Sterling

Raheem Sterling ha dato più di quel che ha preso

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Cosa vi viene in mente quando pensate a Raheem Sterling? Se la risposta riguarda il suo unico stile di corsa che gli è valso il soprannome di ‘T-Rex‘ – simile a quello della madre, Nadine Clarke, ex atleta –, il controverso passaggio dal Liverpool al City nell’estate del 2015, o ancora l’M16 tatuato sulla sua gamba in memoria della scomparsa del padre – vittima di una sparatoria quando Raheem aveva solo un paio d’anni – non vi si può biasimare.

Ma il prodigio di Kingston è ben più di questo. La prematura scomparsa del papà e la coraggiosa idea di sua madre di lasciare la Giamaica e trasferirsi in Inghilterra per garantire ai figli un futuro migliore, sono solo alcuni degli episodi che hanno plasmato Sterling e i suoi tre fratelli.


Wonderkid

Raheem Shaquille Sterling – secondo nome dovuto al fatto che la nonna, al tempo residente negli Stati Uniti, volesse omaggiare il leggendario cestista O’Neal – muove i primi passi nelle giovanili del Queens Park Rangers, prima di essere acquistato all’età di sedici anni dal Liverpool, con cui nella stagione 2011/2012 del Campionato Riserve mette a referto 6 gol e 7 assist in sole 19 presenze.

Nella stessa annata, l’allora allenatore dei Reds Kenny Dalglish dà al giovane inglese la possibilità di debuttare con la prima squadra – diventando al tempo il secondo debuttante più giovane in Premier League nella storia del Liverpool a 17 anni, 3 mesi e 16 giorni. A questo spezzone di gara, ne verranno aggiunti altri due nella stessa deludente stagione.

Con l’arrivo di Brendan Rodgers in panchina, Sterling diventa subito un titolare, collezionando 42 presenze e mettendo a referto 2 gol e 6 assist. Fa così bene da ricevere la prima chiamata con la Nazionale inglese. Un problema all’anca lo terrà però lontano dai campi per circa tre mesi, impedendogli di dare una mano ai compagni di squadra nel finale di stagione. Tuttavia, ciò fa sì che il talento di Kingston possa iniziare al meglio l’annata 2013/2014, che lo consacrerà definitivamente come astro nascente della Premier League.


Il salto di qualità

Quella stagione è considerata tra le più dolorose nella storia del Liverpool. Non sono bastate ai Reds 16 partite consecutive senza sconfitta e 101 gol segnati per vincere una Premier League che mancava in bacheca dalla stagione 1989/1990. Un dolore atroce dato dalla scivolata di capitan Gerrard contro il Chelsea e dalla rimonta di tre reti subita sette giorni dopo contro il Crystal Palace, che consegnarono il titolo al Manchester City di Manuel Pellegrini.

Dal punto di vista delle prestazioni però, quella è un’annata da incorniciare: Luis Suárez è capocannoniere con 31 gol, seguito da Daniel Sturridge con 22 e Steven Gerrard con 13. Al giovane Sterling i 9 gol e 7 assist messi a referto gli valgono la convocazione al Mondiale di Brasile 2014, una rassegna tuttavia estremamente deludente: la Nazionale dei Tre Leoni si classifica all’ultimo posto del girone con un solo punto, alle spalle di Italia, Uruguay e della sorpresa del torneo Costa Rica.

La 2014/2015 per il Liverpool fu una stagione di transizione: sesto posto in campionato e uscita prematura sia dalla Champions League sia dall’Europa League. Ciononostante, Sterling riesce ad eccellere, raggiungendo per la prima volta la doppia cifra di gol e assist stagionali – 11 i centri, 10 i passaggi vincenti – e guadagnandosi la chiamata del Manchester City che, per portare a casa il talento di Kingston, sborsa ben 64 milioni di euro e manda su tutte le furie i tifosi Reds, alimentando lo sciame di critiche che il ragazzo porterà con sé per tutta la carriera.



