Martin Odegaard

Martin Odegaard non smette mai di stupire

I Personaggi PSS Slider

Al giovane Martin Odegaard ciò che si presenta davanti agli occhi non deve sembrare del tutto reale. Cristiano Ronaldo si sta incamminando, insolitamente senza alcuna stizza, verso la fine del terreno di gioco e in direzione della panchina, pronto a dargli un abbraccio di incoraggiamento e il cambio per entrare. È il 23 maggio del 2015, e Martin sta per debuttare nel Real Madrid. Forse è proprio perché in quel momento ha soltanto 16 anni e 167 giorni di vita alle spalle – debuttante più giovane di sempre delle Merengues – che tutto questo pare invece follemente reale. Forse è il saper fare tutto estremamente presto, come esordire in massima serie norvegese a neanche 15 anni e mezzo e segnare il primo gol un mese dopo, la ragione per cui adesso l’esordio nella squadra più vincente del calcio europeo è semplicemente cristallino.


La nascita di una stella

Non restare folgorati dal semi-bambino dello Stromsgodset era un’impresa veramente difficile. Palla a terra, 67 sulle spalle e chioma bionda a ricordare un piccolo Super Saiyan. La ribalta di Martin Odegaard era partita dall’intuizione di mister Ronny Deila, autore di una sorta di rivoluzione che dal 2008 al 2014 aveva portato il club dal lottare per la retrocessione al vincere il campionato – solo il secondo nella loro storia. Nel suo calcio veloce, edificato su continue associazioni offensive e la ricerca più immediata dalla verticalizzazione vincente, l’estro di un ragazzo così speciale non poteva che trovarsi immediatamente a suo agio. Ma erano state soprattutto la dolcezza con cui spostava la palla – in particolare con il mancino –, la resistenza atletica e fisica, l’istantaneità nel dribbling, nel passaggio e nella conclusione, a far sognare la città di Drammen di aver partorito il miglior calciatore scandinavo della storia.

L’impressionante talento di un Martin Odegaard appena quindicenne

È in realtà un intero Paese a fantasticare: la Norvegia calcistica e sportiva è ai piedi del fanciullo d’oro, alla disperata ricerca di una stella che elevi il movimento nazionale all’élite – concetto ribadito persino in un documentario, realizzato nel 2014 dall’emittente locale TV2, dall’esegetico nome ‘Il fenomeno Martin Odegaard‘.

The hype was real, insomma, anche perché prima di diventare ufficialmente un professionista Martin aveva già svolto provini nel Bayern Monaco e Manchester United, e nell’agosto del 2014 aveva esordito da titolare con la Nazionale maggiore – il più giovane esordiente in una nazionale europea, fino a quando il 14 novembre 2021 Enes Sali non avrebbe fatto meglio nella Romania.


L’arrivo a Madrid e i prestiti in Eredivisie

Che un talento eccezionale come questo si perda per strada è preventivabile. Anzi, per una qualche contorta logica, sembra che più straordinario sia il ragazzo, più probabile sia per lui perdersi. Ma non per questo, quando Odegaard scivola via dalla bocca e dalla mente delle persone, incapace come è normale che sia di imporsi immediatamente titolare nella squadra più forte d’Europa, la sua scomparsa dietro le quinte provoca un potenziale argomento di discussione, riguardo la spropositata pressione scaricata su un ragazzino tecnicamente all’ultimo anno della scuola media norvegese.

Nonostante una vita già vissuta a rapidità supersonica, il giovane Martin non si perde comunque d’animo. Si prende inizialmente il suo spazio nel Castilla di Zidane e di Ramis e successivamente, su conclusione sua e del Real, decide di lasciare nell’armadietto la camiseta blanca. Forse per sempre, forse no, ma la sua intelligenza è troppo precoce da non fargli sapere di avere tanto, tantissimo tempo a sua disposizione. Parliamo, del resto, dello stesso ragazzo che, quando era ancora allo Stromsgodset, aveva chiesto agli sviluppatori di Football Manager di inserirlo nella versione 2015 del gioco, pur non avendo ancora compiuto 16 anni, e ci era anche riuscito, grazie al permesso del padre. La convinzione nei propri mezzi doveva averla già bevuta nel biberon.

Nel gennaio 2017 approda dunque in uno dei baluardi della gioventù calcistica, i Paesi Bassi. Sono i frisoni dell’Heerenven a dargli di nuovo un ambiente libero di pressioni e un pallone da coccolare a piacimento. Spesso mister Jurgen Streppel lo schiera sulla destra, ma l’attrazione magnetica del suo sinistro lo porta ad accentrarsi, quasi che il piede lo inviti a stare nel nucleo del gioco, a osservare cose che gli altri non vedono proprio.

