Leicester Ranieri

Il Leicester di Ranieri, gli operai del pallone

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Le grandi imprese sportive nascono senza dubbio da una buona dose di fato corroborata da polmoni, rabbia e cuore. Vincere al netto di mercati milionari, di sceicchi dispotici e di procuratori avidi è divenuto sempre più difficile. Ecco perché la storia delle Foxes si erge a cattedrale nel deserto di un calcio dipendente da copertine patinate e petrolio. Il 2 maggio 2016 rappresenta, per tutti gli appassionati di calcio, la data di uno dei più grandi scalpi sportivi della storia: il Leicester di Claudio Ranieri si laurea campione d’Inghilterra.


Un sentiero stellato

Chi lo avrebbe mai detto che una cittadina di 300.000 anime, nella contea del Leichestershire, sarebbe rimasta impressa nelle cartine del calcio che conta. In fin dei conti la storia delle Foxes è la classica storia da calcio di provincia, una squadra a difesa della tradizione più pura del football inglese con i suoi riti e la sua tifoseria inesauribile, poco di più. Prima di iniziar la stagione 2015/2016 vantava solo tre Coppe di Lega e un Charity Shield in bacheca. La squadra non terminava il campionato sul podio addirittura dal lontano 1929, quando le Foxes si erano fermate ad un punto dai campioni dello Sheffield Wednesday del bomber David Halliday. Tutto normale in fondo per una città storicamente più attratta dal rugby, sport capace di regalare ai tifosi i magnifici Leicester Tigers.

Una squadra poco consona ai vertici nel calcio, costretta dal 2004 a militare perennemente nei bassifondi delle varie leghe professionistiche della terra d’Albione. Un’inversione di tendenza arrivata nella stagione 2013/2014, quella culminata con il trionfo indiscusso in Championship – furono addirittura 102 i punti fatti registrare dalla banda di Nigel Pearson – guidato dai gol di David Nugent e Jamie Vardy, dopo quasi quattro anni dal pretenzioso investimento effettuato dal King Power Group. Una cavalcata che ha riportato le Foxes nell’Eden del massimo campionato inglese, vero e proprio paradiso mantenuto con le unghie e con i denti dai giocatori in blu. Una salvezza, quella conquistata la stagione successiva, ottenuta dopo un rush finale eroico. Al giro di boa di metà campionato il Leicester occupava infatti l’ultima piazza della classifica con soli 13 punti, restando arenato all’ultimo posto fino alla trentaduesima giornata, prima di dare il via ad un filotto di 8 risultati utili consecutivi – ben 7 le vittorie a fronte di un solo pareggio – che portarono il team di Pearson a concludere il campionato al quattordicesimo posto con 41 punti, dopo che fino alla trentesima giornata quelli conquistati erano stati solamente 19.

Nessuno avrebbe mai pensato che, sulla riva del fiume Soar, un giorno sarebbero sfilati i cadaveri di Manchester United, Arsenal, Chelsea, Liverpool e Manchester City. Nessuno o quasi. Probabilmente, fin dall’inizio, solo due uomini avevano la ferma convinzione che qualcosa di grande sarebbe accaduto: Leigh Herbert e Vichai Srivaddhanaprabha.

Leigh, scommettitore lungimirante, puntò le sue sterline sulla vittoria in Premier delle Foxes quotate 5.000 a 1; Vichai, presidentissimo della squadra, invece, capì che l’uomo giusto al momento giusto sarebbe stato Claudio Ranieri, chiamato al posto di Nigel Pearson, che non venne riconfermato per dei dissidi con la dirigenza.

