Mesut Özil

Mesut Özil, storia di un calciatore mai compreso

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Quando si analizza la carriera di Mesut Özil, si sente spesso parlare di “talento sprecato”, ma è davvero così? A conti fatti, il fantasista tedesco di origini turche ha vinto tanto, e lo ha sempre fatto da protagonista, in patria così come in Spagna e in Inghilterra. Eppure, questo non gli è mai stato riconosciuto, come se la sua pelle fosse stata marchiata dal sigillo della bellezza inconcludente, messogli da qualcuno che forse non lo ha compreso fino in fondo.

Si è più volte parlato delle sue “telenovelas” amorose, delle sue scomode amicizie politiche e delle sue esose richieste economiche, che certo fanno parte del suo vissuto e che ne hanno condizionato la carriera, ma è un peccato che non si riesca a percepire che Mesut Özil sia stato uno dei calciatori più forti e belli da vedere della sua generazione.


Gli esordi e l’esplosione tra Gelsenkirchen e Brema

Mesut nasce il 15 ottobre 1988 a Gelsenkirchen, uno dei centri principali del complesso industriale della Ruhr, da una famiglia di origini turche. I nonni si trasferirono infatti in Germania negli anni Sessanta, in cerca di fortuna. Proprio queste radici, di cui lui si è sempre considerato orgoglioso, ne condizioneranno la vita, e infatti fin da piccolo deve abituarsi a convivere e combattere con il razzismo, incentivato dai problemi economici della famiglia.

Özil inizia a calciare i primi palloni tra le vie della sua città e fin da piccolo mostra un grande talento: non è un luogo comune dire che i calciatori forti tecnicamente si siano svezzati in strada, dove i mille fattori che condizionano l’andamento del pallone obbligano ad adattarsi. Proprio quello stile da strada e quella tecnica già sopraffina gli permisero di entrare nelle giovanili dello Schalke 04, uno dei club più importanti di Germania.

Sotto la guida di Norbert Elgert, Mesut diventa subito il punto di riferimento della primavera dei Königsblauen, con cui vince il campionato di categoria mettendo a referto ben 14 gol. Questi numeri e le sue prestazioni gli permettono di esordire nel calcio dei grandi nella partita dell’allora Ligapokal contro il Bayer Leverkusen, ripetendosi poi pochi giorni dopo contro il Bayern Monaco. Quell’estate del 2006 è magica per Mesut, perché alle partite in coppa – la fase finale della competizione veniva giocata prima dell’inizio del campionato – segue anche l’esordio in Bundesliga nella prima di stagionale contro il Francoforte. L’annata 2006/2007, nella quale lo Schalke arriva secondo dietro allo Stoccarda di Mario Gómez, si conclude con 19 presenze, quasi tutte nella seconda parte di stagione, e il primo di una lunghissima lista di assist.

La stagione 2007/2008 è quella della prima svolta. Nonostante qualche piccolo guaio fisico, infatti, Özil entra stabilmente nel gruppo dei titolari della squadra di Gelsenkirchen, trovando i primi minuti in Champions League e il primo gol della carriera, realizzato contro il Karlsruhe. Sono però le due annate successive, giocate con la maglia del Werder Brema, quelle in cui Mesut si impone come il miglior talento tedesco. Le sue prestazioni in crescendo convincono infatti i Werderaner – all’epoca una big del calcio teutonico – ad acquistarne il cartellino per 5 milioni di euro.

È il 20 settembre 2008, e Mesut Özil non ha ancora vent’anni quando decide di prendersi la scena in casa del Bayern Monaco, annichilito per 5-2. Va detto che il Werder è una squadra che oltre al nostro eroe può schierare calciatori come Naldo, Claudio Pizarro, Markus Rosenberg e Diego, ma è il ragazzino originario del Bosforo che la fa da padrone con due assist – il primo è un’imbeccata deliziosa, e ne farà tante di questo tipo – e un gol bellissimo sotto l’incrocio.

