Nella parte settentrionale del proprio territorio, la Spagna ospita i Paesi Baschi, una comunità autonoma di circa due milioni di abitanti, caratterizzata da una cultura e da tradizioni profondamente radicate alla propria regione, verso la quale vi è un fortissimo senso di appartenenza. A definire questa identità sono elementi come la lingua euskera – parlata da oltre 750.000 persone –, la cucina locale – incentrata in gran parte sui prodotti del mare, data l’apertura del luogo sul Mar Cantabrico – ma anche, e soprattutto, il calcio. Quest’ultimo è rappresentato a livello nazionale da squadre come l’Athletic Bilbao, la Real Sociedad, il Deportivo Alavés e l’Eibar, per citare quelle che negli ultimi anni hanno militato nella massima divisione del calcio spagnolo.
Tutte le squadre basche menzionate, pur con caratteristiche diverse, mantengono un forte legame con i propri tifosi e con la regione, ma soltanto una di queste ha portato il concetto di appartenenza all’estremo anche sul campo da gioco: l’Athletic Bilbao – o meglio, Athletic Club, come viene chiamato dai propri aficionados. I Lehoiak hanno come principio fondante una politica unica nel panorama calcistico mondiale: tesserare esclusivamente giocatori baschi. Per questo motivo, l’Athletic è non solo una delle più affascinanti realtà del calcio globale, ma anche quello che può essere definito il più grande miracolo calcistico mai visto nella storia di questo sport.
La nascita della filosofia dell’Athletic Bilbao
Nonostante la forte componente romantica che oggi circonda la loro filosofia, la genesi della scelta di utilizzare solo giocatori baschi è legata a motivi meno sentimentali di quanto si possa pensare. Come moltissime delle squadre in giro per il mondo, anche l’Athletic è nato grazie all’influenza degli inglesi – in questo caso, marinai e operai britannici attivi nel Golfo di Biscaglia –, ed è per questo che il loro nome – fatta eccezione per il periodo della dittatura franchista, quando temporaneamente venne modificato in Atlético per conformarsi alla censura linguistica del regime fascista, che bandivano le parole straniere – ha sempre conservato evidenti radici anglosassoni.
A cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, era comune che i lavoratori inglesi residenti a Bilbao prendessero parte alle gare della squadra, così come accadeva in altri club spagnoli. Tuttavia, durante la Copa del Rey del 1911, si verificarono episodi controversi: Real Sociedad e Barcellona furono squalificate per aver schierato calciatori inglesi non regolarmente tesserati. In risposta, le due squadre accusarono a loro volta l’Athletic di irregolarità simili. Nonostante ciò, il club di Bilbao riuscì a completare e vincere il torneo.
Nel frattempo, a Madrid, un gruppo di studenti baschi decise di fondare una filiale dell’Athletic, dando vita all’Athletic Club de Madrid, che in seguito avrebbe preso la propria autonomia diventando l’attuale Atlético Madrid. Anche questa nuova realtà generò alcune controversie: in un periodo in cui mancavano regolamenti chiari come quelli odierni, non era raro che alcuni calciatori dell’Athletic Club de Madrid scendessero in campo anche con la squadra di Bilbao, generando polemiche tra le avversarie.
Tutto ciò portò nel 1912 a una decisione cruciale: per evitare ulteriori accuse e fraintendimenti, l’Athletic stabilì che avrebbe schierato solo giocatori baschi.
Lo sviluppo politico, economico e sociale della filosofia
Nel corso della sua storia ultracentenaria, l’Athletic ha modificato e ammorbidito la propria filosofia, rendendola più flessibile e ampliando le possibilità di selezione per la prima squadra.
Le regole che la società si è autoimposta restano rigide, ma non del tutto chiare, motivo per il quale ci sono stati negli anni dei casi che hanno sollevato qualche polemica all’interno della tifoseria. In linea generale, però, si può affermare con certezza che possono vestire la maglia dell’Athletic Bilbao i calciatori nati nei Paesi Baschi – inclusi i territori dell’Euskal Herria al di là dei Pirenei – e quelli formatisi calcisticamente nel vivaio dell’Athletic o in quello di altre squadre basche.
Un esempio limite recente è quello di Aymeric Laporte, nato in Francia ma con radici basche – i suoi bisnonni erano originari della regione – e cresciuto calcisticamente nella cantera del club. Eccezioni come questa restano comunque rare. La quasi totalità dei calciatori dell’Athletic proviene dai Paesi Baschi e, in particolare, dal vivaio di Lezama, cuore pulsante del progetto sportivo del club. Circa l’80% della rosa, in media, è composta da giocatori cresciuti lì, immersi fin da piccoli nei valori identitari della società.
Questa filosofia ha influenzato tantissimo anche gli aspetti economici e finanziari della squadra. Potendo contare su un bacino di reclutamento molto limitato, l’Athletic investe massicciamente nelle proprie strutture, e quando decide di cedere un giocatore, lo fa a caro prezzo. Negli ultimi anni, il club ha realizzato cessioni di altissimo profilo: Javi Martínez al Bayern Monaco per 40 milioni, Ander Herrera al Manchester United per 36, il già citato Laporte al Manchester City per 65 e, soprattutto, Kepa Arrizabalaga al Chelsea per 80 milioni di euro – cifra che lo ha reso il portiere più costoso della storia del calcio.
È inoltre importante sottolineare che l’intento dell’Athletic non è quello di promuovere un’idea di superiorità culturale o etnica. La scelta di tesserare solo giocatori baschi nasce dalla volontà di preservare l’identità del club e mantenere un forte legame con il territorio, in un’epoca in cui la globalizzazione ha reso le squadre sempre più omogenee. Nonostante ciò, nel corso degli anni non sono mancate le accuse di razzismo, anche a causa della totale assenza di giocatori neri nella rosa fino ai primi anni Duemila.
