Real Bayern

Il Real permette a tutti di fare la storia

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Non c’è niente di strano nello scrivere che il Real Madrid ha conquistato la finale di Champions, e non c’è niente di strano nel descrivere il modo in cui l’ha fatto. Ancora una volta, il club più vincente d’Europa ha palesato un’imbarazzante superiorità mentale, centomila spanne sopra qualunque altra squadra del mondo, nel percepire e manipolare a proprio piacimento la lunghezza e i momenti delle partite, dando il morso decisivo negli istanti che contano di più: gli ultimi.

Non è bastato un Bayern Monaco costretto, come tutte le squadre del mondo che non siano il Manchester City, a “fare il massimo possibile” contro i Blancos, ergo una partita di coraggio nel possesso, abnegazione nelle coperture difensive, decisione negli spazi sfruttabili. Proprio quando i bavaresi sembravano aver imposto nel ristorante stellato degli chef uno dei loro migliori piatti, una partita di transizioni fulminee e di giocate individuali che incrinano l’asse dell’equilibrio, il Real ha spento sciovinisticamente l’emulazione dell’avversario e dopo aver trovato, con un po’ di casualità, il pareggio, ha semplicemente deciso di vincerla.



L’andamento della gara e le mosse tattiche dei due allenatori

Thomas Tuchel ha disposto i suoi su un 4-2-3-1, con un centrocampo di copertura e palleggio rappresentato da Konrad Laimer e Aleksandar Pavlović, in cui la scelta più interessante era però quella di Joshua Kimmich da terzino destro. Un compito non nuovo per il nativo di Rottweil, ma audace se indirizzato a fare da contenimento sul lato presumibilmente – ed effettivamente – più pericoloso del Real, quello di Vinícius, ma anche quello di Jude Bellingham.

Carlo Ancelotti, infatti, sulla carta partiva con il classico 4-3-3 con l’inglese falso nueve – o falso diez, a questo punto? – affiancato dai due brasiliani volanti, che in realtà si trovava spesso defilato sulla fascia mancina, mentre Valverde faceva lo stesso dall’altra parte, disponendo un 4-4-2.

Il Bayern è partito cercando il controllo della sfera e costruendo dal basso, il Real andando a prenderlo alto. L’allargamento di Bellingham era dovuto un po’ alla volontà di attaccare in pressione il lavoro di Kimmich da vertice d’impostazione laterale, ma anche alla necessità di associarsi con Vinícius per dare al brasiliano la possibilità di puntare centralmente per andare eventualmente al tiro; dall’altro capo Federico Valverde rappresentava il centrocampista “d’avanzo” per i Blancos, essendo l’uruguayo con Kroos e Tchouaméni in tre contro due nel mezzo, e quindi libero di allargarsi su Mazraoui.

Vinícius e Rodrygo hanno creato nel primo tempo i maggiori pericoli, svariando tantissimo tra esterno e centro, tra trequarti e area piccola, non lasciando aria da respirare neanche ai loro compagni come nell’azione, confusa per un’uscita del pallone mai avvenuta, in cui ricevono con troppa libertà nell’area piccola e obbligano Manuel Neuer a sfoderare due pezzi stupendi del suo repertorio.

Il Bayern, pur gestendo talvolta la palla, ha faticato a trovare spazi tra le linee per avanzare concretamente, anche per via dell’abbassamento di Sané e Gnabry contestuale alla posizione molto alta di Mendy e Carvajal. Jamal Musiala poteva rappresentare la carta capace di far saltare il banco, essendo quello affrancato dalla marcatura nel mezzo spazio alle spalle di Kroos e Tchouaméni, ma di fatto la pressione sui compagni dava loro poco tempo e spazio anche solo per guardarlo con la coda dell’occhio; anche qualora venisse servito, l’aggressività “da bullo”, come direbbe lui, di Antonio Rüdiger nell’uscita alta lo intimidiva.

