gol dell'ex

Gol dell’ex: esultare o no?

AR Riflessioni Slider

Il gol dell’ex è un grande classico del pallone, che beffardamente il dio del calcio espone ogni qual volta è possibile. Questo sadico evento prevede che vada in rete il giocatore che sfida la squadra della quale ha indossato in precedenza la maglia, a prescindere dal fatto che sia passato tra le fila del team quasi per caso o che abbia scritto lì pezzi importanti di storia. A tutto questo e alle emozioni contrastanti che ne conseguono, si accompagna da sempre una domanda: dopo un gol dell’ex, si esulta o no?


Gli opposti comuni

Di esempi di gol dell’ex con esultanze scatenate e di altri senza esultanza se ne potrebbero fare davvero a bizzeffe. Per trovare i due opposti che sono probabilmente tra i più famosi e rappresentativi, però, basta andare a Manchester, sponda City. In entrambi i casi gli Sky Blues sono la squadra che segna, e in entrambi i casi i gol dell’ex sono siglati ad una compagine londinese, rispettivamente l’Arsenal e il Chelsea.

Emmanuel Adebayor non si è mai contraddistinto per essere un tipo a modo, tranquillo e tutto d’un pezzo. Il personaggio in questione è davvero particolare, e tra campo e vita privata ne ha combinate e gliene sono successe di ogni. Ma on the pitch, come dicono in Inghilterra, il massimo del suo folle estro lo ha dato il 12 settembre 2009, in un Arsenal-Manchester City finito 4-2 per i padroni di casa. Il togolese si era trasferito all’ombra dell’allora City of Manchester Stadium nella sessione estiva di calciomercato, lasciando – dopo tre stagioni e mezza, 142 presenze, 62 gol e 22 assist, mica male – l’Arsenal di Wenger. In quella gara ha ricevuto, oltre a tre turni di squalifica per aver colpito in faccia Robin van Persie con una scarpata, diverse accuse dai suoi ex compagni di squadra, che andavano dagli schiaffi ai tentati calpestamenti. Tutto questo, però, è soltanto la punta dell’iceberg, perché la cosa più iconica avvenuta quel giorno è l’esultanza dopo il più classico dei gol dell’ex: percorre di corsa tutto il terreno di gioco da area ad area con una veemenza impressionante per andare a festeggiare la rete sotto la curva ospiti, dove erano presenti i suoi ex tifosi. Come sia possibile che non ci sia stata un’invasione dei sostenitori gunners rimane un mistero, così come quello che è passato per la sua testa durante quella lunga corsa.

L’altra faccia di questa medaglia è rappresentata da Frank Lampard, anche lui in gol con il Manchester City, in questo caso contro il Chelsea. Prima di firmare il contratto con i Citizens, Frankie ha scritto interi capitoli della storia dei Blues, totalizzando 648 presenze, 210 gol e 151 assist, accompagnate da grandi risultati conseguiti come le tre Premier League conquistate e soprattutto la Champions League del 2012. Il 21 settembre 2014, all’Etihad Stadium, il Manchester City incontra il Chelsea in campionato, Lampard entra in campo a dodici minuti dalla fine, con il risultato che è sull’1-0 per gli “avversari”. Gliene bastano appena sette per segnare il suo primo gol con la nuova maglia. Frank è visibilmente scosso, quasi dispiaciuto, non ci pensa nemmeno ad esultare, è come se avesse segnato un autogol. Alla fine della partita i tifosi ospiti lo omaggiano, né una firma su un contratto con un avversario né un gol possono sciogliere il legame insolubile che c’è tra lui e i suoi supporter.


Ma quindi si esulta o no?

Dipende. Come praticamente ogni cosa nel calcio e nella vita. Partendo dal presupposto che essendo l’esultanza o l’assenza di essa una conseguenza ai propri sentimenti, la scelta deve essere spontanea, ed è quindi legata a quello che il giocatore si sente di fare, al di là di cosa viene socialmente apprezzato o disprezzato, e questo andrebbe accettato. Detto questo, si può discutere su modi, tempi e altri mille fattori.

In linea di massima sono due i punti di vista che vanno per la maggiore: c’è chi reputa l’esultanza di un ex come irrispettosa, e chi no. A queste se ne aggiungono poi altre, come chi pensa che non esultare sia una mancanza di rispetto per la squadra nella quale il giocatore milita nel momento del gol – vedasi Fabio Quagliarella che ha rotto con i tifosi del Torino proprio per non aver esultato in una gara contro il Napoli.

Probabilmente è sbagliato reputare, per un gol dell’ex, tutte le esultanze irrispettose a prescindere, così come pensare che un calciatore debba privarsi della più grande gioia all’interno di una partita per dimostrare qualcosa ai suoi ex tifosi. Esultare può essere potenzialmente irrispettoso – se lo si fa in maniera provocatoria, ad esempio –, ma pretendere che l’esultanza non ci sia lo è sempre.

Quando Diego Perotti, all’ultima giornata della Serie A 2016/2017, all’ultimo minuto, segna contro il Genoa mandando la Roma ai gironi di Champions League, non si può pretendere che non esulti. La sua gioia in quel momento è alle stelle e ha il diritto di esprimerla. Questo lo rende irrispettoso? Per niente, Perotti ha sempre parlato bene del Grifone, lo ha sempre ringraziato per quello che gli ha dato e non può essere un’esultanza, in quel contesto, a cambiare le cose.

Inoltre, non esultare non deve essere una scelta che il calciatore è quasi obbligato a prendere per non essere giudicato negativamente, ma una scelta spontanea che si basa sull’affetto che si prova per l’ex squadra o al massimo su un messaggio che si vuole lanciare agli ex tifosi che magari non hanno preso bene il trasferimento – e anche qui calza a pennello l’esempio di Quagliarella.

Questo discorso vale sia per i tifosi che per i giocatori, ovviamente, non esultare a prescindere contro una ex squadra anche se si è felici per il gol, solo perché è prassi farlo, è ipocrita. Quante volte abbiamo visto calciatori che hanno giocato pochissimo con una squadra, non hanno né preso né dato nulla di significativo e hanno comunque evitato l’esultanza? Troppe.

Non esultare è un gesto nobile solo se lo si fa perché lo si sente davvero, come abbiamo visto per Lampard o come quando Gabriel Omar Batistuta, in maglia giallorossa, scoppiò in lacrime dopo aver segnato alla sua Fiorentina.

Altre scuole di pensiero sostengono che dipenda da come ci si è lasciati con il club e con i tifosi, nel senso che se i tuoi ex fan ti hanno riempito di fischi e insulti sei giustificato a vendicarti esultando, anche in maniera provocatoria. I calciatori, esattamente come noi, sono umani, e presi dalla rabbia possono reagire in maniera eccessiva, come abbiamo visto fare ad Osvaldo contro la Roma, a Bonucci contro la Juve o ad Icardi contro la Sampdoria, ma per un professionista sarebbe sempre meglio evitare certi atteggiamenti.

In linea di massima, un’esultanza non dovrebbe distruggere un buon rapporto, e nella maggior parte dei casi una non esultanza non può ricucirne uno già spezzato. Il rispetto per un club e una tifoseria si dimostra in altri modi: dando il massimo quando si indossano i loro colori e con la sportività sul campo e fuori quando non lo si fa più.

Leggi anche: Non esiste un GOAT del calcio