Fair Play Finanziario

Come funziona il Fair Play Finanziario?

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Da molto tempo sentiamo parlare di Fair Play Finanziario, sia perché spesso costituisce un ostacolo importante al calciomercato delle squadre italiane e non, e sia perché altrettanto spesso se ne critica l’applicazione. Ma come funzione realmente questo meccanismo? Perché alcune squadre che apparentemente non spendono quanto altre ne sono colpite? Cerchiamo di fare chiarezza.


Cos’è il Fair Play Finanziario?

Il Fair Play Finanziario, come spiegato dall’allora presidente UEFA Gianni Infantino, è costituito da una serie di norme fondamentali pensate per garantire maggiore stabilità nel calcio europeo. Sostanzialmente, questo progetto si prepone di riformare il sistema calcio in modo che ogni squadra sia autosufficiente, che gli stipendi non siano eccessivamente alti – sia in assoluto, sia relativamente alla grandezza del club in questione –, evitando contestualmente “l’effetto inflazionario”, dunque semplicemente evitando che i prezzi di riferimento si “gonfino” troppo – un esempio può essere evitare che lo stipendio medio di un calciatore si alzi troppo con riferimento a un determinato campionato. Quest’ultimo punto sembrerebbe essere peraltro oggetto di una potenziale riforma, ossia l’introduzione di un tetto massimo al monte ingaggi delle squadre, il cosiddetto salary cap.

Cosa succede se non si rispettano le norme del Fair Play Finanziario? Si incappa nelle varie sanzioni della UEFA, a seconda della gravità dell’atto commesso – a discrezione dell’UEFA stessa. Le sanzioni possono variare da multe – più o meno salate –, a settlement agreement – una sorta di patteggiamento fra club e UEFA con cui si concorda un piano finanziario per rientrare nei “paletti” –, a vere e proprie esclusioni dalle coppe europee, nei casi più gravi – come quello del Manchester City nel 2020, poi non divenuto realtà a seguito dell’accoglimento del ricorso del club.

I punti fondamentali

A livello normativo il Fair Play Finanziario è molto corposo, oltre cento pagine di documento che vanno a definire nel dettaglio i vari obiettivi e le diverse metodologie di controllo. Tuttavia, i punti che ad oggi più ci interessano sono quelli che riguardano l’ultima riforma dello stesso. Questi punti sono principalmente quattro, come riporta Calcio e Finanza: solvibilità, valore di mercato, stabilità e controllo del costo della rosa sportiva.

Solvibilità: l’obiettivo è quello di aumentare la richiesta negli adempimenti sui debiti scaduti. E qui è molto importante la voce a proposito dei cosiddetti “debiti scaduti” – ossia debiti per i quali la data entro la quale il debitore doveva saldare è scaduta –, nella quale si recita che «dovranno essere estinti entro 90 giorni, pena sanzioni molto più severe». Qui la ratio dietro alla norma è evitare che la mole di debiti delle singole squadre diventi troppo grande.

Valore di mercato: fare in modo che i valori di tutti i trasferimenti rappresentino il reale valore di mercato – sia con parti correlate che con terze parti non correlate. Semplificando, il valore di mercato è il valore che presumibilmente si può realizzare vendendo un certo giocatore sul mercato. Le parti correlate riguardano tutti quei soggetti che “hanno un influenza notevole” o che “controllano” un altro soggetto – basti pensare al City Football Group, e quindi al rapporto tra il Manchester City e squadre come il Palermo –, mentre, al contrario, le parti non correlate sono tutti gli altri soggetti.

Stabilità: attraverso la “Football Earnings Rule”, la UEFA si prefissa di misurare l’equilibrio dei risultati economici, limitando le perdite. Inoltre, gli aumenti di capitale, ovvero i fondi che gli azionisti possono versare alla società – basti pensare al recente caso di Dušan Vlahović, il cui acquisto da parte della Juventus è riuscito proprio grazie ad un aumento di capitale –, devono essere limitati, ed oculati.

Controllo del costo della rosa sportiva: basandosi sul nuovo concetto di “squad cost ratio” – in sostanza un rapporto fra costo della squadra ed entrate societarie –, l’obiettivo è quello di limitare il costo della rosa al 70% delle entrate. Dove per “costo della rosa” si intende gli stipendi, gli ammortamenti e le commissioni per gli agenti che vengono messe a bilancio. Per cui, ad esempio, un club che incassa – tra merchandising, sponsor, biglietti, cessioni, ecc. – 100 milioni di euro, non potrà avere un costo della rosa superiore a 70 milioni.

