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Calcio e fascismo, storia dei primi due Mondiali vinti dall’Italia

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La storia dei primi due successi mondiali dell’Italia, arrivati nel 1934 e 1938, non sono soltanto delle storie di calcio. Con l’avvento dei totalitarismi in Europa, infatti, dittatori come Benito Mussolini, Adolf Hitler e Francisco Franco trasformarono questo sport in un campo di battaglia ideologico, nella prima metà del XX secolo.


I primi due Mondiali vinti dall’Italia – La propaganda fascista nel calcio

Il legame tra calcio e fascismo si instaura, per la prima volta nel corso della storia, nel 1925, appena tre anni dopo la salita al potere della prima dittatura in Europa. Gli italiani, forgiati da Benito Mussolini, dovevano essere vigorosi sia nello spirito che nel corpo, e dovevano portare in alto il fregio del Littorio in ogni campo della vita. Mussolini era il «primo sportivo d’Italia» e le sue gesta erano spesso elogiate dalla stampa nostrana. Il Duce era narrato come uno sportivo completo, abituato ad ogni tipo di sforzo atletico, tanto da dedicare per ciascuno sport un giorno della settimana: il lunedì alla marcia, il martedì al nuoto, il mercoledì ai motori, il giovedì al salto degli ostacoli sul dorso del cavallo, il venerdì al volo e alla motonautica, il sabato alla scherma, e la domenica agli esercizi fisici più vari.

Appare chiaro che il Duce non amasse il calcio, gli preferiva tra gli altri anche il pugilato e la lotta greco-romana, e, consigliato da Agostino Turati, aveva tentato di frenare in maniera definitiva la crescita popolare di questo gioco inglese promuovendo la volata, un nuovo sport nazionale che combinava lo stesso calcio con il rugby, la pallamano e il basket. Da buon giornalista, però, Mussolini aveva capito perfettamente che poteva sfruttare il calcio per assicurarsi il consenso. Il fascismo intuì il ruolo che questo gioco poteva avere nelle dinamiche della propaganda. Negli stadi diventa infatti possibile mostrare l’unità e la forza di una nazione, e il calcio diventa così un soft power.

Con il passare del tempo il football continuò a guadagnare i favori del popolo grazie alla fervida attività di uomini come Leandro Arpinati – presidente della FIGC tra il 1926 e il 1933 –, Giorgio Vaccaro, Giovanni Mauro e Ottorino Barassi. La loro alacre attività, sul finire degli anni Venti, portò alla costruzione di numerosi stadi nelle principali città italiane, alla fondazione della Serie A a girone unico e della Serie B, e al primo successo degli Azzurri nella Coppa Internazionale – antenata degli Europei – del 1929.

Inoltre anche l’Italia, come altri paesi europei e sudamericani, stava abbandonando il dilettantismo. La firma della Carta di Viareggio – il documento che organizzava il mondo del calcio italiano a livello nazionale – nel 1926, apriva infatti le porte al professionismo: gli onori della cronaca erano ora per star come Giuseppe Meazza e Angelo Schiavio. Il documento sanciva anche la chiusura delle frontiere per i calciatori stranieri, chiaro diktat voluto dal Partito Nazionale Fascista, dal 1928. Obiettivo del provvedimento era quello di colpire quelle squadre che arruolavano tra le proprio fila giocatori ungheresi e austriaci, esponenti della nota Scuola calcistica danubiana.

L’organizzazione dei Mondiali fu assegnata all’Italia nel 1932, in occasione del congresso FIFA a Stoccolma. Proprio la Svezia aveva appena ritirato la sua candidatura a causa delle evidenti difficoltà economiche e sociali che attanagliavano il Paese scandinavo, mentre l’Italia offriva delle importanti garanzie non solo a livello economico, ma anche e soprattutto politico. L’assegnazione dell’organizzazione della Coppa del Mondo arrivava alla fine di un decennio che aveva visto il fascismo mettere al centro della propria propaganda il calcio, dando una spinta decisiva allo sviluppo del pallone nella penisola.

L’organizzazione della competizione fu interamente appaltata alla FIGC, riorganizzata da poco proprio tramite la Carta di Viareggio, in collaborazione con il CONI. Gli uomini chiave del Duce erano proprio Vaccaro, Mauro, Barassi e Starace, quest’ultimo anche segretario del Partito Nazionale Fascista.

Jules Rimet, presidente francese della FIFA, aveva espressamente richiesto un torneo itinerante, al contrario di quanto avvenuto nell’edizione 1930 in Uruguay, e di conseguenza fu prevista la costruzione di nuovi, innovativi, stadi. Le città scelte furono Roma, Napoli, Torino, Milano, Trieste, Bologna, Firenze e Genova. Ma gli stadi non furono l’unica novità, venne infatti riorganizzato l’intero sistema dei trasporti e venne istituito un ufficio stampa guidato dal Partito, che si occupava di rilasciare comunicati a livello internazionale in merito all’avanzamento dei lavori. Furono inoltre stampati ben trentadue francobolli commemorativi e fu forgiata l’imponente Coppa del Duce. Fu proprio Mussolini in prima persona ad affidare allo scultore Giuseppe Graziosi la realizzazione di una coppa di quasi ottanta chilogrammi da donare alla squadra vincitrice della competizione. Sul trofeo sono rappresentati quattro calciatori e un fascio littorio, simbolo del regime.


