocano sul terreno neutro del San Paolo di Napoli. Il primo atto, il 27 giugno, vede la Lazio affrontare il Taranto. Senza considerare la penalizzazione, i biancocelesti avevano raccolto un punto in meno del Cesena, promosso in Serie A, e partivano quindi da favoriti. Ma le statistiche contano poco sul campo. Nonostante una prova positiva, la squadra di Fascetti esce sconfitta: il Taranto si impone 1-0 grazie a un gol di Antonio De Vitis, segnato però in posizione irregolare, scatenando accese polemiche.
Il pareggio tra Taranto e Campobasso nella seconda sfida sancisce la salvezza aritmetica dei pugliesi, trasformando la gara del 5 luglio tra Molise e Lazio in uno scontro decisivo. Come al Vicenza, anche al Campobasso basta non perdere per salvarsi, mentre la Lazio deve vincere a tutti i costi.
Oltre 30.000 tifosi biancocelesti riempiono il San Paolo, pronti a scrivere l’ultimo capitolo di una storia iniziata due settimane prima con Fiorini. La partita è un assolo della Lazio, ma lo 0-0 all’intervallo fa salire il nervosismo. Nella ripresa il copione non cambia: le Aquile attaccano, il Campobasso si difende con il prezioso pareggio in tasca. Dopo meno di dieci minuti, però Massimo Piscedda mette in mezzo un cross velenoso e Fabio Poli, di testa, insacca.
L’esultanza è incontenibile: l’ex Cagliari corre per tutto il campo e va ad abbracciare mister Fascetti. Dopo più di mezz’ora di sofferenza, il triplice fischio libera l’Olimpico: la Lazio è salva.
La stagione 1986/1987 resta la più difficile della storia laziale. I gol di Giuliano Fiorini e Fabio Poli non hanno soltanto garantito la salvezza, ma hanno segnato una vera e propria rinascita per i biancocelesti. Dallo spettro della C1 alla Serie A: l’anno successivo, la squadra di Fascetti conquista una meritata promozione nella massima categoria, senza mai più assaporare l’inferno della Serie B.
Quell’annata travagliata viene ancora oggi ricordata con affetto da tutto il popolo laziale, perché se nei decenni successivi i biancocelesti sono diventati una delle società più forti d’Italia e, a fine millennio, anche d’Europa, lo devono proprio a quell’indimenticabile “Lazio dei meno nove”.
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