Parejo

Dani Parejo, dipingere senza vedere

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«La pittura è una professione da cieco: uno non dipinge ciò che vede, ma ciò che sente, ciò che dice a sé stesso riguardo a ciò che ha visto», con questa frase, Pablo Picasso, geniale artista del Ventesimo secolo, ha forse dato il ritratto ideale di un calciatore spagnolo di nome Daniel Parejo Muňoz, per tutti Dani, il regista pittore di calcio.



Dani Parejo nasce a Coslada, un comune spagnolo di circa 90.000 abitanti della città di Madrid, il 16 aprile 1989. Sin da piccolo ama dare calci al pallone, per questo motivo la famiglia lo manda alla scuola calcio del Coslada prima, e dell’Espinilla poi, due squadre della periferia di Madrid. Dani ha tanto talento e spicca sopra il resto dei suoi coetanei, a 14 anni tenta la strada delle giovanili del Real Madrid, sperando che la classe cristallina che lo contraddistingue possa sbocciare definitivamente, ha geometrie di gioco e tecnica sopraffina, che gli permettono di conquistare gli scout delle merengues, che decidono di acquistare il suo cartellino.

Nel 2006, a 17 anni, Parejo dalle giovanili dei blancos viene promosso nel Real Castilla, la seconda squadra del Real. In due annate colleziona 37 presenze e 11 reti nella squadra madrilena, ma lo staff tecnico delle merengues è convinto che Dani non sia ancora pronto al grande salto e nel 2008 viene mandato in Inghilterra, al Queens Park Rangers.

Parejo, però, non è adatto ad una squadra come il QPR: le sue visioni di campo, il suo saper impostare la manovra come pochi e i suoi lanci prelibati valgono più di una squadra che lotta nella Championship inglese. La pensava in questo modo anche Alfredo Di Stéfano, non proprio uno qualunque per la storia del calcio e del Real Madrid, che vuole riportare Parejo nella capitale spagnola, dato che è uno dei suoi più grandi estimatori. Don Alfredo riesce a convincere i blancos a dare una possibilità al giovane amministratore del centrocampo, e Dani nel 2009 totalizza cinque presenze, subentrando dalla panchina, in camiseta blanca.

Pare essere l’inizio di una carriera promettente: ha 20 anni, è nel giro del Real Madrid ed è uno dei prospetti più brillanti del panorama europeo, in un ruolo, quello del pivote davanti alla difesa, in via d’estinzione. Ma proprio all’alba di una brillante ascesa verso il calcio che conta, la dirigenza del Real non è più convinta di trattenere Parejo, che viene ceduto al Getafe per 3 milioni di euro, con i blancos che avevano mantenuto un diritto di recompra.

A Getafe, nella periferia sud della sua Madrid, Dani gioca con maggiore continuità nella Liga e mostra tutto il bagaglio tecnico di cui dispone. Disputa due annate su buonissimi livelli, realizzando 11 gol e 11 assist in 80 presenze. Le buone prestazioni con gli azulones gli fanno anche conquistare la chiamata per l’Europeo Under-21, che la Spagna conquista grazie soprattutto ad un reparto di centrocampo clamoroso formato da Dani Parejo, Javi Martínez, Juan Mata, Ander Herrera e Thiago Alcántara.



Durante la sessione estiva di calciomercato Parejo manifesta la sua volontà di unirsi al Valencia, un club di grande tradizione e prestigio in Spagna. Circolavano anche molte voci di un suo ritorno al Real che era allenato da Mourinho, ma il Madrid non esercita alcuna opzione di acquisto e alla fine Dani passa al Valencia proprio come desiderava, in una delle piazze più altolocate della penisola iberica e in uno stadio storico come il Mestalla. Costo del cartellino: 6 milioni di euro e la cessione al Getafe del portiere Moyà.

Il primo anno al Valencia non fu facile per Parejo, qualche problema di ambientamento iniziale e il tecnico Mauricio Pellegrino che non lo riteneva indispensabile, ma nella stagione successiva arriva quella che può definirsi la svolta per Dani: Ernesto Valverde, tecnico che conosce la Liga spagnola meglio delle sue tasche, si rende conto che Dani deve essere la bussola e il metronomo della squadra, perché Parejo non sbaglia mai un tocco e perché sa quando la squadra deve aumentare o abbassare il ritmo, e il Txingurri gli lascia le chiavi del centrocampo valenciano. Parejo si impone come uno dei migliori vertici bassi di centrocampo spagnoli e diventa un riferimento per i Taronja.

Tocchi di prima palla a terra, cambi di gioco e visione periferica. Dani ha veramente la bacchetta magica al posto dei piedi, e nonostante non sia dotato di gran velocità e dinamismo, fa correre la palla sul campo e non è nemmeno un cattivo interditore. Il suo contributo non si limita però a questo, perché anche in fase realizzativa è sempre uno dei migliori: in cinque stagioni realizza 29 reti e 28 assist, numeri tutt’altro che normali per uno che gioca più spesso davanti alla difesa propria che quella avversaria. Parejo diventa capitano del Valencia e idolo di tutta la tifoseria, che lo ama follemente, ma come in ogni storia d’amore, ci sono anche momenti burrascosi, e Dani tutto d’un tratto passa da beniamino indiscusso a principale capro espiatorio del brutto periodo del Valencia nell’inizio della stagione 2016/2017, quando sulla panchina del Mestalla è seduto l’italiano Cesare Prandelli.