I primi due Mondiali vinti dall’Italia – La Coppa Rimet si gioca in casa

Un’altra differenza con la prima edizione dei Mondiali fu l’introduzione delle eliminatorie, poiché la FIFA ricevette trentadue richieste di partecipazione a fronte dei soli sedici posti messi a disposizione. Anche l’Italia, padrone di casa, dovette partecipare alle qualificazioni: gli Azzurri di Vittorio Pozzo si sbarazzarono facilmente della Grecia per 4-0 guidati dalla doppietta di Giuseppe Meazza. Il Sud America qualificava Argentina e Brasile, mentre l’Uruguay campione del mondo aveva rifiutato la partecipazione per “vendetta” nei confronti delle assenze europee a Montevideo nel 1930. La pattuglia europea vedeva poi la presenza di Svizzera, Germania, Spagna, Francia, Cecoslovacchia, Ungheria, Austria, Romania, Olanda e Belgio. L’America del Nord portava gli Stati Uniti, e faceva la sua prima comparsa il continente africano, rappresentato dall’Egitto. Rimanevano assenti le squadre britanniche, ancora chiuse nel loro dorato isolazionismo.

Favorite della kermesse erano la Grande Austria di Heisl, che poteva contare sulla classe di Matthias Sindelar, e i padroni di casa, che facevano affidamento sul blocco bianconero della Juventus del Quinquennio d’oro. Le squadre sudamericane si presentavano invece mutilate, dal momento che i giocatori più importanti avevano deciso di rimanere in patria per portare a termine i campionati nazionali.

A dare il via al torneo è il sorteggio della fase finale effettuato nel salone d’onore dell’Hotel degli Ambasciatori di Via Veneto a Roma, il 3 maggio del 1934. Si definivano così gli ottavi, prima fase da superare per arrivare alla finale di Roma del 10 giugno – la competizione non prevedeva infatti i gironi, reintrodotti nel 1950.

Nelle gare del 27 maggio, tutte giocate in contemporanea alle 16:30, le grandi favorite superarono agevolmente il turno. A Roma l’Italia travolse gli esordienti Stati Uniti con un perentorio 7-1 con Schiavio e Orsi mattatori della gara, a Trieste la Cecoslovacchia rimontò la Romania, mentre a Firenze la Germania passeggiava sul Belgio e a Torino l’Austria ebbe ragione della Francia solo ai tempi supplementari. Sorprendenti furono invece i KO di Brasile, Argentina e Olanda: a Genova ai brasiliani non basta la rete di Leônidas per rimontare la Spagna, a Milano la Svizzera supera gli olandesi, mentre gli svedesi Jonasson e Kronn mandano l’Argentina al tappeto a Bologna. Nell’ultimo ottavo, di scena a Napoli, gli ungheresi si sbarazzano dell’Egitto con quattro reti.

Nei quarti di finale a catturare l’attenzione è la classica danubiana tra Austria e Ungheria, sul terreno del Littoriale di Bologna. Horvath e Zischek regalano ai biancorossi il passaggio del turno. A San Siro la Germania supera la Svezia grazie alla doppietta di Hohmann e a Torino la Cecoslovacchia del superbo Nejedlý elimina la sorpresa Svizzera. Gli occhi della stampa sono però tutti rivolti sul Berta di Firenze, dove i padroni di casa attendono la Nazionale spagnola. Gli Azzurri ebbero ragione della Spagna solo nel replay del quarto di finale, dopo che la prima gara, in programma il 31 maggio, era terminata in parità. Gli spagnoli, stravolti nella rosa e privi della star Zamora, cederanno al gol di Meazza. Entrambe le sfide saranno accompagnate dalle proteste degli spagnoli per gli arbitraggi del belga Baert e dello svizzero Mercet. In particolare gli iberici recriminavano un fallo su Zamora in occasione del gol del pareggio nella prima gara. Le molteplici lamentele portarono il Guerin Sportivo a titolare: «Gli spagnoli protestano per il goal, protestano per il gioco duro, protestano per il tempo nuvoloso».



Le semifinali di Milano e Roma opponevano l’Italia contro l’Austria e la Cecoslovacchia contro la Germania. Secondo diverse ricostruzioni, la sera prima della semifinale Benito Mussolini avrebbe invitato a cena l’arbitro svedese Ivan Eklind con l’obiettivo di indirizzare la sfida verso i suoi Azzurri. Ai ragazzi di Pozzo bastò il gol dell’oriundo Enrique Guaita per avere la meglio del temibile Wunderteam. Gli austriaci furono assai critici verso la direzione di gara di Eklind: in più interviste successive sia il tecnico Heisl che il bomber Josef Bican lamenteranno di avere dubbi sull’azione del vantaggio. Dall’altra parte del tabellone, ci pensa ancora Oldřich Nejedlý ad incantare e a regalare il pass per l’atto conclusivo alla Cecoslovacchia.