È il preludio di un’annata nella quale metterà a referto 3 gol e 13 assist in campionato, e che lo vedrà decisivo anche in finale di Coppa di Germania, dove realizza la rete del definitivo 1-0 con cui i biancoverdi battono in finale il Bayer Leverkusen, aggiudicandosi il loro sesto titolo. Inoltre, il talento di Mesut Özil inizia a farsi vedere anche in campo internazionale. Il Werder, infatti, dopo essere stato “retrocesso” in Coppa UEFA, riesce ad arrivare fino all’atto conclusivo della competizione anche grazie alle sue giocate, che non basteranno però a battere lo Shakhtar Donetsk di Fernandinho, Willian e Luiz Adriano.

La stagione seguente, l’ultima in Germania, è quella con i numeri migliori: 9 gol e 14 assist nel solo campionato. Utilizzato prima come mezzala e poi come trequartista dopo il passaggio di Diego alla Juventus, il tedesco fa impazzire i suoi avversari: è rapido con il pallone tra i piedi, punta e dribbla spessissimo l’avversario ed è tremendamente incisivo. È proprio l’abbinamento di bellezza ed efficacia, oltre ad un primo grande Mondiale giocato con la Germania, ad attirare l’attenzione delle big europee. In particolare c’è un uomo a volerlo fortemente, José Mourinho, che decide di farne uno dei protagonisti del suo nuovo Real Madrid.


Il triennio blancos

Come ha poi raccontato nella sua autobiografia, fu proprio il tecnico portoghese a convincere l’allora ventunenne ad unirsi alla Casa Blanca piuttosto che al Barcellona, mostrandosi gentile e volenteroso di averlo in squadra a tutti i costi. E non sono state parole al vento quelle dello Special One, che infatti lo lancia subito nell’undici titolare nonostante la giovane età.

Nel 4-2-3-1 mourinhano viene schierato come trequartista tra Cristiano Ronaldo e Di María, alle spalle di uno tra Benzema e Higuaín. Il tecnico portoghese è sempre stato uno stratega dal punto di vista tattico e se ne sono sempre elogiate le qualità difensive, ma di quel triennio al Real va ricordato anche quanto quella squadra fosse bella da vedere ed efficace sotto porta. Özil aveva un ruolo fondamentale in tutto questo: era la variabile impazzita di quel sistema, che faceva delle transizioni offensive il suo punto di forza. Il numero 23, poi diventato 10, spaziava su tutto il campo, venendo a prendersi il pallone per poi gestirlo sulla trequarti o sull’esterno, con il grande pregio di non rallentare mai l’azione ma anzi di cercare subito il compagno messo nella miglior posizione per segnare.

In quei tre anni il Real vince una Coppa del Re e una Supercoppa spagnola, gioca tre semifinali di Champions consecutive – non una cosa scontata se andate a rivedere le stagioni precedenti dei Blancos – e vince il campionato nel 2011/2012 con 100 punti e il record tuttora imbattuto di 121 gol segnati. Ed è proprio el mago de Oz la chiave di volta per i gol dei compagni. Un paio di questi, almeno, meritano di essere citati: il tacco geniale per Ronaldo in casa del Villarreal, e il lancio con cui serve a CR7 il gol decisivo per il Clásico vinto in casa del Barcellona e che sancirà la conquista della trentaduesima Liga della propria storia. A Madrid metterà a segno 73 assist, a contorno di 27 gol, in 159 presenze complessive.

Non è però tutto rose e fiori per Mesut, dato che iniziano a manifestarsi quei problemi che lo accompagneranno per tutta la carriera. Nella capitale spagnola Özil non si fa notare solo per le sue qualità, ma anche per una certa indolenza, negli allenamenti e in certe fasi della partita. Alle volte è pigro, svogliato e quasi fastidioso. Ha dato tanto al Real, ma avrebbe potuto dare tanto di più se solo gli fosse andato, e a farglielo notare fu l’uomo che tanto lo aveva voluto. Mou lo riprende più e più volte in campo finché non decide di mettere le cose in chiaro: durante l’intervallo di una partita contro il Deportivo, racconta lo stesso Diez, venne ripreso duramente dal tecnico per aver giocato la prima frazione di gioco con troppa sufficienza. Volano insulti da una parte e dall’altra, e il secondo tempo lo vedrà direttamente dallo spogliatoio, ma in futuro ringrazierà Mourinho per avergli aperto gli occhi su un lato così limitante del suo carattere.


