Joaquín Correa è un calciatore strano, particolare, forse unico nel suo genere: ha la capacità di far innamorare i propri tifosi in un lampo e allo stesso momento di far scoprire loro nuovi modi per imprecare, il tutto nella stessa stagione, nella stessa partita, nella stessa azione.
Nato a Juan Bautista Alberdi, dopo aver trascorso sei anni tra le file del River Plate si accasa nelle giovanili dell’Estudiantes. Con il club di La Plata svolge tutta la trafila delle giovanili fino all’esordio in prima squadra avvenuto a soli 17 anni nella vittoriosa trasferta contro il Banfield, subentrando ad un’altra conoscenza del calcio nostrano: Duván Zapata. In breve tempo Correa diventa uno dei giovani più promettenti del campionato argentino e si impone tra i titolari dei Pincharratas, tanto da attirare gli interessi di vari club europei. A spuntarla è la Sampdoria, che si impossessa del cartellino del giocatore per circa 8 milioni di euro nel gennaio del 2015.
A Genova il ragazzo non riesce però a imporsi. Di difficile collocazione tattica e dal rendimento molto altalenante, il giovane argentino non esprime a pieno il suo talento. In un anno e mezzo le presenze saranno 31, i gol appena 3, ma invece che per le sue giocate passa agli onori della cronaca per i suoi errori sotto porta – tallone d’achille che lo accompagna tutt’oggi –, tra tutti, quello a dir poco fantozziano contro l’Inter a Marassi.
Ciononostante, le sue capacità non passano inosservate a tale Ramón Rodríguez Verdejo, noto ai più come Monchi, DS del Siviglia, che acquista il giocatore per circa 13 milioni di euro – più 5 di bonus legati ad un’eventuale cessione futura, che arriveranno. Anche in Spagna Correa però, pur disputando due buone stagioni – segna 15 gol e fornisce 10 assist ai compagni, tra cui anche i primi in Champions League –, non riesce mai a esprimersi con continuità ad alti livelli, anche perché schierato un po’ in tutti i ruoli del reparto offensivo, dalla prima punta al trequartista, transitando anche per la fascia sinistra. Motivo per il quale, nell’estate del 2018, arriva un’altra cessione, di nuovo in Italia, questa volta sulla sponda biancoceleste del Tevere.
Alla Lazio Correa si trova subito in una realtà particolare: la squadra ha perso l’accesso alla Champions League nello scontro diretto dell’ultima giornata del campionato precedente – quando l’ha presa Vecino, per intenderci –, e a dover sostituire, nel campo e nelle menti dei tifosi, il partente Felipe Anderson. Gli inizi non sono incoraggianti: Joaquín vede poco il campo – anche se comunque mette a segno due gol nelle prime 9 di campionato – e gli uomini di Inzaghi vanno avanti in maniera altalenante.
La svolta arriva il 25 novembre 2018. All’Olimpico si gioca contro il Milan, i rossoneri passano in vantaggio a dieci minuti dal termine grazie ad un autogol di Wallace, ma a tempo scaduto, in seguito ad un lancio in avanti dalla difesa, Correa controlla un rimpallo vagante in area, palleggia e tira al volo, trovando un grande gol.
La stagione prende una svola positiva per l’attaccante argentino, che inizia a giocare con continuità. La Lazio, però, fatica a trovare in campionato i risultati necessari ad una qualificazione europea, e chiude la sua Serie A con un deludente ottavo posto, dopo aver perso tra mille polemiche lo scontro diretto dell’ultima giornata contro il Torino – gara nella quale Correa non c’era causa squalifica per somma di ammonizioni.
Parallelamente al campionato, però, la squadra di Inzaghi ha intrapreso un grande percorso in Coppa Italia, eliminando il Novara agli ottavi ma soprattutto l’Inter ai quarti, dopo una sfida travagliatissima finita ai rigori, e il Milan in semifinale. Quest’ultima sfida in particolare – molto accesa anche a causa di alcune dichiarazioni di Acerbi che portarono ad un episodio di scherno nei suoi riguardi da parte di Kessié e Bakayoko, dopo la vittoria dei rossoneri in campionato –, viene decisa proprio da un gol di Joaquín Correa, che porta i biancocelesti in finale.
