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Il naufragio della Juventus nel diluvio di Perugia

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Vi siete mai posti la domanda «cosa sarebbe successo se quella volta avessi fatto…?», tentando di immaginare come sarebbero andati alcuni eventi o situazioni della vostra vita, se solo vi foste comportati in maniera diversa? Molto probabilmente sì, e se siete tifosi juventini e siete grandi abbastanza da aver vissuto quella giornata, sicuramente vi siete chiesti cosa sarebbe accaduto se quel drammatico 14 maggio Pierluigi Collina avesse deciso di sospendere Perugia-Juventus a causa del diluvio che si stava abbattendo sul Renato Curi. La classica sliding door, come quelle del celebre film girato nel 1998 da Peter Howitt con protagonista Gwyneth Paltrow.



Catapultiamoci ai tempi della vicenda. Tutto il mondo ha appena messo piede nel secondo millennio, corre perciò l’anno 2000, quello del Grande Giubileo a Roma. L’Italia del pallone ha ancora in mente la clamorosa rimonta con cui il Milan di Zaccheroni nel maggio del 1999 riuscì a sorpassare la Lazio di Eriksson, e così cucirsi il tricolore addosso. Ora, però, siamo agli sgoccioli dell’inverno del 2000 e si inizia a respirare una nuova aria primaverile.

A nove giornate dalla fine del campionato, la Lazio del presidente Cragnotti perde di misura al Bentegodi, contro il Verona, e il gap di punti dalla Juventus prima si fa sempre più ampio: i biancocelesti in campionato sono indietro di 9 punti rispetto alla squadra di Ancelotti, che può addentrarsi nelle giornate primaverili gestendo facilmente il vantaggio accumulato in classifica e concentrandosi sullo Scudetto. L’avventura europea bianconera infatti, era terminata anzitempo, la Vecchia Signora aveva appena subito una batosta di quelle che fanno tanto rumore: agli ottavi di Coppa UEFA il Celta Vigo disintegrò i bianconeri, battendoli con un tuonante 4-0.

Quale altra migliore possibilità di rifarsi per la Juve se non nel big match di San Siro contro il Milan? Ecco che quindi il 24 marzo a Milano, per quasi un tempo, l’armata bianconera resiste fedele e compatta, ma dopo 44 minuti le fiamme incendiano la casa del Diavolo, innescate e propagate da un vento soffiato da est, più precisamente da Kiev, nato dal battito d’ali di un usignolo: doppietta di Shevchenko – che a fine stagione sarà capocannoniere con 24 reti – e 2-0 Milan al triplice fischio. Contemporaneamente, qualche regione più in basso, la Lazio vince in rimonta il Derby della Capitale contro la Roma, grazie alle reti di Pavel Nedvěd e Juan Sebastián Verón, riscoprendo un furore imperiale. Il -9 diventa -6.

Il primo aprile del 2000, giorno di scherzi, a volte molto brutti, e anche di Juventus-Lazio, che si gioca alla ventottesima giornata di Serie A. Mancavano altre sei partite per terminare la stagione, come sei erano anche i punti di distacco tra le due squadre. Lo scontro diretto del Delle Alpi se lo aggiudicano gli ospiti per 0-1. Cross vellutato di Veron e capocciata di Simeone che tramortisce van der Sar, lo stesso Simeone che aveva eliminato la Juve nel ritorno dei quarti di Coppa Italia di fine gennaio. Ora la Lazio è a -3 e in undici giorni ha recuperato sei punti su nove. Le aquile di Eriksson sanno cosa stanno attraversando i bianconeri, dato che la stessa Lazio era stata rimontata l’anno precedente dal Milan, in 7 partite gli uomini del tecnico svedese sciuparono 8 punti di vantaggio.

All’interno dello spogliatoio bianconero la situazione precipita: i nervi saltano, Del Piero e Inzaghi sono passati dal non uscire a cena insieme al non passarsi nemmeno la palla, lo stesso Pinturicchio è l’ombra di sé stesso e non segna un gol su azione da più di 530 giorni.

Passano le giornate e in qualche modo la Juve riesce a mantenere il vantaggio, tanto che all’ultima giornata la Lazio è distante due punti e tra i piemontesi e il 26esimo titolo nazionale manca solo un ultimo semplice ostacolo, arroccato nella pastorale Umbria.



