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Giorgio Chinaglia, tra la Lazio di Maestrelli e il sogno americano

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Voglia di rivalsa, orgoglio di una generazione e tanta follia: c’è questo e molto altro dentro Giorgio Chinaglia, storico attaccante italiano degli anni Settanta. Quello che Long John – come venne soprannominato a Roma, con riferimento al personaggio dei romanzi ‘L’isola del tesoro‘ – ha rappresentato per i tifosi della Lazio va al di là di ogni logica: icona di un calcio diverso, simbolo di ribellione e riscatto sociale. Un romanzo tra il drammatico e il romantico.


L’approccio al calcio e il rifiuto del Galles

Giorgio nasce nel 1947 in Toscana, più precisamente a Carrara, in una famiglia dalle origini molto umili. Coltiva fin da subito la sua passione per il calcio, almeno fin quando i Chinaglia, come moltissimi italiani nel dopoguerra, non furono costretti a emigrare a Cardiff in cerca di fortuna – lui rimane inizialmente in Italia con nonna Clelia, poi parte per il Galles ad otto anni, affrontando insieme alla sorella minore il lungo viaggio in treno.

Nel Regno Unito il piccolo Giorgio inizia a giocare a rugby, poiché il suo possente fisico sembrava perfetto per la palla ovale e l’allenatore della squadra locale stravedeva per lui. Spinto dal richiamo del primo amore, ben presto decise però di tornare sui suoi passi: c’era lo Swansea ad aspettarlo – dopo aver rifiutato l’offerta della squadra della sua nuova città, il Cardiff City.

Il suo temperamento molto vivace lo rendeva un personaggio assai discusso fin da ragazzino. Numerose erano le sanzioni da parte della società gallese e più volte l’attaccante toscano recriminò la scarsa continuità di gioco concessagli dall’allenatore. Tra i pochi che credevano in lui c’era Ivor Allchurch – considerato negli anni Cinquanta come uno dei migliori giocatori del calcio britannico –, che, per rincuorare l’allora diciottenne Chinaglia, gli disse che un giorno sarebbe diventato come Bobby Charlton – il numero uno per eccellenza da quelle parti. Il presidente della società bianconera era però di un avviso differente, e a soli 19 anni concede lo svincolo gratuito al giovane attaccante, bollando la sua carriera come finita ancor prima di essere iniziata.

Il ritorno in Italia, la gavetta e l’arrivo alla Lazio

Chinaglia era il tipico centravanti d’epoca, fisico robusto e massiccio – 186 centimetri per 80 chilogrammi –, senso della posizione, tiro violento e un carisma capace di trascinare l’intera squadra. Ed è proprio grazie al suo orgoglio e alla sua determinazione che non fu difficile trovare le forze per ricominciare. Grazie anche alla spinta di papà Mario, Giorgio fa ritorno in Italia nel 1966, adempie al servizio militare e si trasferisce alla Massese, in Serie C. Il ritorno a casa non fu comunque una passeggiata, ma dopo l’esperienza nella sua Toscana e una successiva annata tra le fila dell’Internapoli – società calcistica con sede nella città di Napoli scioltasi nel 2012 – arriva la grande chiamata, quella della Lazio neopromossa in Serie A.

Nella stagione 1969/1970, quella del suo esordio con i biancocelesti, Giorgio segna 12 reti: non male per un centravanti proveniente dalla Serie C, considerando anche il tipo di calcio completamente differente da quello odierno – per intenderci, il primo nella classifica dei capocannonieri di quel campionato fu Gigi Riva con 21 reti, mentre Long John chiuse al quinto posto.


