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United-Bayern 1999, quando i diavoli festeggiarono in paradiso

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È il 26 maggio 1999 e lo scenario è quello del Camp Nou di Barcellona: un teatro a cielo aperto pronto per ospitare l’atto finale del torneo più ambito dai club di tutta Europa, la Champions League. La battaglia che sta per andare in scena è molto sentita dentro e fuori dal campo: 25.000 vengono dall’Inghilterra a tifare Manchester United e 28.000 sono invece i tedeschi pronti a spingere il Bayern Monaco. La posta in gioco è alta – in un’epoca in cui tifosi estremisti come Hooligans e Naziskin invadono molto spesso gli stadi e creano scompigli – e lo stadio viene blindato e controllato da cima a fondo per evitare che brutte sorprese rovinino lo spettacolo.

Le due squadre nel corso della stagione si sono date battaglia ben due volte nella fase a gironi del torneo, due partite concluse in parità che disegnano un antipasto perfetto per la finale in questione. Si può perdere una battaglia, ma è la guerra quella da vincere e lo sanno bene le due contendenti che, come per ogni finale che si rispetti, partono alla pari: più tecnici e talvolta leziosi gli inglesi e per tradizione più pratici i tedeschi. A dirigere il tutto è l’unica presenza italiana in questa finale, Pierluigi Collina, uno dei fischietti più famosi e apprezzati in tutto il mondo che a fine partita dichiarerà di aver vissuto una delle emozioni più forti della sua carriera, nell’arbitrare questa gara.

Le stelle in campo sono molte, da Lothar Matthäus, giunto forse al canto del cigno dopo una carriera in cui ha vinto tutto in ambito di club e di nazionale, e desideroso di alzare al cielo l’unico trofeo che gli manca, ai portieri Oliver Kahn e Peter Schmeichel, due dei più forti di tutti i tempi. Mancano all’appello, per motivi diversi, calciatori del calibro di Paul Scholes, Roy Keane e Henning Berg da una parte e Giovane Élber e Bixente Lizarazu dall’altra, ma con il tasso qualitativo presente in campo lo spettacolo è comunque assicurato, il meglio che il calcio europeo potesse offrire in quel periodo era pronto a sfidarsi nell’ultima Champions del millennio, quella che per entrambe significherebbe per di più triplete, dato che sia Manchester United che Bayern, nel corso della stagione, avevano conquistato campionato e coppa nazionale.



Potremmo essere tutti sazi dopo questo succulento antipasto, ma quando finalmente la sfida ha inizio, nello stomaco di ogni appassionato di calcio che si rispetti, si libera subito lo spazio per un’altra scorpacciata di spettacolo: dopo appena cinque minuti di gioco infatti è Mario Basler a scatenare il tifo tedesco e portare in vantaggio i bavaresi, realizzando una punizione dal limite dell’area che trafigge il colpevole Schmeichel, poco reattivo sia nell’intervento che nella disposizione della barriera.

Da lì in avanti l’enfasi del match passa ovviamente nelle mani del Bayern e si vede subito che non sono i soliti diavoli rossi di Manchester quelli scesi in campo quella sera: il condottiero Ottmar Hitzfeld, tecnico della compagine tedesca, con un gioco di prestigio sembra essere entrato, la notte precedente alla battaglia, nella mente del suo collega e rivale Sir Alex Ferguson: tutto ciò che era stato preparato dagli inglesi viene schermato dai tedeschi, e quella prodotta in campo è solo una sterile reazione al gol subito. Non bastano alcuni accorgimenti e non serve neanche il talento cristallino di un giovane David Beckham, fino a quella sera sempre fonte di ispirazione per i compagni e d’un tratto relegato a uno tra i tanti da un sontuoso Jeremies.

Molto spesso, però, nei momenti di difficoltà, nella vita così come nel calcio, emerge una forza, quella della disperazione, data dal desiderio di cambiare tutto, ribaltando completamente la serie di eventi negativi che fino a quel momento avevano caratterizzato l’andamento della storia: sintesi perfetta di quel che accadde in quella notte di maggio sotto il cielo di Barcellona. Facciamo un balzo al minuto 67, quando Ferguson decide di cambiare le carte in tavola: esce Blomqvist ed entra Teddy Sheringham, si passa al 4-3-3 e si entra nel mood della disperazione per lo United.

Malgrado tutto, la partita non sembra cambiare il suo corso ed è sempre il Bayern a farsi pericoloso pochi minuti più tardi con il palo colpito dal subentrato Scholl e con i decisivi miracoli di Schmeichel, precedenti all’ennesimo legno colpito da Jancker. Arriva la girandola dei cambi, sicuramente i più decisivi che la storia del calcio abbia mai visto a memoria d’uomo: entra un altro attaccante, Ole Gunnar Solskjaer, per i diavoli rossi e Fritz e Salihamidžić per i tedeschi.

Siamo nei minuti finali e come spesso accade basta un evento per cambiare le sorti della storia, un minuto che può portare la gloria e trascinare nel baratro. Quel minuto in questo caso è il novantunesimo e sul pallone posizionato sulla lunetta del calcio d’angolo c’è David Beckham, sì, proprio lui che in questa partita è stato sovrastato dal centrocampo dei panzer tedeschi, ma che ora con un gesto degno del suo talento è pronto a cambiare la storia della partita e della sua squadra del cuore: palla in mezzo all’area, tiro di Giggs – un altro che farà la storia dello United – e sulla respinta di Khan si fionda in agguato e la mette dentro Sheringham, l’uomo della disperazione raccontata in precedenza, mandato in campo dal suo allenatore per riscrivere e rimandare l’esito della battaglia.

Passa poco più di un minuto e nell’euforia generale c’è un altro pallone da scodellare in the box per i Red Devils, sulla sfera c’è ancora Beckham, che crossa in mezzo all’area del Bayern trovando la sponda del solito Sheringham per la zampata di Solskjaer – l’altro uomo della provvidenza di questa pazza serata –, che gonfia la rete e causa la conseguente esplosione dello spicchio di stadio riservato ai tifosi del Manchester United.

La partita è stata completamente capovolta in meno di 120 secondi, il Manchester United è campione d’Europa per la seconda volta nella propria storia, dopo 31 anni dalla prima e fino a quell’istante unica.

Volge così al termine una partita che sembra disegnata da un folle, il più folle dei registi del più folle dei film: una partita che è anche una battaglia, fatta di eroi e di momenti che contraddistinguono e segnano le gesta della storia. Un finale che congela l’anima del Bayern Monaco, che si è visto strappare la gloria da una squadra, il Manchester United, che ha vissuto tutta la partita sottoterra, una zona dove vivono i diavoli, rossi, come il volto dei loro tifosi esaltati dall’ennesima birra e dall’ennesimo brindisi post partita in pieno stile anglosassone, e che per una volta festeggiano dove vivono gli eterni, in paradiso.

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