Il tecnico romano, già vecchia conoscenza del calcio inglese grazie alla sua precedente esperienza al Chelsea – nella quale gli venne affibbiato il soprannome di Tinkerman, il riparatore – si trova a guidare una rosa orfana del bomber Nugent e di una colonna portante del centrocampo come il cuchu Cambiasso. Il calciomercato estivo regala però giocatori che si riveleranno di fondamentale importanza nella cavalcata trionfale delle Foxes, come i difensori Robert Huth e Christian Fuchs e la punta giapponese Shinji Okazaki. Il vero capolavoro del mercato arriva però dal nord della Francia, più precisamente dalla città di Caen, e porta il nome di N’Golo Kanté, acquistato dalla squadra normanna per 9 milioni di euro.



In una calda giornata d’agosto si apre contro il Sunderland il campionato 2015/2016 e la favola del Leicester City Football Club. Il segnale degli uomini di Ranieri è di quelli forti, un 4-2 inflitto ai Black Cats che porta le firme di Vardy e Albrighton, inframezzate dalla doppietta di Riyad Mahrez. La vittoria si ripete una settimana più tardi a Boleyn Ground, casa del West Ham, a cui non basta il solito Payet per evitare la sconfitta.

Comincia già a vibrare nell’aria qualcosa di strano, c’è l’odore delle grandi imprese, quel senso di vuoto felice che accompagna le grandi narrazioni, così difficili da spiegare ma immediate e potenti da intuire. Nelle prime cinque giornate Ranieri e il suo Leicester hanno aperto un filotto di tre vittorie e due pareggi del tutto inaspettati, con una rosa apparentemente buona soltanto a salvarsi.

La battuta di arresto del 26 settembre 2016, contro un Arsenal che finirà la stagione secondo, è solo un incidente di percorso. Al King Power Stadium, nonostante la sconfitta roboante per 5-2, lo spettacolo andato in scena è stato eroico: Vardy e compagni tengono testa ad una armata più grande, gettando il cuore oltre l’ostacolo in puro stile inglese. A quelle latitudini chi suda la maglia ed esce stravolto dal campo merita rispetto qualunque sia stato il risultato ottenuto. Quel rispetto, quella voglia e quelle maglie blu, che sudate diventano azzurre, sono il simbolo di quella che sarà per sempre ricordata la squadra dei Robin Hood.

Senza perdersi d’animo gli uomini di Ranieri riprendono il proprio ruolino di marcia impressionante vincendo cinque delle successive sei partite. Intanto anche fuori dall’Inghilterra ci si inizia ad accorgere della banda di Ranieri: il 29 novembre, nel pareggio in casa per 1-1 contro il Manchester United di van Gaal, Jamie Vardy va a segno per l’undicesima partita di fila – 13 gol in totale in questo filotto micidiale – sfruttando uno spettacolare assist no-look di Fuchs e battendo l’incredibile record di Ruud van Nistelrooy per gol in partite consecutive. Quella di Vardy è la prima favola dei tre grandi giocatori di spicco del Leicester. Il nativo di Sheffield era infatti stato sempre lontano dal calcio che conta, militando per tutta la sua carriera nelle serie dilettantistiche inglesi alternando lavori in fabbrica a risse nei pub, in perfetto stile britannico. Arrivato finalmente al professionismo nel 2012, è da quel momento riuscito a dimostrare le sue innegabili qualità tra le fila delle Foxes, ottenendo diversi record come quello di essere diventato il primo giocatore a segnare alle sei grandi d’Inghilterra in una singola stagione.

Il pareggio con lo United catapultò quindi il Leicester di Ranieri al primo posto coadiuvato dall’altro Manchester, quel City degli sceicchi fresco di una campagna acquisti da oltre 200 milioni di euro. La tripletta di Mahrez in casa dello Swansea e la contemporanea sconfitta degli Sky Blues in casa dello Stoke regalò incredibilmente la vetta solitaria della Premier League alle Foxes. Un fuoco di paglia? L’idea diffusa in Inghilterra e tra tutti gli appassionati di calcio inglese era pressappoco questa, ma la successiva dominazione ai danni del Chelsea di un José Mourinho in crisi non fece altro che rinvigorire il mito di Vardy e Mahrez, protagonisti di un’alchimia fuori dal comune.