Il prediletto di Pep

Se i primi due anni possono considerarsi di ambientamento per l’inglese, che non fa di certo male, ma allo stesso tempo non dimostra di valere la cifre sborsata dal club per lui, a partire dalla stagione 2017/2018 la sua carriera prende una piega senza precedenti: Guardiola lo trasforma in una macchina da gol e assist. Mette a referto 23 gol e 17 assist, vince la Premier League e la Coppa di Lega e si inserisce di prepotenza nel dibattito sull’esterno più forte d’Inghilterra assieme ad Hazard, Salah e Son.

È però durante l’annata 2018/2019 che Raheem sfoggia il meglio di sé. Nelle 51 partite con il Manchester City fornisce 17 gol e 11 assist in campionato, 3 gol e 2 assist in FA Cup e 5 gol e 3 assist in Champions League – tra cui una doppietta nel rocambolesco quarto di finale di ritorno contro il Tottenham, perso per i gol in trasferta –, ai quali si aggiungono i 10 gol e 9 assist in 12 partite con la nazionale inglese, per un totale di 60 contributi diretti al gol in 63 presenze.

Questo rendimento gli permetterà di conquistare tutte le competizioni nazionali a livello di club – Community Shield, FA Cup, EFL Cup e Premier League – e il prestigioso titolo di Giovane dell’Anno della PFA – l’associazione dei calciatori professionisti del Regno Unito.

A livello di rendimento, la stagione 2019/2020 inizia com’era terminata quella precedente, ma la pandemia da COVID-19 ferma tutte le principali competizioni per diversi mesi. Al ritorno in campo, nel silenzio degli stadi vuoti d’Inghilterra, Sterling termina l’annata con il suo record di marcature in campionato: 20 gol, dietro solo ad Ings (22), Aubameyang (22) e Vardy (23) nella classifica dei capocannonieri. In bacheca arriva “solo” la terza Coppa di Lega consecutiva, ma quella stagione viene ricordata per un altro motivo.

Nel quarto di finale di Champions League contro il Lione di Rudi Garcia, a cinque minuti dal termine e sul risultato di 1-2 per i francesi, Gabriel Jesus porta palla in area di rigore e, eludendo la marcatura di due difensori, mette in mezzo un pallone teso su cui si avventa Raheem Sterling, appostato al limite dell’area piccola. Il nativo di Kingston apre eccessivamente il piattone e spara sopra la traversa, tra lo sgomento dei compagni di squadra, dello stesso Raheem e di Pep Guardiola, che vede ancora una volta sfumare quel trofeo dalle Grandi Orecchie che per anni è stato la sua ossessione. Il Lione vince quella partita 1-3 per poi schiantarsi contro i futuri campioni del Bayern Monaco in semifinale, ma se Sterling avesse portato i suoi sul 2-2? Come sarebbe cambiata la storia tenendo in considerazione che, in via straordinaria, quell’edizione di Champions League vide le squadre arrivate alla fase finale scontrarsi in gara secca? Tutto quello che ha fatto di buono, mediaticamente, è cancellato da questo errore.


Euro 2020 da protagonista

La stagione 2020/2021, dati gli standard ormai elevatissimi e le critiche sempre più rumorose, ha un sapore amaro e da molti è reputata sottotono. La verità è che Sterling segna 14 gol, serve 12 assist, alza al cielo la sua terza Premier League e la sua quinta Coppa di Lega – nella storia della competizione, solo Fernandinho e Agüero ne hanno vinte di più – e raggiunge per la prima volta la finale di Champions League, persa contro i rivali londinesi del Chelsea. Il momento di redenzione – più mediatica che calcistica – arriva però immediatamente: in estate si giocano i primi Europei itineranti della storia e la Nazionale inglese di Gareth Southgate viaggia sull’onda dell’entusiasmo – dato che molte partite, in particolare quelle finali, vengono disputate su suolo amico.

Già a partire dal girone, Sterling è mattatore assoluto: l’Inghilterra vince contro Croazia e Repubblica Ceca grazie a due gol del gioiello di Kingston e va agli ottavi di finale contro l’ostica Germania. In una partita complicata, segnata da numerose occasioni per entrambe le parti, a un quarto d’ora dalla fine Sterling porta avanti i suoi sul cross basso e teso di Luke Shaw. Harry Kane chiude i giochi dieci minuti dopo. L’Inghilterra accede dunque ai quarti battendo la Germania nella fase ad eliminazione diretta di un torneo internazionale dopo oltre mezzo secolo, ossia dalla finale del Mondiale 1966.