14 maggio 2000, il giorno di Perugia-Juventus. Qualche chilometro più a ovest si gioca invece Lazio-Reggina. Le due avversarie delle contendenti al titolo si sono salvate con tranquillità, e avendo come unico obiettivo quello di tenersi alla larga da infortuni e sanzioni – e forse di presentare le uniformi per la stagione seguente – dovrebbero concedere i 3 punti alle big senza troppa resistenza.

La logica e la statistica non prendono però in considerazione una variabile che nessun libro può insegnare: il sentimento. Che cos’è il sentimento? Difficile dirlo, ma può materializzarsi in quella paura che ha portato a designare Pierluigi Collina, miglior arbitro del mondo, per la partita della Juventus a Perugia; oppure in quell’orgoglio storico che ha portato la Reggina, antipiemontese per questioni risorgimentali, ad assistere o quasi alla partita della Lazio, della quale era avversaria in campo; potrebbe anche essere quell’iperbolica rabbia politico-sociale espressa dal presidente perugino Gaucci, che, a detta del suo difensore Calori, avrebbe minacciato un mese di ritiro estivo per gli umbri in caso di vittoria bianconera.

E con questi presupposti, fischio d’inizio. Come anticipato la Lazio passeggia, e dopo 45 minuti è già sul 2-0; la Juventus invece spinge forte, ma il Perugia di Mazzone resiste e il risultato non si sblocca. Classifica alla mano, i risultati aggiornati all’intervallo non eleggono un campione d’Italia ma indicono uno spareggio, essendo le regole degli scontri diretti e della differenza reti ancora un’idea da partorire. Nel mentre di tutti questi calcoli su Perugia si abbatte il diluvio universale, o qualcosa che ci va vicino. Collina, il vox Dei, sospende l’incontro per ben 71 minuti; nel frattempo a Roma il Cholo Simeone – sempre lui, quello dei quarti di Coppa, quello dello scontro diretto – la chiude, e i laziali, in attesa di scatenare l’inferno come 26 anni prima, invadono il campo. Al di là degli appennini metà stadio ha già abbandonato gli spalti sicuro di un rinvio chiesto a grandissima voce, ma proprio Collina intravede un miglioramento climatico e prende una decisione che cambia la storia della Juventus e del calcio italiano: la partita riprende.

In un campo dalle condizioni decisamente discutibili e destinate a far parlare ancora ai giorni nostri, viene fischiata al minuto 49 una punizione a favore dei padroni di casa; batte Milan Rapaić, Antonio Conte devia per allontanare ma serve suo malgrado uno splendido assist per il capitano avversario Alessandro Calori, che stoppa di petto e calcia di destro, van der Sar soffia sul pallone ma è inutile. Perugia 1, Juventus 0. Palla al centro.

Gli ospiti attaccano anche con i magazzinieri, i locali mettono pullman e tifosi davanti alla porta, tirano tutti, poi ai bianconeri saltano i nervi – vedasi l’espulsione di Zambrotta subentrato da appena 7 minuti – e alla fine, alle 18.04, Collina fischia tre volte. La Lazio è campione d’Italia, la stessa squadra che si era fatta rimontare in modo anche peggiore dal Milan l’anno prima, toglie alla concorrente il titolo numero 26.

La presa della Bastiglia rispetto alla baraonda che scoppia all’Olimpico è una passeggiata per pensionati. Il finale del film è degno di una pellicola di genere religioso, caratterizzato dall’acqua umbra “benedetta” dai romani nell’anno del Giubileo, una pioggia che ha provocato nel Bel Paese risvolti apocalittici.

Una vicenda ai limiti del surreale, con simmetrie e asimmetrie tattiche e motivazionali che si sono intrecciate in una sezione disegnata dal Dio del calcio. O forse, invece, il destino aveva già scritto che doveva andare così, con buona pace dei tifosi bianconeri che ancora oggi si immaginano cosa sarebbe successo se Collina avesse rinviato la partita, salendo idealmente con Gwyneth Paltrow in quella metro che teneva ancora la sliding door aperta.

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