L’apprendistato olandese continua, un anno e mezzo dopo, al Vitesse, dove, continuando a giocare sulla destra, Odegaard sboccia anche dal punto di vista realizzativo, segnando 11 gol. Ma non sta solo nella raffinata capacità di tiro la sua qualità ormai straripante per l’Eredivisie. La sua abilità nel dribblare in spazi stretti e sotto pressione mostra una percezione dello spazio attorno a lui, e un’abilità nel muoversi in esso, degne di un pipistrello nella caverna più buia. La delicatezza nello stop e nel dosaggio dei passaggi gli permettono di spedire il pallone sempre dove deve, come se il campo fosse una stanza di un adolescente da riordinare. Il tutto sublimato da una visione che lo rende in grado di optare volentieri per la verticalizzazione meno facile, ma più pericolosa.

Il meglio di Martin Odegaard nella stagione al Vitesse



Dai Paesi Bassi ai Paesi Baschi

La seconda volta da giovane promessa lo riporta dove la prima si era interrotta, in Spagna. Ma ora il salto è ben più calibrato, in una squadra “Real” ma meno pretenziosa: la Sociedad di Imanol Alguacil.

Certo, meno pretenziosa nello status, ma non di certo nello stile di gioco. La squadra del tecnico basco è estremamente ambiziosa e mai disposta a farsi intimorire dall’avversario. I biancoblu fondano la loro manovra su un palleggio tecnicamente sopraffino, ma anche rapido, volto a stringere gli avversari nella marcatura per trovare astutamente porzioni di campo libere sulle fasce esterne, tramite la salita laterale dei terzini, o nei mezzi spazi, con il vorticoso scambio di posizioni da parte degli esterni, dei trequartisti e delle punte.

La grande fluidità di movimento permette a Martin, vero battito cardiaco della manovra, di ricevere da mezzala per smistare il pallone o per creare superiorità numerica dribblando, ma anche di delegare quel compito a qualcun altro per avanzare sulla trequarti, dove può ancora una volta palesare la sua straordinaria qualità nel mandare in porta i compagni, ma anche eventualmente nel cercare la conclusione verso la porta, che ormai vede sempre meglio. E a fare le spese del suo continuo affinamento è più degli altri proprio il palazzo dei sogni in cui Odegaard era andato in gita, il Santiago Bernabéu, che la sera del 6 febbraio 2020 è ammutolito dal suo gol che stappa la sfida di Copa del Rey, quando scaraventa in rete la risposta di Areola a un tiro defilato di Isak, inserendosi intelligentemente in posizione avanzata sfruttando proprio la grande mobilità della squadra basca. È una rete che, sotto il velo del silenzio e della flemma di chi ha segnato da ex, sembra urlare «Eccomi, bastava solo un po’ di pazienza!».

I 17 G/A di Martin Odegaard nella stagione 2019/2020

A fine partita la Real Sociedad ha portato a casa uno dei più grandi successi della sua storia, un 3-4 a Madrid che proietta la squadra alle semifinali della coppa nazionale contro la sorpresa Mirandés, battuta sia all’andata – con un altro gol del norvegese – che al ritorno per portare il club a giocarsi una clamorosa finale tutta basca con l’Athletic Bilbao. Ma quella che potrebbe essere la prima finale della sua carriera, Odegaard non la gioca. Infortunato? Squalificato? No, è che mentre le due formazioni finaliste entrano nello stadio de la Cartuja a giocarsi la finale, Martin è un giocatore dell’Arsenal, e dovrà accontentarsi di trovare la medaglia da vincitore della Copa nella posta. Il COVID e la disperata volontà di entrambe di giocarsi il trofeo davanti ai propri tifosi portano ad posticipo di quasi un anno della gara, quando lui ha avuto il tempo di tentare un’altra volta al Real e poi di abbandonare, forse del tutto, la squadra che ha sequestrato la sua gioventù e che non ha avuto tempo e spazio per crescerlo da sé.


La scalata londinese

I fan di Community, ma non solo, avranno sicuramente presente il meme ‘The Darkest Timeline‘, in cui Troy Barnes, interpretato da Donald Glover, torna tutto contento al suo appartamento dopo aver preso le pizze ordinate da lui e i suoi amici, per ritrovarsi lo stesso appartamento in preda alle fiamme e al caos totale. Ecco, non ci vuole molto a immaginare Odegaard come uno speranzoso Troy che si ritrova catapultato nel mezzo di una stagione in cui l’Arsenal è totalmente allo sbando.

Al suo arrivo la squadra di Mikel Arteta stagna ad un deprimente decimo posto, e il processo di trasformazione dello stile di gioco, attraverso le idee dell’ex-apprendista di Guardiola, stenta ormai da un anno a concretizzarsi. Il gioco di posizione che il mister spagnolo vuole trasferire è sempre imperfetto, intrappolato in un conflitto tra idea e concretizzazione che sembra insanabile.