L’incontro con Tommaso Maestrelli

L’amore tra Chinaglia e i suoi nuovi tifosi sboccia fin da subito, ma l’amara retrocessione della stagione successiva creò i primi malcontenti nella mente del giovane attaccante. Il successivo arrivo da Foggia di Tommaso Maestrelli sulla panchina della squadra fu decisivo, tanto per la carriera del centravanti, quanto per la storia del club. Dopo i tentennamenti iniziali, Giorgio rimase assuefatto dalla semplicità dell’allenatore partigiano – durante la Seconda Guerra Mondiale partecipò attivamente alla Resistenza, venendo anche internato nel lager di Belgrado –, tanto da rifiutare ingaggi più elevati per accettare la missione del nuovo mister e riportare la Lazio nella massima serie quanto prima. Missione che viene subito portata a termine dai due leader della squadra: la Lazio conquista immediatamente la promozione e Chinaglia vince il titolo di capocannoniere con 21 reti. Sarà il biennio successivo, quello che comprende le annate 1972/1973 e 1973/1974, a consegnare quella squadra alla storia.

La prima stagione è quella delle sorprese. La squadra biancoceleste si rivela essere una vera corazzata, tiene il passo delle big del campionato e per arrivare alla prima sconfitta stagionale bisognerà aspettare l’undicesima giornata, contro il Milan. Trascinata dalle dieci reti di Chinaglia, conquista momentaneamente la vetta della classifica tenendo alle spalle la Juventus e gli stessi rossoneri. È proprio quando le rivali si accorgono della forza della Banda Maestrelli, che quest’ultima inciampa nello sprint finale del campionato. L’ultima partita vede ancora in lotta le tre squadre, ma complice la sconfitta biancoceleste a Napoli – in un clima tesissimo, dopo che all’andata Chinaglia era venuto alle mani con diversi giocatori partenopei – e quella rossonera contro la Fatal Verona, lo Scudetto si tingerà di bianconero per la quindicesima volta nella storia.

La Lazio concluderà il campionato al terzo posto, a sole due lunghezze dal gradino più alto del podio, siglando un risultato a suo modo storico per una formazione neopromossa. Nonostante questo, i giocatori biancocelesti sono arrabbiatissimi per l’epilogo finale, poiché credono fermamente che la Roma, impegnata all’Olimpico proprio all’ultima giornata contro la Juventus, abbia lasciato vincere i bianconeri per non vedere realizzata la festa dei cugini, e per questo motivo sono alla ricerca di rivalsa.


Per la prima volta Campioni

L’annata successiva ha tutto per essere più complicata della precedente, i ragazzi di Maestrelli non possono più contare sull’effetto sorpresa e devono imparare a gestire la pressione delle grandi squadre. Dopo una partenza in linea con le aspettative, Chinaglia e compagni mettono la quarta e inanellano una serie di vittorie che li porta alla vetta della classifica e al temporaneo titolo di campione d’inverno.

Quell’annata vede il centravanti della Lazio superare ogni record ed entrare di prepotenza nella storia del club, ma la scintilla che fece scoppiare definitivamente l’amore tra Long John e i suoi tifosi si accese particolarmente nel derby della Capitale di ritorno del 1974. Già nel pre-partita Chinaglia si presenta provocatorio nello spogliatoio della Roma, sicuro della forza sua e dei suoi compagni, sfidando gli avversari: «Vi aspetto in campo!».

L’atmosfera era tesa, come per ogni stracittadina il clima era caldo già da settimane e perdere l’incontro avrebbe portato strascichi non indifferenti, e questo Giorgio lo sapeva. Visto l’iniziale vantaggio giallorosso causato dall’autorete di Felice Pulici, alla fine del primo tempo il tifo romanista sbeffeggiò Chinaglia, ma la risposta del numero nove biancoceleste non tardò ad arrivare. Prima il pareggio di Vincenzo D’Amico – cresciuto con l’aquila sul petto fin da piccolo –, e successivamente il vantaggio timbrato dal centravanti toscano, il quale spiazzò l’estremo difensore giallorosso dal dischetto, andando a sfidare la parte calda del tifo rivale con l’ormai iconico dito alzato di fronte alla Curva Sud.

