Arshavin

Andrej Arshavin, delitto e castigo

PSS Slider

È il 21 aprile del 2009, nel posticipo della trentatreesima giornata di Premier League, in un Anfield infuocato, si incontrano Liverpool ed Arsenal. Le due squadre sono notoriamente offensive, ma nessuno si può aspettare quello che succederà: al termine di una delle più belle partite della storia del campionato inglese, il tabellone digitale segna 4-4. Protagonista assoluto di quella partita? Andrej Arshavin, autore di quattro gol tutti diversi, che rappresentano perfettamente lo sconfinato repertorio tecnico di quello che sembra un bad boy appena uscito dall’adolescenza, ma che in realtà è un calciatore ventottenne nel pieno della sua maturità calcistica.


4 gol per capire Arshavin

L’ala russa era arrivata all’Arsenal appena quattro mesi prima, dopo che Wenger aveva imposto alla dirigenza il suo acquisto: 17 milioni ai russi dello Zenit San Pietroburgo, che pur indugiando a venderlo si erano dovuti tirare indietro di fronte alla volontà ferrea di Arshavin, intenzionato a compiere, dopo nove stagioni nel calcio russo, il grande salto nel calcio che conta.

Nove stagioni che lo avevano formato sotto ogni punto di vista, o almeno così sembrava: tecnicamente era diventato uno dei migliori giocatori d’Europa, guardarlo correre per il campo era semplicemente un piacere per gli occhi, con quel suo passo incredibilmente rapido e con la sua capacità di dribblare anche negli spazi più stretti. Nonostante gli appena 172 centimetri, Arshavin si era formato in un campionato estremamente fisico ed aggressivo, in cui ai difensori non importava tanto la bellezza di un tackle quanto la sua efficacia, e quindi la bassa statura era quasi diventata un vantaggio, poiché gli permetteva di mantenere il suo baricentro basso e quindi di avere ottimo equilibrio e stupefacente agilità. Quando arrivava al tiro, nessun portiere poteva resistergli: che fosse con il destro, con il sinistro, dalla posizione più improbabile o dal dischetto del rigore, Arshavin segnava sempre, e soprattutto lo faceva divertendo.

Le sue nove stagioni nel campionato russo e soprattutto le sue immense potenzialità si potrebbero perfettamente riassumere in quattro gol, contro rispettivamente Spartak Mosca, Torpedo Mosca, Luch-Energiya e Rostov.

Nel primo caso emerge tutta la tecnica di un Arshavin appena ventunenne, che prende palla sulla trequarti offensiva, inarca la schiena, abbassa la testa e comincia a correre, superando di slancio il primo marcatore, bruciando anche il secondo, e quando sembra che voglia andare sulla fascia sinistra di colpo cambia direzione con l’interno del piede sinistro e si accentra sul suo piede destro. Il difensore dello Spartak prova a spintonarlo, il portiere prova un’uscita disperata, ma Andrej è inarrestabile e con un destro preciso segna uno dei gol più belli della sua carriera.

Contro il Torpedo Mosca l’ala russa ha già 24 anni, ma non sembra: il suo aspetto infantile e il suo atteggiamento in campo è lo stesso, ma il suo talento si è ulteriormente affinato, e soprattutto la sua capacità di tiro sembra aver raggiunto livelli quasi sovrumani. Questa volta si trova sulla fascia destra, punta il difensore avversario, sembra voler andare sul fondo, quando si accentra verso il centro dell’area di rigore e improvvisamente, con il corpo ancora girato verso l’interno del campo, scaglia un sinistro di una potenza e di una precisione agghiaccianti all’incrocio del palo lontano. Il portiere prova a tuffarsi, vanamente. L’esultanza di Arshavin, poi, che fa spallucce, ci fa capire tutta la sua meravigliosa arroganza nell’essere consapevole di disporre di un talento fuori dalla norma.

Arroganza che esplode definitivamente nel gol contro un povero Luch-Energiya, dove Arshavin, con la fascia di capitano al braccio, dopo aver ricevuto un pallone giusto giusto per un tap in a porta vuota, decide, dopo un dribbling mancato, di aspettare l’arrivo di tre difensori avversari più il portiere e di segnare con un mancino potente e preciso. Emblematica la spaccata del povero difensore del Luch che cerca disperatamente di evitare il gol di Shava, che cerca sempre il gol più spettacolare, la giocata più complessa, in una ricerca che potrebbe apparire inutile a prima vista, ma che in realtà è perfettamente affine alla voglia di Arshavin di essere ricordato come il più forte calciatore russo della storia.

Basta vedere il gol contro il Rostov per capire questa sua eterna e disperata ricerca dell’eccellenza – l’aretè del mondo omerico –: il difensore avversario cerca di passare la palla al portiere, ma Arshavin riesce ad intercettarla. A questo punto un giocatore normale si sarebbe avvicinato il più possibile alla porta per segnare, ma ormai tutti hanno capito che Andrej non è un giocatore normale, e infatti si inventa un delicatissimo pallonetto da 20 metri che il portiere può solo guardare, senza alcuna possibilità di intervenire.