Arsenal, un amore a metà

Sul gong del calciomercato estivo del 2013, l’Arsenal piazza il colpaccio: Mesut Özil è un nuovo giocatore dei Gunners, arriva per 47 milioni di euro e diventa in quel momento l’acquisto più costoso della storia del club. Le sette stagioni e mezza del nazionale tedesco all’ombra del Big Ben sono tutt’altro che lineari: grandi prestazioni e altrettante delusioni, trofei e fallimenti, una relazione così forte e malata che è poi andata appassendo lentamente, fino alla separazione. Ciononostante, si può affermare con certezza che Mesut Özil sia stato il giocatore più forte e rappresentativo dell’Arsenal negli anni Dieci.

L’accoglienza dei tifosi è subito caldissima. Da anni non si vedeva un giocatore così forte e affermato nel nord di Londra, soprattutto se consideriamo la difficile situazione del club in seguito alla costruzione del nuovo stadio. L’Arsenal non vince niente da quasi dieci anni, e i giocatori più forti vanno via: lui dev’essere il simbolo della rinascita.

Le prime annate sono senz’altro positive. Come da tradizione, infatti, la squadra di Arsène Wenger è bellissima da vedere, e quando il nuovo arrivato riesce a dialogare con i vari Wilshere, Cazorla, Ramsey e Sánchez è una gioia per gli occhi. A fine anno, pur collezionando qualche problema fisico, contribuisce alla conquista della zona Champions e alla vittoria della FA Cup, primo trofeo dopo anni di lunga gestazione.

A questa FA Cup se ne aggiungeranno altre due nei successivi tre anni, ma la miglior annata dell’ex Real è senz’altro la 2015/2016, caratterizzata dalla vittoria del Community Shield in agosto e dal raggiungimento del secondo posto in campionato alle spalle del magico Leicester di Ranieri. Questa stagione vede i Gunners raggiungere il loro massimo piazzamento dopo oltre un decennio, e Mesut fa registrare una media di 4,2 passaggi chiave a partita, a cui vanno aggiunti 6 gol e ben 19 assist, vale a dire soltanto uno in meno del record all-time della Premier League – detenuto a pari merito da Thierry Henry e Kevin De Bruyne.

Anche in questo caso, però, non mancano le critiche. Nonostante il ritorno alla vittoria i tifosi e gli addetti ai lavori si aspettano di più dalla squadra e dal suo giocatore simbolo, accusato di non dare abbastanza, chiamando in causa quella negligenza di cui lo accusava Mourinho. Wenger lo difende, affermando che il ragazzo si allena duramente ma che il linguaggio del corpo tradisce i più, e in parte è vero. La Premier League è inoltre un campionato basato perlopiù sulla fisicità dei giocatori, motivo per cui risaltano sempre di più le mezzali di quantità e gli esterni offensivi rispetto ai numeri dieci veri e propri.

La situazione per Mesut Özil cambia drasticamente nel triennio 2017-2019. La prima mancata qualificazione in Champions League e l’addio del leggendario Arsène Wenger trascinano il club in anni di assoluta mediocrità, che vedono in Özil il capro espiatorio numero uno, in virtù anche di un rinnovo contrattuale che lo rendono il giocatore più pagato dell’intera storia del club. Lui non è assolutamente esente da colpe. Capendo forse quale fosse il destino del club, gioca in maniera sempre più svogliata, e questo, insieme ad un numero sempre maggiore di infortuni, spingono il nuovo arrivato Unai Emery a preferirgli giocatori più dinamici. I due non si sono mai presi, e nemmeno dopo l’arrivo dell’ex compagno Mikel Arteta c’è spazio per rimettersi in gioco.

L’ultima partita con l’Arsenal è datata 7 marzo 2020, con i londinesi vincono 1-0 il derby contro il West Ham grazie un ad un gol di Alexandre Lacazette negli ultimi minuti. Chi fa l’assist? Lo sapete già. Dopo la sosta forzata causa COVID, Arteta decide di non puntare più su di lui, tanto da metterlo fuori rosa.