Un gesto di sfida che fece infuriare il popolo romanista, ma che soprattutto rese indissolubile il legame tra lui e la Lazio. Giorgio era ormai un idolo indiscusso dalle parti di Tor di Quinto – l’allora centro sportivo biancoceleste –, il gol segnato all’andata di mezza rovesciata e l’indice levato al ritorno avevano reso Chinaglia il simbolo di quella Lazio sempre più tosta e compatta.

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L’epilogo finale arriva il 12 maggio 1974, quando la Lazio ospita il Foggia per la penultima giornata di campionato. Ai biancocelesti basta una vittoria e potranno festeggiare il primo storico Scudetto della società, ma la gara è tesa e più complicata del previsto, nonostante il tifo sugli spalti sia assordante. Solo un uomo poteva sbloccarla: al 60’ l’arbitro fischia un calcio di rigore per i padroni di casa, Chinaglia raccoglie il pallone da vero leader e si presenta sul dischetto. Non calcia bene, ma riesce a spiazzare il portiere, segnando la sua trentatreesima rete stagionale – saranno 34 in totale, di cui 24 in campionato – e portando i suoi in vantaggio. Dopo la rete più importante della stagione e della sua carriera non festeggia con i suoi compagni o con gli oltre 80.000 dell’Olimpico, ma corre ad abbracciare il suo secondo papà Maestrelli – molto più di un semplice allenatore per tutti i suoi ragazzi e per Chinaglia in particolare. Al triplice fischio si levano le urla euforiche del popolo biancoceleste: la Lazio è Campione d’Italia per la prima volta nella propria storia. Uno Scudetto inaspettato, sofferto e leggendario.


Il triste epilogo della Banda Maestrelli

La Lazio targata Maestrelli è stata una delle squadre più folli mai viste. Lo spogliatoio era diviso in due fazioni opposte – quella di Chinaglia e capitan Pino Wilson da una parte, e quella di Re Cecconi e Gigi Martini dall’altra –, e non si tratta solo di una metafora. Vi erano infatti due spogliatoi separati, e ad ognuno dei membri dei due gruppi era vietato entrare nell’altro. Il clima era sempre teso, nemmeno a tavola ci si rivolgeva lo sguardo, le partitelle d’allenamento settimanali erano più dure delle gare ufficiali – e spesso andavano oltre gli orari stabiliti, perché nessuno voleva perdere –, ma la domenica si remava tutti nella stessa direzione. Una squadra indomabile, tenuta in piedi dall’immensa personalità di Tommaso Maestrelli.

La vittoria del campionato avrebbe dovuto dare alla Lazio anche l’accesso per la prima volta nella propria storia alla Coppa dei Campioni, ma nella stessa annata del tricolore gli scalmanati uomini di Maestrelli erano stati squalificati per tre anni dalle coppe europee dopo un rissone scatenato nella gara di ritorno di Coppa UEFA contro l’Ipswich Town, a seguito degli errori arbitrali dell’arbitro olandese Van der Kroft e di qualche provocazione inglese. I biancocelesti dovranno aspettare la fine del millennio per prendere parte alla massima competizione europea, rinominata ormai Champions League.

La stagione successiva, libera da impegni continentali, si apre come si era conclusa la precedente. La squadra era ormai rodata e il secondo Scudetto consecutivo sembrava molto più di un sogno, ma la storia insegna che nulla è eterno: a metà stagione viene diagnosticato un tumore all’allenatore biancoceleste. Senza Maestrelli la squadra comincia a non girare più, e concluderà quell’annata alla quarta posizione. L’incantesimo era ormai finito.

Il 2 dicembre 1976, a Roma, Tommaso Maestrelli si spegne per sempre, lasciando un vuoto incolmabile nel cuore dei suoi ragazzi e di quello di ogni tifoso biancoceleste. Inoltre, la prematura e tragica scomparsa del centrocampista Luciano Re Cecconi, pochi mesi dopo quella del tecnico, consegnò di fatto quella squadra al mito. La Banda Maestrelli era ormai storia, ma di quel gruppo di ragazzi irruenti e passionali non era rimasto più nulla.

