Guti

Guti, il ritratto della bellezza malinconica

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Dovesse correlarsi ad una de ‘Le Quattro Stagioni‘ di Antonio Vivaldi, si avvicinerebbe alle meravigliose, morbide ma a tratti infingarde note dell’Autunno, modellate dal compositore italiano del ‘700. Un po’ come il suo incedere in campo. Grazioso, elegante e romantico, però limitato talvolta da una sorta di accidia, di menefreghismo verso l’affermazione nell’Olimpo calcistico, che ne ha frenato la sua ascesa nella stratosfera internazionale dei migliori calciatori dei primi anni 2000. L’oggetto del “desiderio” in questione è José Maria Gutiérrez Hernández, meglio noto come Guti.



Nel 2007, il presidente del Real Madrid, Ramón Calderón, definì Guti «una promessa di 31 anni» davanti a una platea di universitari. Avesse ragione non tocca a me dirlo, tuttavia risulta quasi stridente etichettare il centrocampista mancino come un prospetto mai sbocciato, d’altra parte si sta disquisendo su un giocatore che in carriera ha indossato la casacca delle Merengues in 387 occasioni nella Liga, siglando 46 reti e 64 assist, oltre a 97 apparizioni totali in Champions League – considerando anche le ultime due stagioni al Beşiktaş prima del commiato al calcio – condite da 16 reti e 18 assistenze. Forse la parabola di Guti Haz non ha toccato l’acme raggiunto da campioni connazionali e contemporanei come Xavi e Iniesta, però il numero 14 del Real Madrid ha scritto capitoli rilevanti nell’arco della stellata storia dei Blancos.

Guti nasce il 31 ottobre del 1976 a Madrid, e dedicherà anima e corpo alla compagine del distretto madrileno di Chamartín. Prima la trafila nelle giovanili delle Merengues dal 1986 al 1994, da lì un anno al Real Madrid C – formazione non più esistente –, un’altra annata al Real Madrid B e nel 1996, a 20 anni, il lancio tra i grandi, nel team più blasonato e vincente del mondo.

Secondo la scheda FIFA e UEFA, Guti è stato un centrocampista centrale mancino, ma in realtà lo spagnolo può tranquillamente essere ricordato come un freestyler che dava del tu al pallone con il suo piede sinistro fatato. Un talento inestimabile, marchiato da una visione di gioco a dir poco proibita agli esseri umani. Eppure, al Real Madrid ha dovuto confrontarsi con una concorrenza che nei celeberrimi anni dei Galacticos ne ha minato le sue sicurezze, tecniche e psicologiche. Elogi, per i suoi palloni zuccherati agli attaccanti, tuttavia tanti rimpianti, per quell’animo molto spesso bolso, che in campo lo rendeva incapace di garantire continuità di titolarità al cospetto dei vari Beckham, Zidane o Figo.



Svezzato nelle giovanili come seconda punta che modellava gemme individuali e per i compagni, Guti debutta in prima squadra nel 1995. A gettarlo nella mischia in quell’anno burrascoso per i Blancos – ben tre timonieri sulla panchina del Bernabéu in nemmeno 365 giorni – è Jorge Valdano. Due anni più tardi, giungono per il biondo madrileno forse i flash principali impressi nella memoria collettiva riguardo la sua carriera. Sotto il tutorato di Jupp Heynckes, tecnico nel gotha degli allenatori più vincenti del calcio, Guti è come un balsamo rinfrescante e dalla panchina è spesso decisivo come uomo di lotta e di governo a centrocampo. È il bimbo di casa al Bernabéu e conquista Liga e Supercoppa spagnola.

L’anno seguente, in alcune occasioni, confeziona l’abito da festa e serve i compagni con palloni al bacio, contribuendo alla memorabile vincita della Champions League del 1998 e della Coppa Intercontinentale. Nonostante la giovane età di Guti, che non ha ancora 22 anni, Heynckes gli ritaglia un buono spazio soprattutto nella Liga, dopodiché il manico del Real passa in mano a un altro mister che è un Gulliver della materia, vale a dire Vicente del Bosque. Con l’allenatore dominatore del mondo nel 2010 alla guida della Roja, Guti arricchisce il bottino individuale di sei reti in 28 presenze nella stagione 1999/2000, concorrendo spesso nell’undici titolare e alzando la seconda Coppa dei Campioni nel giro di tre anni.

Era l’alba dell’epopea Delbosquiana, che si concluderà nel 2003 dopo l’ennesima Champions vinta dal Real nel 2002, grazie al meraviglioso gol di Zidane in finale contro il Leverkusen. Ma è nell’annata 2000/2001 che si sublima il talento di Guti dal punto di vista del fatturato. Il prodotto della cantera delle Merengues, a volte già capitano del super team del Chamartín a nemmeno 25 anni, in quella stagione piazzò 14 gol in campionato, destreggiandosi da mezzapunta e sfruttando l’infortunio occorso a Morientes.

Nell’annata 2000/2001 Guti ha sancito una tripletta contro il Villarreal, questo il primo gol, una perla al volo di clamorosa bellezza.