Analizzando con attenzione queste novità, aggiunte ai paletti già introdotti in precedenza, si nota come non sia previsto alcun tipo di “freno” per le squadre che spendono molto: semplicemente verranno fermate le squadre che “spendono molto” senza poterlo fare. Ad esempio, una delle ultime indagini che hanno coinvolto il PSG è stata a seguito di una maxi perdita di più di 200 milioni, prima ancora che si ingaggiassero Messi e Sergio Ramos, e prima ancora del rinnovo a cifre da capogiro di Mbappé – anche se recentemente è stato inviato un settlement agreement alla società.

Tuttavia, le nuove norme del Fair Play Finanziario vanno a “tamponare” alcune questioni irrisolte o taciute in precedenza: Marca ha riportato che il Barcellona, squadra rimasta sostanzialmente intoccata dalle regole precedentemente in vigore, è stata al centro di forti discussioni tra ECA e UEFA circa l’ultima campagna acquisti estiva – non propriamente sostenibile agli occhi dei più –, dato che anche quest’anno il club blaugrana è stato totalmente esente da sanzioni – probabilmente anche grazie alle manovre di cessione dei diritti televisivi.

Dall’altro lato, questo ci dà anche la misura del perché la Premier League possa operare in tutta tranquillità: è un circolo virtuoso che crea molto denaro – il futuro ci rivelerà se ciò è effettivamente sostenibile o è puramente una bolla finanziaria, ma ad oggi è così –, il quale viene fatto ampiamente girare tra le varie squadre – come ci dimostrano le cifre spese dalle neopromosse o dalle squadre di bassa classifica in generale. Ciò è comprovato anche dal fatto che Chelsea e Manchester City, due delle più importanti squadre inglesi anche in termini di spesa, siano state esenti da sanzioni – mentre diverse squadre italiane sono state colpite.


Le sanzioni alle squadre italiane

Veniamo adesso al nostro caso specifico, che è ciò che ci interessa maggiormente: le sanzioni alle squadre italiane. In particolare, nella nota pubblicata sul proprio sito, l’UEFA ha specificato che Inter, Roma, Milan e Juventus – insieme a Paris Saint-Germain, Monaco, Marsiglia e Beşiktaş – avrebbero ricevuto delle sanzioni per il mancato raggiungimento del “break-even” – un ammontare che in contabilità indica l’esatto pareggio fra ricavi e costi, ossia, banalizzando, quando la differenza tra i due è zero –, negli esercizi dal 2018 al 2022 – e considerando gli esercizi 2020 e 2021 congiuntamente, a causa del COVID.

Le sanzioni più blande sono state date a Juve e Milan che, avendo garantito di rientrare nei paletti stabiliti entro il 2025/2026 attraverso un settlement agreement, se la caveranno con una semplice multa rispettivamente da 2 e 3 milioni di euro, che potrà salire fino a un massimo di 15 e 20 milioni. Inter e Roma hanno invece optato – in aggiunta alla multa da 4 e 5 milioni di euro che potrà salire fino a 26 e 35 milioni di euro – per un accordo quadriennale, e quindi gli è stato imposto di iscrivere alle proprie liste UEFA 23 calciatori invece che 25.


Il futuro del Fair Play Finanziario

Come abbiamo visto, ciò di cui si occupa il FPF è semplicemente far rispettare l’ordine contabile delle squadre europee. Non si accenna in nessun modo all’equità di competitività dei club, e queste regole continuano a “bloccare” piccole realtà, in quanto non forniscono alcun incentivo ai sistemi nazionali per riformarsi. In alcuni casi – come quello del PSG – questo si rivela effettivamente efficace, dato che le sanzioni sono state applicate, ma in altri, come quello delle squadre di Premier League, come ci si dovrebbe comportare? È questo ciò che serve ai campionati europei? Servirebbe introdurre un fine redistributivo dietro le regole finanziarie UEFA? Non ce ne occupiamo in questa sede, e lasciamo ai lettori la propria interpretazione, ma di certo non è ciò che il Fair Play Finanziario si prepone di fare.

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