Il tutto è ricondotto a un episodio che ha coinvolto direttamente Parejo: i pipistrelli sono invischiati nella zona calda della classifica al terz’ultimo posto, e ad appesantire l’ambiente è un video che riguardava il capitano del Valencia – che aveva realizzato fin lì 3 gol e 5 assist – ritratto durante una serata all’interno di una discoteca, in uno stato non proprio lucido, insieme a un ragazzo che insulta Prandelli. L’ex CT dell’Italia non manda giù la cosa e mette Parejo fuori rosa per alcune settimane, nemmeno i tifosi lo perdonano e chiedono la cessione di uno dei simboli del Valencia.

Parejo, però, non ci sta, resta al Mestalla e l’estate seguente avviene la seconda rivoluzione calcistica del diez valenciano. In panchina c’è Marcelino, che come Valverde è un allenatore duro, che fa dell’etica del lavoro uno dei suoi punti forti e Parejo riesce a riconquistare, tramite qualità e impegno, la fiducia di tutto l’ambiente, anche quella dei tifosi che gli avevano voltato le spalle.

Marcelino gli restituisce la fascia, Dani ha capito gli errori commessi e forse sbagliare gli è anche servito, perché con il tecnico di Villaviciosa avviene la sua completa maturazione, calcistica e non solo: è il fulcro di tutto il gioco del Valencia, il regista tuttofare, oltre che il rigorista e lo specialista delle punizioni della squadra. Parejo gestisce ogni pallone passi per la mediana dei Murcielagos ed è in grado sia di congelare il gioco, che trovare la giocata verticale per i movimenti degli esterni e delle punte.

Nell’annata successiva, Parejo sale ancor di più in cattedra e dalla sua torre di controllo della mediana prende in mano il Valencia e lo conduce verso vette inaspettate. In quella stagione disputa 36 gare in campionato, totalizzando 9 gol e disegnando 7 assist decisivi tramite il suo radar a 360 gradi. Usciti dal girone della Champions per mano di Juventus e Manchester United, i valenciani navigano ad alte quote in Europa League, tanto da essere eliminati solamente in semifinale dall’Arsenal di Unai Emery.

Se ad aprile l’atmosfera che si respira al Mestalla è quella dell’amarezza a causa delle peripezie europee, un mese più tardi quel forte rammarico si metamorfizza in felicità allo stato puro: la banda di Marcelino, oltre ad un gran campionato – il Valencia giunse ancora quarto e staccò il pass per la Champions League – e un cammino europeo interrotto sul più bello, andava spedita in Copa del Rey. Superato con una partita al cardiopalma il Getafe ai quarti di finale e il Betis in semifinale, per il Valencia l’ultimo ostacolo da abbattere per concludere la scalata alla coppa nazionale aveva l’apparenza di un titano: il Barcellona di Leo Messi.

Il 25 maggio, nella finalissima disputata nel sublime teatro del Benito Villamarín di Siviglia, Parejo e i suoi soci inscenano il delitto perfetto. Ammazzano calcisticamente parlando i blaugrana tramite il vantaggio di Gameiro e il raddoppio di Rodrigo. Dani in mezzo al campo è un gigante, dispensa geometrie di gioco e aiuta immensamente il reparto difensivo. Per infortunio è costretto ad uscire al 65’, ma il resto della squadra getta il cuore oltre all’ostacolo e nonostante l’1-2 di Messi, il Valencia riusce a portare a casa un successo storico. I blanquinegros, a digiuno di titoli dalla Coppa di Spagna ottenuta nel 2008, tornano a posare in bacheca un trofeo prestigioso, che per Parejo rappresenta l’apice della sua carriera.




Era tutto così bello al Mestalla per capitan Parejo, ma la pandemia da Covid-19 e le conseguenze che ha portato nella vita di tutti e di riflesso anche nel fútbol ha provocato uno squarcio nella carriera professionale di Dani. Il Valencia, già implicato in enormi problemi finanziari, ha dovuto svendere buona parte di quella fantastica rosa per provare a risanare i suoi conti. Ciò ha significato l’abbandono di vari elementi della squadra, tra cui quello dello stesso Parejo, che dopo nove anni e 383 gettoni ha dovuto lasciare i blanquinegros, contro la sua volontà.

Parejo ha dovuto lasciare la squadra di cui era il capitano, la maglia che era ormai diventata la sua seconda pelle. Avrebbe voluto concludere la carriera al Mestalla, ma il suo lungo sogno si è bruscamente fermato e nell’agosto del 2020 ha iniziato a scrivere un nuovo capitolo, approdando al Villarreal, sull’altro versante del fronte valenciano.

Gli è bastato poco per ingraziarsi Emery, ci ha pensato infatti la classe cristallina di Parejo a permettergli di diventare fin da subito un titolare inamovibile e a prendere in mano il centrocampo della squadra. Chiaramente il destino, che quando può ferisce sempre, ci ha messo lo zampino: Parejo non poteva che segnare il suo primo gol con la sua nuova camiseta nel Derbi de la Comunitat, contro il suo Valencia, con uno splendido tiro da fuori.

Nel momento in cui scriviamo il Villarreal sta conducendo un campionato discreto, con la possibilità di conquistarsi un posto nella prossima Europa League. Quella in corso invece, di Europa League, li vede protagonisti di un percorso entusiasmante, durante il quale hanno prima vinto con distacco il proprio girone, e poi eliminato in successione Salisburgo ai sedicesimi, Dinamo Kiev agli ottavi e Dinamo Zagabria ai quarti, con l’Arsenal che li attende in semifinale. Unai Emery, che di Europa League se ne intende, è intenzionato a portare la sua squadra in finale, con la possibilità per altro di rimandare a casa la sua ex squadra, e il passaggio del turno non può che passare dai piedi di Parejo, autentico timoniere della manovra degli spagnoli, pronto a dipingere ancora pennellate di fútbol proprio come spiegava Picasso, senza vedere, ma solamente sentendo ciò che vede in campo.

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