A fine dicembre il Leicester subiva una leggera flessione, uscendo sconfitto da Anfield contro il Liverpool guidato da un sussulto del deludente Benteke e pareggiando per 0-0 in casa contro il Manchester City, terminando il girone d’andata con 39 punti, al comando della Premier League assieme all’Arsenal.



Gli ultimi dubbi sul possibile fuoco di paglia della squadra del Leicestershire furono spazzati quando la banda di Ranieri superò il Tottenham a White Hart Lane grazie ad un gol di Huth, ma soprattutto dopo la prova di forza messa in mostra contro il primo Liverpool di Klopp, sopraffatto per 2-0 grazie ad una doppietta di Vardy, autore soprattutto di un gol epico come quello del vantaggio.

Il punto più alto della gloriosa cavalcata delle Foxes, però, è rappresentato probabilmente dalla fantastica vittoria per 1-3 in casa del Manchester City, superato grazie ad un’inverosimile doppietta di Robert Huth e appulcrato dalla solita perla di Mahrez, l’ennesima di una stagione incantevole e sbalorditiva, che ha catapultato l’algerino dall’anonimato alla leggenda e ai vertici del calcio mondiale, sempre nei canoni della favola del Leicester, difficile persino da immaginare.

Una settimana più tardi è tempo della terza ed ultima sconfitta del campionato, una sconfitta che sa enormemente di beffa visto che Welbeck regala la vittoria all’Arsenal addirittura al 95′ dopo una punizione causata da un maldestro fallo di Wasilewski, permettendo ai Gunners di rifarsi sotto e portarsi a soli due punti di distacco.

È in questo momento, probabilmente il più complicato dell’anno, che tutta la rosa del Leicester si rivela terribilmente utile. Claudio Ranieri trova nei gregari i perfetti attori per continuare nella proiezione del film regale: Leonardo Ulloa segna all’ultimo minuto contro il Norwich quello che è forse il gol più importante della stagione – causando anche un terremoto di 0,3 gradi della scala Richter per la successiva gioia del pubblico –, il giapponese Okazaki supera la strenua resistenza del Newcastle con una bellissima rovesciata, e ancora Ulloa si rivela fondamentale pareggiando su rigore al 94′ il match interno contro il West Ham – che aveva ribaltato la partita negli ultimi dieci minuti di gioco mettendo in serio dubbio le sorti delle Foxes, che si sarebbero ritrovate a soli 4 punti di distanza dal Tottenham.

Prima di quest’ultima gara, però, Ranieri aveva già raggiunto un traguardo straordinario, ottenendo la prima qualificazione della storia del Leicester per la Champions League, festeggiata in conferenza stampa con l’iconica frase: «We are in Champions League, dilly ding dilly dong!».

La leggenda doveva però concludersi e quale migliore palcoscenico del Teatro dei Sogni, il mitico Old Trafford casa del Manchester United? Il pareggio in rimonta guidato dal gol del capitano Wes Morgan, difensore giamaicano con un fisico da navigato buttafuori, unito al fantastico 2-2 in rimonta del Chelsea sullo speranzoso Tottenham, diede finalmente la matematica certezza del trionfo dei ragazzi di Ranieri, un trionfo festeggiato come non mai da giocatori, staff e tifosi, oltre che dagli appassionati di tutto il mondo.

Perché la vittoria del Leicester è stata soprattutto una favola di romanticismo, Davide che batte Golia, un’impresa per tempo ritenuta possibile solo nei videogiochi. Una favola che ha trovato il suo definitivo epilogo nella festa del 7 maggio in casa contro l’Everton, una festa aperta dal magnifico canto del tenore lirico Andrea Bocelli, direttamente invitato da Ranieri.

La favola del Leicester ha presentato al mondo l’immenso talento di N’Golo Kanté, l’umile centrocampista dal perenne sorriso, capace di trovarsi in qualunque momento in ogni zona del campo, facendo sprecare ironie e leggende riguardo la sua ubiquità.