Quando il Madrid abbassava i ritmi del pressing, i bavaresi soffrivano il due contro due, chiamando in causa la versatilità di Kimmich, che si accentrava da play basso per permettere a Laimer e Pavlović di posizionarsi più in avanti tra le linee; talvolta era lui ad incedere lateralmente, il che, assieme al movimento interno di Sané, ha reso il loro lato destro ben più utilizzato rispetto a quello sinistro di Mazraoui e del neo-entrato Alphonso Davies.

Il primo tempo, ad ogni modo, ha confermato la superiorità del Real Madrid per valori assoluti, con una decisa maggioranza di occasioni pericolose. Ma il Bayern Monaco è rientrato dagli spogliatoi con l’uguale proposito di tenere un possesso palla più prolungato possibile, anche nell’ottica di tenersi alla larga dalle folate dei padroni di casa, i quali, dal loro canto, non sono partiti con la stessa intensità in pressione dei primi scampoli di gara. Ma nonostante Kimmich ormai facesse il terzo centrocampista, gli spazi offensivi restavano pochi, non incrementati da qualche improvvisato movimento di Musiala alle spalle della linea difensiva.

Nel frattempo, il Real ha cominciato ad architettare una sfuriata di assalti supersonici, ganci e rovesci continui nella speranza di trovare il colpo del KO. La minaccia inevitabile era Vinícius che, infermabile nonostante un perpetuo tentato raddoppio, trovava il fondo con facilità disarmante e asserragliava l’area piccola con cross bassi e tesissimi.

Incoraggiato dal suo Tasman carioca, il Real è tornato a braccare il Bayern nella sua area, convinto probabilmente di averlo cotto a puntino e di poterlo sbranare. E invece, su una ripartenza ben condotta da un Musiala improvvisamente e straordinariamente cresciuto col passare dei minuti, aggiunta a una sventagliata che è la migliore giocata della sofferta partita di Harry Kane, Davies è stato messo nella condizione di puntare Rüdiger e di trovare un meraviglioso destro a giro capace di freddare Lunin.

Ancelotti è corso subito ai ripari, cercando nuove velocità – Camavinga – e qualità in rifinitura – Modrić; Tuchel ha risposto cementificando la difesa, inserendo Kim per Sané come terzo difensore centrale defilato a sinistra, dove non a caso Carvajal continuava a spingere con insistenza. Dopo l’illusione dell’istantaneo pareggio annullato, Don Carlo ha rincarato buttando dentro Joselu e Brahim Díaz, riducendo a due uomini il centrocampo per il “tutto o niente” finale. Nel culmine dello sforzo, l’ennesimo guizzo di Vinícius ha propiziato l’errore di Neuer, che ha saputo di vero e proprio tradimento al calcio dopo una sua partita perfetta, e il tocco, previsto con grande lucidità, di Joselu.

Se segnare un gol è stato comprensibilmente difficile, segnarne subito un altro è stato, ancora una volta, inspiegabilmente elementare per il Real Madrid: impazzito di rabbia agonistica, ha barricato ulteriormente l’avversario come in un interrogatorio serrato da film poliziesco e l’ha indotto all’ammissione della sua inferiorità con una brutale velocità: tutti a casa, ho vinto ancora io, vinco sempre io.

La doppietta in semifinale di Champions di un attaccante trentaquattrenne arrivato da un Espanyol retrocesso è pura stregoneria di marca blanca, un altro case study delle facoltà “remidiche” dei Re della massima competizione continentale. Il Bayern è arrivato a un passo dal miracolo grazie anche alla classe di campioni come Neuer, Kimmich e Davies; ma il Real Madrid, prima di essere la squadra dei campioni, è quella delle vittorie, e non è perciò un caso che giocatori come Nacho, Lucas Vázquez o Joselu possano entrarvi e decidere le partite più importanti del pianeta. Al Real Madrid non esistono gerarchie precostituite, perché tutti sono uguali nel desiderio di essere i più forti di tutti.

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