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L’inevitabile addio all’Italia

In concomitanza alla malattia del suo allenatore, Giorgio Chinaglia decide di andare via. L’ambiente romano e italiano era ormai diventato invivibile per lui e per la sua famiglia, e senza la sua Guida non aveva più la forza per rimanere. A causa di quello che rappresentava e di quel gesto sotto la Sud, in città il clima era divenuto insostenibile, così come lo era in tutte le trasferte del campionato. Quest’ultimo aspetto era dovuto a quanto mostrato da Chinaglia nella sua breve ma intensa avventura con la Nazionale italiana.

Nelle sue sette stagioni alla Lazio il bomber toscano aveva messo a segno 123 reti in 248 presenze, conquistando il cuore dei tifosi biancocelesti, mentre con l’Italia, e in particolar modo con il CT dell’epoca Ferruccio Valcareggi, il rapporto non è mai stato idilliaco.

Il suo esordio risale all’amichevole estiva contro la Bulgaria nel 1972, gara nella quale segna anche la sua prima rete, diventando il primo giocatore militante in Serie B a giocare e segnare con la maglia azzurra. L’avvio più che positivo e la vittoria dello Scudetto gli vale una convocazione per il Mondiale in Germania Ovest del 1974, dove però non riesce mai a lasciare il segno.

Il punto di non ritorno arriva nella gara d’esordio contro Haiti. A venti minuti dalla fine Chinaglia viene richiamato in panchina e non prende bene la sostituzione, mandando a quel paese Valcareggi in modo piuttosto colorito, davanti a tutto il mondo. Per quel gesto venne bersagliato dalla stampa come colpevole del fallimento azzurro, anche se in realtà le scuse – suggerite da Mestrelli, che aveva immediatamente parlato con lui – del centravanti arrivarono subito. Sta di fatto che da quel momento, in ogni stadio d’Italia, Chinaglia viene bersagliato da fischi e insulti per tutta la gara. Il complicato rapporto con media, tifosi e compagni costringerà Long John a dire addio alla Nazionale nel 1975, con sole 14 presenze e 4 centri.

Il sogno americano

Nel 1976 decide dunque di cambiare totalmente ambiente, e sposa il ricco progetto statunitense dei New York Cosmos di Pelé e Franz Beckenbauer. In quegli anni il soccer – come viene chiamato da quelle parti – cercava con sempre più forza di entrare nel panorama culturale americano. La NASL – lega professionistica che organizzò il campionato nordamericano fino al 1984 – si affidò alla popolarità di leggende ormai sul viale del tramonto, come Johan Crujiff e George Best, per rendere il calcio un fenomeno di massa anche nella parte settentrionale del continente.

L’impatto con il campionato americano è devastante, Chinaglia inizia fin da subito a segnare e non smette più, riuscendo a trascinare la sua squadra alla vittoria del titolo per ben quattro volte. In nove stagioni i numeri dicono 231 gol in 234 partite e cinque volte miglior giocatore del torneo. I 193 centri messi a segno solo nella regular season gli valgono il titolo di miglior marcatore della storia della competizione.

Quella di Chinaglia è stata una carriera turbolenta, iniziata nei campi d’oltremanica e terminata nel paradiso americano, dove vivrà con sua moglie e i suoi figli fino al primo aprile del 2012, quando si spegnerà all’età di 65 anni. In eterno, però, riposerà a Roma, città nella quale viene sepolto, accanto al suo secondo padre Tommaso Maestrelli, e dove verrà inumato nel marzo del 2022 anche il suo amico e capitano Pino Wilson.

Nel calcio come nella vita esistono storie scolpite su pietra, indissolubili: Giorgio Chinaglia ha scritto una di esse. Una storia d’amore e di rivalsa, destinata a durare nel tempo. La storia di una personalità complessa e interessante, che ha forgiato quel bambino partito verso il Galles con un pallone tra i piedi e un sogno nel cassetto. L’idolo delle folle biancocelesti, un’icona di quei maledettissimi anni Settanta.

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