Vicente del Bosque apprezzava a pieno José Maria Gutiérrez: «È un bravo ragazzo, ha un gran cuore ed è un madridista al 100%», diceva di Guti, che sembrava il classico profeta in patria, pennellava tele con la sua bacchetta mancina ed è stato primattore della 28esima Liga per la Casa Blanca. Da lì, però, Guti non coglie l’attimo, altro che carpe diem, era come se la luce che emanava fino a prima in campo si fosse tristemente spenta.

Il patron dei Blancos Florentino Pérez aveva un unico grande desiderio: plasmare i Galacticos, una formazione perseguita acquisendo i migliori giocatori sul globo spendendo una quantità illimitata di denaro. Al Santiago Bernabéu arriva Ronaldo il Fenomeno, Raùl comincia a destituire Hierro dalla carica di simbolo del Real Madrid, Morientes esce dai box e rivuole la maglia da titolare. Guti non troverà più spazio sul fronte offensivo, e nemmeno da jefe del centrocampo, in quanto Pérez foraggia di quattrini le casse del Real Madrid e fa sbarcare a Chamartín nientemeno che Zidane e Beckham.

Il biondo di Madrid ora è un gregario dei Galattici, nonostante siano sempre diverse le sue apparizioni nella mediana dei Blancos. Guti è però litigioso e ondeggiante, viene beccato dalla stampa per il suo look “effeminato”, e risente soprattutto psicologicamente dell’agglomerato di stelle che lo affianca in spogliatoio.

Il Real dal 2003 al 2006 non si impossesserà di alcun trofeo, la saga di del Bosque è un ricordo sbiadito e lontano. In panchina si alternano mister che non sanno tenere il pugno duro con campioni super affermati che aveva in dote il Madrid, finché nell’estate del 2006 si accomoda alla guida del top team Fabio Capello. Con Don Fabio i Blancos risorgono, ottengono a dispetto del Barcellona la Liga del 2007 in un finale di stagione thrilling, con il mister italiano che aveva consegnato a Guti le chiavi della fuoriserie del Chamartín. Ringalluzzito dalla fiducia del nuovo allenatore, il numero 14 del Real è uno dei pilastri su cui si reggono le fondamenta della costruzione della squadra. Getta lacrime e sudore, abbina a cuore e polmoni l’eleganza magistrale e la tecnica che ha in dote.

Ma sarà definitivamente nella stagione 2007/2008 che Guti irradierà il Bernabéu delle sue giocate terse. Con Schuster a dirigere le operazioni dalla torre di controllo, José Maria Gutiérrez dispensa 15 assist nella Liga, bissando la vincita del campionato a livello di squadra e a livello individuale disciplinando alla perfezione la bussola delle Merengues.

Le tantissime reti dei vari Robben, Robinho, van Nistelrooij, hanno l’anima del gol che porta la firma di Guti. È una sorta di monarca della branca dei passaggi, con la corona a simboleggiare un radar, lo strumento periferico tramite cui il biondo madrileno poteva vedere dove si trovavano i compagni pronti a segnare.



Con tutta probabilità il 2008 è anche l’anno del canto del cigno per Guti su palcoscenici di livello planetario, difatti permarrà a Madrid per altre due annate senza lasciare forti impronte, per poi trasferirsi in Turchia alla soglia delle 34 candeline da spegnere. Indosserà la divisa sociale del Beşiktaş fino al 2012, in tempo per vincere la Coppa di Turchia del 2011.

A poco più di 35 anni appende gli scarpini al chiodo e intraprende fin da subito la strada dell’allenatore, partendo ovviamente da casa sua, Madrid, dove ha allenato le giovanili. Consci della lungimiranza tecnico-tattica che possedeva Guti sui prati di tutta Europa, siamo certi che l’ex numero 14 del Real ha tutte le carte in regola per intraprendere una buona carriera anche in panchina.

Alcuni soloni della critica calcistica potranno definire Guti come un talento mai pienamente sbocciato, appellandosi anche ai numeri registrati da José Maria Gutiérrez con la Roja. A tal proposito, il canterano del Real Madrid ha disputato in totale 13 gare per la nazionale spagnola, non partecipando mai a Europei o Mondiali, soppiantato da altri “volanti” della mediana importanti come Marcos Senna o Xavi, ma anche da alcuni oggetti del mistero del calibro di de la Red. Tuttavia, bisogna ricordare che nella Spagna “dorata” del quadriennio 2008-2012 era pressoché impossibile spodestare Xavi, Xabi Alonso e Iniesta, mostri sacri del ruolo. Forse è vero, Guti ha vissuto di opposti: bravo a cantare con la palla incollata sul piede sinistro, quanto incapace di ergersi a top player della sua epoca.

La nostra verità scolpita nella pietra, è che risulta difficile non innamorarsi del visionario di nome José Maria Gutiérrez Hernández, uno in grado di fabbricare gioielli abbacinanti di questo spessore.

Il celeberrimo assist di tacco di Guti. Un capolavoro degno della Gioconda di Da Vinci.

Guti ha fatto il suo ingresso a Valdebebas da bambino, a 9 anni, e ha lasciato la barca delle Merengues a 34 primavere, dimostrando una fede incondizionata verso la camiseta blanca. Non sarà ricordato come una leggenda del Real Madrid, ma più come un incantevole poeta del pallone a cui è mancata la forza, soprattutto mentale, per apporre il suo timbro definitivo al passaporto “fuoriclasse”.

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