Il 24 gennaio del 2021 vola nella “sua” Turchia per unirsi al Fenerbahçe, dove starà solo un anno per poi terminare all’Istanbul Başakşehir. Gli ultimi anni di carriera, conclusa ufficialmente il 22 marzo di quest’anno, non raccontano niente del calciatore che è stato Özil, ritiratosi a 34 anni con il corpo ma da parecchio prima con la testa.


Tedesco quando vinco, turco quando perdo

Prima di concludere questa odissea, è obbligatorio parlare della sua gloriosa e complessa avventura in Nazionale. Özil nasce in una famiglia turca ed è sempre stato orgoglioso delle sue origini, ciononostante fa di tutto per giocare con la Mannschaft. Si presenta più volte ai vari consolati per ottenere la cittadinanza, e solo l’intervento della Federcalcio tedesca riesce a risolvere la situazione.

Nell’estate del 2009 partecipa da mattatore assoluto alla vittoria dell’Europeo Under-21 della Germania, e ancor prima viene convocato e fatto esordire in Nazionale maggiore in un’amichevole da Joachim Löw, che lo vede come giocatore simbolo del suo nuovo corso.

Convocato per i Mondiali del 2010, gioca subito titolare ed è forse il migliore della Germania nel corso del torneo, che per i tedeschi si conclude in semifinale con la Spagna; sono proprio le prestazioni in Sudafrica, in particolare quella nei gironi contro il Ghana in cui segna un gol bellissimo e decisivo per il passaggio del turno, a convincere il Real a bussare alla porta del Werder Brema.

La vera consacrazione arriva però durante la rassegna iridata del 2014, con il quarto trionfo per la Germania. Ai nastri di partenza i tedeschi sono tra i favoritissimi per la vittoria finale, e se riescono a mantenere le aspettative è grazie ad una squadra effettivamente fortissima che ha in Mesut Özil la propria gemma. Le prestazioni del mago teutonico al Mondiale lo consacrano come uno dei giocatori più forti al mondo.

La Germania è campione del mondo. Özil, il ragazzo di origini turche, è simbolo di un paese multiculturale che vive una nuova primavera. Ma le cose cambiano in fretta.

Quattro anni dopo, alla viglia del Mondiale russo, viene immortalato insieme a Gündoğan in uno scatto col presidente turco Erdoğan. La foto non viene ben vista per ovvi motivi né della Federazione né dal Paese in generale, e se il centrocampista del City ha spiegato il perché della sua decisione, il giocatore dell’Arsenal ha preferito restare in silenzio. Il Mondiale dei campioni in carica è disastroso, vengono infatti eliminati ai gironi e Özil viene criticato in maniera più aspra rispetto ai compagni di squadra. Le prestazioni deludenti e la foto in questione “legittimano” molti a insultarlo come quando era bambino. Non è più il volto della nuova Germania multietnica, ma semplicemente un immigrato turco. Dopo i numerosi insulti razzisti e il silenzio della Federazione, da cui non ha mai ricevuto appoggio, Özil decide di lasciare la Nazionale, facendo con un duro comunicato nel quale scrive: «Agli occhi di Grindel – il presidente della Federcalcio tedesca – e dei suoi sostenitori, sono tedesco quando vinciamo, ma quando perdiamo sono un immigrato». Non vestirà più la maglia della Germania.


Ciò che è semplicemente stato

Mesut Özil è stato un grandissimo giocatore, uno dei più belli da vedere degli ultimi anni, che ha vinto tanto da protagonista, giocando in un’epoca che non privilegia più giocatori di questo calibro. Possiamo e dobbiamo però dire che non è mai stato capito fino in fondo. Non è stato capito perché gli si sono state spesso date colpe non sue, come quella di non vincere una Premier League con uno degli Arsenal peggiori della storia, e perché sono sempre stati rimarcati i suoi aspetti negativi e molto meno si è detto sulla magia che ha donato, con quel tocco di palla e quella mente illuminata. Certo, c’è chi sostiene che potesse fare di più e senz’altro ha ragione, ma considerando la bellezza del suo gioco, i suoi trofei conquistati e i suoi 120 gol e 233 assist in carriera, non possiamo che ammirare Mesut Özil per il calciatore meraviglioso che è stato.


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