Va però considerato che la presenza di persone nere nei Paesi Baschi è stata storicamente molto bassa, e che diversi calciatori – a prescindere dal colore della pelle – sono stati esclusi in passato per non rispondere ai criteri territoriali, non per motivi razziali. La polemica è stata infine smentita dai debutti in prima squadra di Jonás Ramalho – padre angolano e madre basca – e dei fratelli Iñaki e Nico Williams – nati e cresciuti a Bilbao da genitori ghanesi.
Alcuni dei giocatori più rappresentativi
Gli acerrimi rivali della Real Sociedad hanno condiviso a lungo una regolamentazione simile a quella dei “cugini”, ma l’hanno abolita nel 1989, quando la società decise di aprirsi al mercato internazionale per poter ingaggiare calciatori stranieri di maggiore qualità tecnica. L’Athletic, invece, non ha mai tradito la propria filosofia, e nonostante questo ha saputo esprimere nel tempo numerose figure di spicco.
Tralasciando i calciatori attualmente in rosa, e senza andare troppo indietro nel tempo, basti pensare a talenti del calibro di Fernando Llorente, Andoni Iraola, Raúl García, Aritz Aduriz e Iker Muniain. Mentre guardando più lontano nel passato, emergono nomi leggendari come Joseba Etxeberria, Julen Guerrero, Ismael Urzaiz, Manuel Sarabia, Daniel Ruiz-Bazán, Txetxu Rojo, José Ángel Iribar – giocatore con più presenze con la maglia zurigorriak – e Agustín Gaínza. Ma i futbolariak più iconici della storia dell’Athletic sono probabilmente Telmo Zarra e Rafael Moreno Aranzadi, detto Pichichi.
Per comprendere la grandezza storica di Zarra basta guardare ai suoi numeri: è il miglior marcatore di sempre dell’Athletic con 335 reti, ma la sua leggenda va oltre i confini del club. Per oltre sessant’anni è stato il massimo cannoniere nella storia della Liga, prima di essere superato soltanto da due alieni come Lionel Messi e Cristiano Ronaldo. Ancora oggi detiene invece il record di miglior marcatore di sempre in Copa del Rey, con 81 gol in 74 partite, e al momento del suo ritiro vantava anche il primato di reti con la Nazionale spagnola, con 20 gol in altrettante presenze.
Pichichi, invece, è una figura più legata alla mistica dell’Athletic. Stella dell’attacco biancorosso a inizio Novecento, morì prematuramente a soli 29 anni a causa di un attacco di tifo, lasciando sotto shock il mondo del calcio spagnolo. Quando, nella stagione 1952/1953, il quotidiano sportivo Marca decise di istituire un trofeo da assegnare al miglior marcatore della Liga, venne scelto proprio il suo soprannome per intitolare il premio. Inoltre, quattro anni dopo la sua morte, l’allora presidente Ricardo Irezabal commissionò un busto in suo onore, collocato all’interno del San Mamés. L’opera, realizzata dallo scultore Quintín de Torre, è diventata un simbolo della tradizione del club: ancora oggi, ogni volta che una squadra gioca per la prima volta nello stadio dell’Athletic, il suo capitano depone un mazzo di fiori ai piedi del busto, rendendo omaggio alla leggenda.
I risultati miracolosi
Considerando i limiti che da sempre si sono autoimposti e i risultati raggiunti, l’Athletic si può considerare il più grande miracolo calcistico mai visto nella storia di questo sport, come dicevamo nell’introduzione.
I baschi sono infatti il terzo club spagnolo per numero di titoli ufficiali, dietro Real Madrid e Barcellona, e insieme a queste due sono l’unica squadra ad aver disputato tutte le edizioni della Liga, sin dalla sua fondazione nel 1929, senza mai retrocedere.
Nel dettaglio, l’Athletic ha vinto 8 campionati – meno solo di Real, Barça e Atlético –, l’ultimo nel 1984. Fino al 1998, quando è stato superato dal Barcellona, è inoltre stato il club con il maggior numero di Copa del Rey in bacheca (24, 25 per il club che conta la Copa de la Coronación del 1902) – oggi sono secondi proprio dietro ai blaugrana.
Ma i grandi risultati non appartengono solo al passato. Dalla stagione 2008/2009, l’Athletic ha disputato 11 finali. In particolare, nel 2011/2012, sotto la guida di Marcelo Bielsa, la squadra raggiunse la sua seconda finale europea – la prima fu nel 1977, in Coppa UEFA –, al termine di un cammino esaltante che vide l’eliminazione, tra le altre, del Manchester United di Sir Alex Ferguson.
Una delle vittorie più belle ed emozionante nella storia dell’Athletic
Un palmarès del genere e la costante presenza ai vertici del calcio spagnolo sono già di per sé risultati straordinari, ma diventano fenomenali se si considera che l’Athletic pesca i propri giocatori da un bacino estremamente ristretto, in confronto a qualsiasi altra squadra professionistica al mondo.
Per un tifoso dell’Athletic, però, la vera vittoria è la filosofia stessa del club, il resto è tutto di guadagnato. In un sondaggio recente, circa il 75% dei sostenitori ha dichiarato che preferirebbe retrocedere piuttosto che abbandonare questa tradizione. Nessuna coppa potrà mai ripagare l’emozione di una serata alla Catedral di San Mamés, quando oltre 50.000 euskotarrak cantano con fierezza il proprio inno di fronte ai colossi di Spagna e d’Europa, consapevoli e orgogliosi del fatto che anche gli undici in campo fanno parte della loro grande famiglia.
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