Nel turno successivo battono l’Ucraina di Shevchenko con un netto 4-0, gara nella quale risulta imprendibile e serve l’assist per il gol di Kane che sblocca e indirizza la partita, mentre in semifinale, contro la Danimarca, è decisivo anche senza entrare nel tabellino: prima provoca l’autogol di Kjaer e poi si procura il rigore che porta i Three Lions in finale.

Il sogno inglese, tuttavia, si interrompe proprio sul più bello: nell’atto conclusivo della competizione, contro l’Italia di Roberto Mancini, Luke Shaw aveva illuso i britannici portando la squadra di casa in vantaggio, ma il gol di Bonucci prima e la lotteria dei rigori poi risultano fatali.

A livello individuale, le prestazioni di Sterling gli hanno comunque permesso di entrare nella Top 11 del torneo, al fianco dei compagni di squadra Kyle Walker e Harry Maguire. Ma mediaticamente, ancora una volta, non basta. Gli errori decisivi sono stati di Rashford, Sancho e Saka, tre ragazzi giovanissimi, e Sterling, ormai leader del gruppo, è preso di mira da giornali e opinionisti per non aver calciato al posto loro. Come spesso è capitato, però, si tratta di un’accusa infondata: come spiegato in questo articolo di Rivista Undici, furono Southgate e il suo staff a scegliere i rigoristi, basandosi sui big data.


L’addio al City e la complicata avventura londinese

L’annata 2021/2022 è ancora una volta agrodolce per Sterling e per il suo City: da una parte, all’ultima giornata, la doppietta di Gündoğan permette agli Sky Blues di conquistare il quarto campionato in cinque anni, ma dall’altra, ancora una volta, c’è un tragicomico epilogo in Champions League, nella semifinale persa in rimonta contro il Real Madrid.

Nell’estate seguente, gli acquisti di Erling Haaland e Julián Álvarez rendono il parco attaccanti del Manchester City più affollato di quanto già non fosse. Per questo motivo Sterling, dopo sette stagioni con la maglia del City, in cui ha collezionato 12 trofei nazionali e 226 contribuzioni dirette al gol in 339 presenze, ha deciso di lasciare la squadra di Guardiola e accettare l’offerta del Chelsea, che investe per lui 56 milioni di euro.

La gestione Boehly è ricchissima e dispendiosa, e porta a Londra tantissimi giocatori, ma il calcio, si sa, non si gioca solo con i soldi: il gioco non c’è e i risultati non arrivano. Il Chelsea termina la stagione 2022/2023 al dodicesimo posto in Premier League, il peggior piazzamento degli ultimi 27 anni.

A far parlare dei Blues sono solo gli acquisti salati e le sconfitte al limite del ridicolo, e in un mare tanto burrascoso anche uno navigato come Sterling ne fa le spese: peggior rendimento G/A degli ultimi dieci anni – 9 gol e 4 assist in 38 partite –, venendo sostituito 24 volte – record in carriera.

Anche la stagione 2023/2024 è cominciata in maniera altalenante per i londinesi, ma con Pochettino alcune cose sembrano migliorate e Raheem The Dream sembra essere uno dei pochi punti fermi dell’argentino: nei suoi occhi si nota la grinta e la determinazione di un ragazzo che, arrivato alla soglia dei trent’anni, sa che non ha tempo da perdere.

Raheem Sterling è da sempre un calciatore troppo bistrattato, sia dai media che dall’opinione pubblica. Non è un esterno che salta l’uomo come Vinícius o che segna quanto Mbappé, ma se in carriera puoi vantare di aver giocato una finale di un Europeo e una di Champions League, di aver vinto quattro Premier League da protagonista e di aver segnato oltre 100 gol nel campionato più importante d’Europa – solo 34 giocatori nella storia del calcio inglese hanno raggiunto questo traguardo –, meriti di essere celebrato come uno dei calciatori più importanti della moderna Premier League.

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