Gli inizi allo Zenit

Dal 2000 al 2008 Arshavin è stato il giocatore più rappresentativo dello Zenit: l’arrivo nel 2005 del colosso petrolifero Gazprom, capace di investire più di 100 milioni di euro sul mercato, non ne ha minimamente intaccato l’importanza all’interno del gruppo. Dal 2002 ha sempre realizzato più di 10 gol e assist messi insieme e nel 2006 è stato eletto miglior giocatore russo dell’anno, dopo una stagione da 7 gol e 12 assist in 28 partite. Nel 2007 sono stati addirittura 10 i gol e 15 gli assist e nel 2008, l’anno del suo trasferimento all’Arsenal, è arrivato con la nazionale fino alle semifinali degli Europei, classificandosi a fine stagione sesto nella classifica per il Pallone d’Oro.

In 8 anni lo Zenit è passata dalla seconda divisione russa a vincere il campionato, la coppa nazionale, la supercoppa – sia russa che europea – e soprattutto la Coppa Uefa, vinta per 2-0 contro gli scozzesi del Rangers. Indovinate chi ha dipinto i due gol? Proprio Andrej Arshavin, che è stato anche eletto uomo partita.

Alla fine di quella stagione, nel gennaio del 2009, Andrej si trasferì all’Arsenal.


L’arrivo nel calcio che conta

Inizialmente sembrò fare fatica in un campionato tremendamente dinamico come la Premier League, ma ben presto prese in mano l’attacco dei Gunners, segnando e facendo segnare. Fra i tifosi, che al suo arrivo erano apparsi scettici, cominciò a circolare l’idea che quello non era un giocatore qualunque, ma un vero fuoriclasse arrivato dalla fredda ed inospitale Russia.

La partita che lo consacrò a livello internazionale fu il 4-4 contro il Liverpool, ma l’esultanza dopo il quarto gol non passò di certo inosservata: Arshavin porta l’indice alla bocca, come per dire ai suoi stessi tifosi di stare zitti. Il ragazzino irritabile che è in lui non se ne è andato dopo il suo arrivo in Inghilterra, ma probabilmente ha trovato solo carburante con cui alimentarsi. Forse era arrivato troppo tardi nel calcio che conta, o forse non voleva snaturare la propria essenza.

In ogni caso, la sua avventura con l’Arsenal sembrò proseguire nel migliore dei modi: il suo stile di gioco, votato al divertimento del pubblico, era perfettamente in linea con il calcio spettacolare che voleva proporre Wenger, nonostante fra i due vi fosse un rapporto basato sul rispetto più che sulla reciproca simpatia, e Arshavin diede spettacolo anche nella due stagioni successive stagioni: 22 gol e 26 assist in 91 partite fecero innamorare l’Emirates Stadium, ma già nella stagione 2011/2012 qualcosa sembrava essersi rotto: appena 19 presenze e un gol nella prima parte di stagione, che convinsero la società a mandarlo in prestito allo Zenit, nella speranza di ritrovarlo. Il prestito andò solo discretamente, benché la squadra russa avesse vinto il campionato, e quando Arshavin tornò in Inghilterra era ormai considerato fuori dal progetto.

Alcuni giornalisti lo definirono vecchio, altri fuori forma, altri ancora criticarono il suo atteggiamento spesso indolente in campo. Arshavin era l’essenza del giocatore incostante e indolente. Sì, perché dopo una partita in cui non aveva fatto vedere nulla, il russo aveva anche il coraggio di definirsi il migliore in campo. La consapevolezza del suo talento lo aveva portato a credersi il migliore, senza che questo trovasse un effettivo riscontro in campo. L’indolenza alimentava la sua arroganza, e questo fu il motivo per cui Arshavin non diventò mai il giocatore che sarebbe potuto diventare. Sicuramente, ad oggi, è stato il miglior giocatore dalla disgregazione dell’Unione Sovietica, ma poteva essere il miglior giocatore di tutta la storia russa.


Il ritorno deludente in Russia

Dopo l’ultima triste stagione in Inghilterra, alla scadenza del suo contratto, Andrej decise di tornare nella squadra che l’aveva reso grande, lo Zenit, ma non fu un dolce ritorno: mal vista dai tifosi e considerata poco competitiva, l’ala russa finì ben presto in panchina e giocò solo sporadicamente, benché inizialmente fosse riuscita a far ricredere i propri tifosi sul suo amore per la maglia. Ormai la sua epoca era passata, ma riuscì lo stesso a vincere un campionato e una supercoppa, prima di trasferirsi al Kuban Krasnodar, dove fallì ancora.

Le ultime gioie e l’addio

L’ennesima delusione in Russia e la voglia di esultare ancora per un gol spettacolare convinsero un Arshavin trentacinquenne a tentare la fortuna in un campionato meno competitivo. Nel 2016 firmò per il Kairat Almaty, uno dei club più forti del Kazakhistan.

Qui in tre stagioni sembrò essere tornato ai suoi livelli, e forse così fu, ma solo grazie al livello veramente basso della competizione: al primo anno venne eletto miglior giocatore del campionato e condusse la squadra al secondo posto mettendo a referto 8 gol e 9 assist in 28 partite. Nelle due stagioni successive vinse con il club due coppe nazionali e una supercoppa, giocando sempre quasi sempre da ala sinistra e regalando sprazzi di grande talento.

Il 3 dicembre del 2018 Arshavin annunciò definitivamente il suo addio al calcio giocato, ponendo fine ad un’era in cui tutti avevano creduto che quell’eterno ragazzino dagli occhi di ghiaccio e dal sorriso perenne sarebbe potuto diventare uno dei migliori giocatori di sempre. Eppure, proprio lui, forse, non ci ha mai creduto abbastanza.