L’atto conclusivo vede la squadra di Simone Inzaghi contrapposta alla bella e sorprendente Atalanta di Gian Piero Gasperini, e a chiudere definitivamente i giochi all’ultimo minuto in favore della Lazio, ancora una volta, dopo il vantaggio realizzato da Sergej Milinković-Savić, ci pensa proprio Correa, per il 2-0 finale.
Il numero 11 segna un gol spettacolare, nato sugli sviluppi di un calcio d’angolo per gli orobici spazzato lontano da Felipe Caicedo, con l’argentino che si invola in contropiede verso la porta avversaria per oltre cinquanta metri, e, dopo aver fatto secco Remo Freuler, salta Pierluigi Gollini e infila il pallone in rete.
Grazie al gol vittoria e alle convincenti prestazioni disputate in stagione, Correa diventa di fatto titolare dell’undici di Inzaghi al fianco di Ciro Immobile, tant’è che la stagione seguente, nonostante un infortunio che ne limita il minutaggio nella fase finale, sfiora la doppia cifra in campionato e riesce a imporsi come uno dei giocatori più talentuosi in Italia, riconquistandosi anche la chiamata della sua Nazionale – e di alternative in attacco l’Argentina non ne ha di certo poche.
Joaquín è diventato in poco tempo un perno della squadra di mister Inzaghi, rivelandosi il partner perfetto per Immobile, non è un caso che l’attaccante torrese abbia vinto la Scarpa d’Oro nella stagione 2019/2020, per la quale è stato decisivo anche il supporto dell’argentino e come l’allenatore laziale gli abbia per certi versi cucito la squadra addosso.
All’inizio della stagione 2018/2019 la Lazio era solita schierare Immobile unica punta, sostenuto da Luis Alberto, che aveva il compito di spaziare su tutta la trequarti, ma con risultati inferiori rispetto a quelli dell’anno precedente: Sergej Milinković-Savić non viveva un gran momento di forma, così come lo stesso rifinitore iberico, col risultato di lasciare Immobile troppo solo là davanti. L’intuizione di Inzaghi è quella di arretrare Luis Alberto e di fargli fare raccordo tra centrocampo e attacco, e di schierare Correa al fianco dello stesso Immobile: i due, che per caratteristiche si amalgamano alla perfezione, serviti da due centrocampisti con piedi sopraffini quali i sopracitati, riescono a far cambiare ritmo alla Lazio, come abbiamo visto nelle ultime due stagioni.
La stagione successiva è ancor più esemplificativa nel raccontare che giocatore è Correa. A voler essere onesti, la sua annata, a livello di prestazioni individuali non è brillantissima visto che in molte partite sembra staccare quasi volontariamente la spina, come se non avesse voglia, ma ciononostante si tratta della sua miglior stagione a livello realizzativo, con 11 marcature tra campionato e Champions League, togliendosi lo sfizio di segnare un gol, e che gol, ai campioni in carica del Bayern Monaco. In Italia però, delle 8 reti realizzate, ben 5 sono arrivate tra aprile e maggio. Questo dimostra ancora una volta tutto il suo potenziale straordinario talento, ma al contempo fa aumentare il rimpianto di averlo visto come spettatore non pagante per buona parte della stagione.
La partita dell’anno è sicuramente Lazio-Milan 3-0 dello scorso 26 aprile nella quale il numero 11 si scatena, mostrando il meglio di sé e dimostrando di avere un certo feeling con lo spettacolo, quando i suoi avversari vestono rossonero: Joaquín segna 2 gol, uno più bello dell’altro. Il primo lo vede involarsi verso la porta, in seguito ad uno scambio con Immobile, con l’argentino che, al cospetto di Donnarumma, lo mette a sedere con una facilità disarmante, prima di concludere a rete col sinistro, calciando peraltro malissimo, quasi trascinando il pallone – se avesse sbagliato, su Wikipedia avrebbero sostituito il video dell’azione alla voce “caratteristiche tecniche”.