La favola del Leicester ha finalmente regalato a Claudio Ranieri il primo successo di una lunga carriera che lo aveva spesso visto fermarsi ad un passo dal trionfo. Il soprannome di Tinkerman non si poteva più attenere all’ex Roma, era necessario un aumento di grado, l’allenatore testaccino era diventato regale, era diventato King Claudio, l’uomo che ha portato una squadra con mere ambizioni di salvezza ad issarsi a campione d’Inghilterra.

La favola del Leicester è stata capace di catturare i cuori e le simpatie dei tifosi non solo delle Foxes, bensì quelli di tutto il mondo, pronti ogni weekend a sintonizzarsi sul calcio inglese per tifare i ragazzi di Ranieri come se si trattasse della propria squadra del cuore.

La favola del Leicester ha dimostrato che anche nel calcio moderno, quello tanto vituperato per l’eccessivo dilagare di ricchezza nelle mani di pochi eletti, è possibile avere ancora un po’ di sano e decantato romanticismo.


Miracolo tecnico

Oltre a quella che è la storia della favola del Leicester di Ranieri, è interessante analizzare anche come sia stato possibile dar vita ad uno spettacolo così splendido ed anacronistico nello stesso tempo.

Le ragioni, sinteticamente rilevabili, sono due: lavoro incessante e totale fiducia nei propri mezzi. Ranieri inizia la stagione con qualche esperimento tattico prima di affidarsi ad un solido 4-4-2. I più grandi allenatori non impongono un loro diktat stereotipato, i grandi allenatori mutano forma, si adattano al materiale umano con cui hanno a che fare. Ranieri al Leicester aveva degli ottimi “operai del pallone”, veri e propri soldati dinamici ed operosi. Il calcio di Sir Claudio si sposa magicamente con il concetto di dinamismo e sacrificio, un connubio perfetto di muscoli e pensiero.

Nel suo equilibrato 4-4-2 si sono esaltati giocatori come Danny Drinkwater e N’Golo Kanté, perfetti centrocampisti fluidi e cangianti. Il lavoro fondamentale di quel Leicester veniva fatto proprio dal centrocampo: attaccare, difendere e ripartire. Tutti insieme, come fossero una valanga, Kanté e Drinkwater avevano l’arduo compito di essere i primi a spingere ed a rientrare. Senza questo tipo di giocatori a tutto campo il gioco di Ranieri perde di mordente.

A rinsaldare la parte carismatica, subentravano due rocciosi centrali di difesa utilissimi anche sui calci piazzati come Wes Morgan e Robert Huth, ma anche il portiere Kasper Schmeichel. E il comporto tecnico della squadra non era di certo privo di talento, rappresentato principalmente da Jamie Vardy e Riyad Mahrez, ma ben aiutato anche dalle riserve.

Le Foxes avevano un gioco semplice, spesso basato sulla codificazione di movimenti ben studiati, utili a dare un preciso ruolo ad ogni singolo interprete. Allargando il gioco o, soprattutto, lanciando lungo sugli esterni o su Vardy, la squadra si muoveva come corpo singolo. La chiave tattica vincente di Vardy e compagni fu soprattutto la bravura con cui sfruttavano le seconde palle. Una caratteristica fondamentale per chi gioca in ripartenza, utilissima in Premier League, dove gli uno contro uno sono il pane del gioco.

Sul modello Leicester di Ranieri si è dibattuto in lungo ed in largo, dal punto di vista del business è esempio di un’ottima ed oculata gestione finanziaria. Pensare di riproporre, però, questo modello calcistico oggi, nonostante la vicinanza con il 2016, è forse utopico. Per riprodurre l’impresa delle Foxes non basta incastrare i mattoncini al loro posto, non basta avere gli uomini giusti, serve avere carattere e infinito spirito di sacrificio. Il sogno di vedere un altro Leicester è pur sempre un sogno, però ve ne preghiamo, se mai dovesse succedere, non svegliateci.

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