Darmian

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Al momento del suo approdo all’Inter, in molti tifosi nerazzurri hanno accolto l’acquisto di Matteo Darmian con qualche mugugno. Le lamentele erano sorte per molteplici motivi, tra una carta d’identità non più verdissima – quasi 31 anni al momento della firma –, un periodo di netta flessione della sua carriera – era passato dal Manchester United al Parma – e la sua reputazione di giocatore “normale”, con poca flessibilità e con pochissima capacità di incidere. Critiche forse troppo ingenerose per quella che sembrava essere soltanto un’intelligente operazione di ripiego per far respirare Achraf Hakimi tra una partita e l’altra, dopo il flop di Valentino Lazaro, che non aveva mai convinto Antonio Conte fino in fondo.

Questo non ha però impedito al numero 36 nerazzurro di crearsi dello spazio come pedina essenziale per lo Scudetto dell’Inter, dando al mister leccese un’alternativa tattica importante e segnando addirittura quattro gol stagionali, di cui tre decisivi – uno in Champions League contro il Borussia Mönchengladbach, gli altri in due vittorie a San Siro per 1-0, contro Cagliari e Verona.




Con l’addio di Conte e l’arrivo sulla panchina della Beneamata di Simone Inzaghi, complice anche l’annata non brillantissima di Denzel Dumfries, l’esterno italiano si è preso il posto da titolare, e le sue qualità sono saltate fuori in maniera ancor più lampante.

Matteo Darmian è un giocatore fondamentale, non perché è un giocatore che da solo può rovesciare le sorti di una partita, ma perché senza di lui la squadra fatica a trovare equilibrio. Negli anni interisti, infatti, la sua evoluzione da terzino a quinto di centrocampo è stata perfezionata, e Darmian si ritrova oggi ad essere un giocatore completo e adattabile, non solamente a livello di formazione schierata, ma anche per quanto concerne l’interpretazione della stessa posizione in campo in due partite differenti.

Una partita da esaminare per esemplificare questo concetto è sicuramente Inter-Napoli, giocatasi a San Siro in questo gennaio e vinta dai padroni di casa per 1-0, sancendo la primissima sconfitta in Serie A della squadra dell’ex Luciano Spalletti. Uno dei duelli chiave del match, passato forse un po’ sotto silenzio, è stato quello che ha visto contrapporsi proprio Darmian e Khvicha Kvaratskhelia. Il georgiano, incontenibile sorpresa di questo campionato e trascinatore assoluto dei partenopei, è stato un cliente sicuramente scomodo per l’esterno nerazzurro, che ciononostante ha retto bene il confronto concedendogli spazio una volta soltanto e sacrificando buona parte della sua fase offensiva per rimanergli addosso, rendendolo praticamente inerme.

E il lavoro difensivo non è certo una novità per il classe 1989, nato calcisticamente come terzino. Un dato che non stupisce più di tanto, ma che rimane impressionante, è lo scarto tra palloni persi e palloni recuperati: Darmian ha perso il contatto con la sfera soltanto 6 volte, a fronte delle 55 in cui l’ha riconquistata in questa stagione – secondo i dati forniti dalla Serie A. Ad ulteriore dimostrazione di quanto l’esterno faccia della lucidità e dell’attenzione due delle sue qualità principali.

Un altro dato importante è quello relativo alla sua precisione di passaggio, che si aggira attorno all’84%, una percentuale decisamente sopra la media per un quinto di centrocampo abituato anche a spingere a sostegno della squadra.

E del resto Darmian non è soltanto un terzino. Durante l’evoluzione contiana che l’ha visto diventare un affidabile pendolino, infatti, è riuscito ad affinare anche le sue abilità offensive, specialmente la scelta di tempo negli inserimenti e la qualità della sovrapposizione. Lo ha ben evidenziato la gara d’andata degli ottavi di finale di Champions League contro il Porto, durante la quale, soprattutto nella fase iniziale del primo tempo, si è presentato spesso largo a destra oltre la trequarti avversaria, supportando le scorribande di Barella e fornendogli spesso un appoggio sicuro, oltre ad alimentare l’azione offensiva e a cercare in qualche occasione il cross. Quest’ultimo rappresenta ovviamente uno di quei fondamentali su cui Darmian deve ancora migliorare, ma la forza di questo giocatore non è particolarmente sbilanciata verso un predominio tecnico o fisico.