Martin Odegaard rappresenta la speranza di un aiuto importante in questa situazione. Con Arteta torna a ricoprire una posizione centrale sulla trequarti, e diventa subito un grande fulcro creativo per la squadra del nord di Londra – il migliore per passaggi chiave a partita, 1,4. Ma non è ancora il fuoriclasse in grado di sbloccare situazioni intricate, come le sole due reti segnate dimostrano, e l’Arsenal resta un cantiere del tutto aperto e pieno di mattoncini da mettere alla base.

La seconda stagione del ragazzo passato per San Sebastián e del tattico natoci mostra però una netta crescita. I Gunners seguono ora in maniera più affiatata e precisa i dettami del loro allenatore, che ha ormai nel 4-2-3-1 abbozzato nell’annata precedente il modulo base con cui l’Arsenal acquisisce un’impostazione più fluida e molto meno difettosa, grazie anche ai nuovi arrivi White, Tomiyasu e Ramsdale, e una grande rapidità nelle transizioni offensive, con l’abilità palla al piede di Xhaka e Thomas Partey, gli scambi di posizione tra ali e terzini, e alla totale libertà creativa di Odegaard tra le linee, come accadeva in Spagna.

La grande crescita dell’Arsenal nel 2021/2022 non è premiata dal ritorno in Champions, sfumato soprattutto in un trittico terribile di passi falsi contro Crystal Palace, Brighton e Southampton. Ma il vento non si può fermare con le mani, e la dimostrazione ne è la Premier League 2022/2023, quando il collaudo di due anni è terminato e il motore della macchina bianca e rossa ruggisce minaccioso su tutti i campi d’Inghilterra. E se potremmo definire Arteta il direttore generale di scuderia, Martin Odegaard è sicuramente il primo pilota, visto che nell’estate precedente viene nominato capitano a soli 23 anni, a certificare un’altra capacità meno vista e più stupefacente delle altre, la leadership, nel suo caso non solo fondato sul carisma individuale, ma sull’influenza effettiva esercitata sui compagni in campo a livello di pressing, di possesso, di manovra.

L’Arsenal è ormai una squadra che attacca difendendo e difende attaccando. Martin aiuta i compagni in questo, salendo in pressing a spaventare i centrocampisti avversari o restando accanto alla punta per mettersi a specchio sui difensori centrali che hanno davanti, ma è anche aiutato dal gioco complessivo, in quanto i rientri difensivi dei vari Xhaka, Jorginho, Partey e Zinchenko lo privano dalla necessità di correre dietro, restando sempre lucido e con lo sguardo in avanti, così come i recuperi alti gli permettono di avere subito la palla in zone molto pericolose. Non è un caso che, man mano che i meccanismi offensivi si sono oliati, la media realizzativa sia esplosa completamente. Dalla stagione 2021 ad oggi le reti in campionato sono state 26, gli assist – quasi sempre di rara fattura – 15.

Numeri che, ahi lui, non sono serviti a interrompere la dittatura domestica del Manchester City, nella sua versione più devastante mai vista, ma hanno se non altro garantito all’Arsenal di tornare ad ascoltare la musichetta della Champions, dove peraltro Martin ha finalmente trovato il suo primo gol, ovviamente con il suo sinistro squarciante, nella gara contro il PSV Eindhoven. Un inesorabile diagonale rasoterra che scusa l’attesa.

Il biondino di Drammen con la maglia numero otto sembra corrispondere a quello che qualcuno definirebbe «uno degli ultimi veri dieci», ma in realtà la sua classe è perfettamente filtrata dalla modernità del gioco e dalla capacità di leggerlo nei suoi diversi aspetti, motivo per il quale forse si potrebbe parlare di uno dei “nuovi dieci”.

Il meglio del 2023 di Martin Odegaard

La manifestazione di Martin Odegaard può dirsi insomma avvenuta, ed è la vittoria di chi fin da ragazzino sapeva di avere qualcosa di speciale nel cervello, nel cuore, nei piedi, e si è fatto beffe, con la saggezza di un matusalemme, di chiunque abbia cercato di provargli che si sarebbe scaricato del suo talento come una penna del suo inchiostro. Lo sapeva e lo ha dimostrato, pur avendo ancora margini di miglioramento netti – sarebbe conveniente che si ricordasse di avere anche un piede destro – e grandi pagine che possono ancora essere scritte, specialmente con la Norvegia, dove, nonostante sia anche lì capitano, non ha ancora replicato la sua influenza nei club e ha mancato la qualificazione anche agli Europei di Germania, per un assenteismo norvegese ormai ingiustificato con lui e Haaland a disposizione.

Se la sua capacità di stupire sembra a questo punto illimitata, è lecito comunque aspettarsi che i miglioramenti arriveranno, così come è lecito seguire con trepidazione il prosegui della sua ormai affermata love story rosso-bianca. E a prescindere dal fatto che l’Arsenal torni o meno a raggiungere i fasti di inizio millennio, la sua palese genialità ci induce a continuare a sognare le future pennellate che produrrà sulla tela del manto erboso. Quindi palla a te Martin, fanne quello che vuoi.

Leggi anche: Mesut Özil, storia di un calciatore mai compreso