Il secondo gol invece ci racconta indirettamente delle sue origini. Correa sfida Tomori nell’uno contro uno, tiene il pallone tra i piedi e muove le gambe come se da un momento all’altro dovesse cambiare direzione, va piano, piano, fino a quando sposta il pallone sul destro con uno scatto velocissimo, facendo perdere l’equilibrio al malcapitato difensore inglese, prima di concludere con forza sul primo palo. Ha ballato un tango, come quelli che si ballano nella sua città in ogni locale, con questi repentini cambi di direzione. Lento, lento, lento, scatto. Gol.
A fine stagione si guadagna la convocazione con la sua Nazionale per la Copa América, nella quale gioca solo le prime tre partite da subentrato, che però gli bastano per conferirgli il titolo di Campeón de América, visto che la sua Argentina trionfa nel torneo, 28 anni dopo l’ultimo successo continentale.
Quando si parla di Correa si parla di un giocatore tanto eccezionale quanto banale è il suo soprannome, el Tucu – essendo lui nato nella provincia di Tucumán –, e per uno così forse ci si poteva sprecare un po’ di più, come Buffa da sempre ci insegna. Si tratta di una seconda punta atipica: molto alto per il ruolo di spalla del bomber di riferimento, ben 188 cm, ai quali però riesce ad abbinare una gran velocità, sia in accelerazione che in allungo, e grandissime doti tecniche, che lo rendono un unicum del campionato italiano. Ha la capacità di proteggere palla al cospetto di difensori molto forti fisicamente e al contempo di superarli in dribbling o in velocità, permettendo alla sua squadra di giocare in verticale e di sfruttare i suoi strappi per eventuali contropiedi o per lanci in profondità, fino a servire l’assist per la punta o concludere direttamente a rete.
La cosa che più impressiona è la rapidità con cui in un istante riesce a girarsi e puntare subito l’avversario, che prontamente salta secco o con un’accelerazione o con una giocata delle sue, riuscendo a rimanere sempre lucido e a tenere botta alle spinte di chi cerca di fermarlo. Quando il Tucu si accende sono dolori, ma dovrebbe farlo con più costanza per passare da variabile impazzita a certezza della sua squadra e della Nazionale albiceleste. Al momento ci dobbiamo accontentare di sprazzi illuminanti come quello che ha portato al gol di Felipe Caicedo nel match d’andata dell’ultima stagione di Serie A contro la Juventus, in cui se non fosse stato per l’emergenza sanitaria avrebbe fatto crollare la nord, ma potenzialmente potrebbe fare molto di più.
Correa supera con un tunnel Bentancur, nasconde palla in un fazzoletto a Rabiot e difende il possesso su Demiral prima di scaricare all’attaccante. Classe pura alla sua massima espressione.
La verità è però che al Tucu manca ancora uno step per diventare grande e potersi consacrare come giocatore di livello: il gol. Correa è un giocatore incredibile fino a quando non si trova di fronte al portiere. Non sempre, ma troppo spesso il meccanismo si inceppa, sembra quasi che nella sua testa qualcuno prema il tasto reset e che quindi non sappia più cosa fare, andando a scegliere l’opzione più sbagliata. Ha capacità fuori dal comune che gli permettono di superare gli avversari quando e come vuole ma al momento del tiro non concretizza. Fosse in grado anche solo di capitalizzare un terzo delle palle gol che ha a disposizione sarebbe un attaccante da almeno 15 gol a campionato, che uniti alle sue peculiarità lo renderebbero uno dei più ambiti sul mercato, e invece o sbaglia a direzionare il tiro, o nella scelta di tempo, o nel dosaggio della forza per concludere. Tutto questo rende in sostanza Joaquín un calciatore potenzialmente devastante, che alla fine si perde in un bicchier d’acqua versato da lui stesso.
Nella sua carriera Correa ci ha ampiamente dimostrato di essere un talento purissimo, un gioiello, che però non ci ha ancora mostrato quello che realmente è capace di fare; un giocatore che potrebbe spazzare via il mondo intero, ma che pare non averne proprio voglia. Può e deve migliorare mentalmente e caratterialmente, lavorando sulla costanza e sulla freddezza sotto porta, ma se non riuscisse a fare quest’ultimo step potremmo rimanere col rimpianto di una barra di caricamento che si ferma al 90%.
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