Ciononostante, Darmian ha prodotto in questa stagione, tra Serie A, Coppa Italia e Supercoppa, 13 passaggi chiave, 15 occasioni da gol e 18 cross utili. Uno score niente male se si considera la sua dedizione in fase di copertura, che spesso lo porta lontano dallo sviluppo della manovra offensiva nerazzurra. Questo ovviamente non significa che si tratta di un giocatore votato in modo deciso all’attacco, non avendo né il ritmo né la progressione di Dumfries. Dove però quest’anno l’olandese è stato spesso caotico, poco reattivo e poco intelligente a livello calcistico nelle scelte, Darmian si è sempre fatto trovare pronto con una professionalità che diventa garanzia. Quando gioca qualcuno di cui ti puoi fidare, tutta la squadra ne risente in maniera positiva.

Ne è un esempio lampante la rete decisiva messa a segno nella gara di Coppa Italia contro l’Atalanta. Darmian prende palla al limite della sua metà campo, procede deciso in percussione centrale e trova Lukaku con un bel pallone tra la difesa bergamasca, prima di lanciarsi in avanti per creare superiorità numerica, dal momento che nessun giocatore avversario l’ha seguito. L’inerzia dell’azione sembra esaurirsi, ma il nerazzurro – in quella gara schierato da braccetto della difesa a tre – rimane in modo stazionario al limite dell’area di rigore atalantina, finché, sfruttando la sponda intelligente di Lautaro, non riesce a colpire a rete con il piede debole, battendo Musso.

Un fatto interessante è che nessuno dei suoi compagni gli chieda palla in percussione, nemmeno Nicolò Barella, in posizione più favorevole e senza dubbio più dotato tecnicamente, spesso protagonista di richieste molto plateali per ricevere la sfera. Questo perché la squadra si fida della scelta di Darmian, che in questo caso è quella più difficile – un pallone tra le linee è sicuramente più complesso di un appoggio – ma anche quella più intelligente.

Un’affidabilità e una consapevolezza che non svanisce, ma anzi aumenta in modo quasi esponenziale nei momenti di maggior pressione. Tornando alla Champions League, nel match di ritorno ad Oporto, Darmian, giocando con il peso di un’ammonizione – anch’essa clamorosamente lucida – fin dalla mezz’ora di gioco, non si è lasciato condizionare. Pur affaticato e messo costantemente sotto sforzo dai brevilinei esterni portoghesi, non ha mai lasciato intentata nessuna giocata che potesse limitare la manovra offensiva dei Dragões, con un gran lavoro difensivo su un Galeno decisamente più in forma rispetto alla fantasmatica presenza dell’andata. Senza rischiare mai nulla, il 36 nerazzurro gli ha chiuso tutti gli spazi, gestendo la sua gamba al meglio ed esibendosi anche in una serie di chiusure eleganti e pulite che a San Siro – ne siamo sicuri – avrebbero provocato diversi scrosci di applausi convinti.

Insomma, la capacità di Darmian di materializzarsi con la giocata giusta nella zona di campo giusta, esaltata nella narrazione del giocatore comune che si ritaglia lo spazio da titolare in una squadra ben al di sopra delle sue capacità, banale e comune non lo è per niente. Chiunque abbia un minimo di occhio calcistico lo sa bene: Matteo non è un giocatore comune, e le sue qualità mentali hanno lo stesso valore delle qualità fisiche o tecniche di grandi giocatori. La considerazione mediatica su di lui è sempre molto bassa, ma questo non gli impedisce di continuare ad effondere senza sosta un’aura di sicurezza e determinazione che è quasi contagiosa.

Qui sta tutto Matteo Darmian. Sicuramente non il giocatore migliore, sicuramente non il più forte o il più dotato tecnicamente del campionato italiano – o anche solo dell’Inter –, ma altrettanto sicuramente un giocatore sveglio, che fa poche sbavature, che è utile in fase di possesso e di non possesso e, soprattutto, che tende ad essere sempre dove deve. Un leader silenzioso che è riuscito a ritagliarsi il suo spazio da titolare in una squadra complicata, ma che ormai sa di poter sempre contare sulla sua affidabilità e sulla sua costanza, cime a cui aggrapparsi in un mondo calcistico che sta diventando sempre più incerto e mutevole nei suoi interpreti.

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