La finale del Campionato del Mondo è in programma il 10 giugno del 1934 allo Stadio del Partito Nazionale Fascista di Roma, di fronte i padroni di casa dell’Italia e la Cecoslovacchia. Ad arbitrare, c’è ancora il “fidato” svedese Eklind. È questo il primo e unico caso in cui un arbitro dirige una semifinale e la finale dello stesso campionato. A catturare la folla è però la presenza in tribuna di Mussolini, in abito chiaro, accanto ai principi sabaudi e al presidente della FIFA Rimet.

Sembrava tutto pronto per il primo successo azzurro, ma a rompere l’entusiasmo della folla arrivata a Roma, dopo tre quarti di gara giocati in maniera deludente dall’Italia, è però il gol di Antonín Puč, al 71’: i padroni di casa si trovavano ad inseguire. Pozzo decide di invertire le posizioni di Schiavio e Guaita per far saltare le marcature avversarie, fino a quel momento perfette, e questo diede maggiori spazi e libertà agli Azzurri. Dopo dieci minuti di assedio, il tiro dell’oriundo Raimundo Orsi piega la resistenza dei cecoslovacchi. Durante i tempi supplementari, con gli uomini di Pozzo entrati in campo in maniera più convincente, è proprio Schiavio a trovare il gol che regala i primi Mondiali all’Italia, su assist di Peppìn Meazza. L’emozione fu così intensa che il bomber del Bologna cadde a terra svenuto.

I titoli dei giornali celebravano il successo di Pozzo e dei suoi ragazzi, è però soprattutto il successo del Duce e del regime. L’edizione 1934 della Coppa del Mondo segnava infatti una maggiore partecipazione della stampa con oltre trecento giornalisti accreditati nel corso della competizione e il successo delle radiocronache delle partite, raccontate dalla coinvolgente voce di Nicolò Carosio, trasmesse dall’Eiar. E a tutto ciò si aggiungeva l’esplodere del fenomeno del turismo calcistico.

Per la prima volta il calcio prendeva nel cuore degli italiani il posto del tanto amato, ed eroico, ciclismo. I calciatori della squadra azzurra furono premiati con 20.000 lire a testa, anche se al generoso mediano Mario Pizziolo, infortunatosi nella gara contro gli spagnoli, la medaglia della competizione fu riconosciuta solo nel 1988 per volere della FIGC.


I primi due Mondiali vinti dall’Italia – In Francia per difendere la Coppa

Nell’agosto del 1936, nel teatro Kronn di Berlino, durante le Olimpiadi ospitate dalla Germania, si celebrava il XXIII Congresso della FIFA, che doveva assegnare l’organizzazione della terza Coppa del Mondo per nazionali. A sfidarsi erano l’Argentina e la Francia, con i primi favoriti per la tendenza all’alternanza tra paesi europei e sudamericani nell’organizzazione del Mondiale. L’autorità del presidente della federazione Jules Rimet ebbe però la meglio: la Coppa del Mondo sarebbe arrivata di lì a due anni sotto la Tour Eiffel. Gli argentini, delusi dalla mancata assegnazione del torneo, si ritirarono dalla competizione, seguiti a ruota dall’Uruguay.

Per la prima volta nella storia non solo il Paese ospitante era esentato dal percorso di qualificazione, ma anche i campioni in carica dell’Italia avevano già in mano il biglietto per la fase finale del torneo. Le crescenti tensioni di carattere politico e sociale permisero solo a 21 delle 37 squadre iscritte di partecipare alle qualificazioni. Nel continente americano, le due squadre iscritte, Cuba e Brasile, furono ammesse direttamente agli ottavi, mentre in Europa continuava l’assenza delle squadre britanniche, a cui si aggiungevano l’Unione Sovietica e la Spagna, quest’ultima lacerata da una sanguinosa guerra civile. Fanno invece il loro debutto ai Mondiali Polonia e Norvegia. Esordio anche per il continente asiatico, rappresentato dalle Indie orientali olandesi – oggi parte di Indonesia e Malaysia.

Fragorosa era l’assenza del Wunderteam: l’Anschluss – l’annessione del territorio austriaco alla Germania nazista – aveva cancellato l’Austria dalle mappe politiche e calcistiche. L’artistica ed elastica squadra danubiana stava dominando il calcio europeo ed era la favorita per il torneo in programma nel 1938. Di conseguenza, per la Germania era l’occasione per mettere in mostra la più forte Nazionale possibile, grazie all’arruolabilità degli austriaci.

Chi però si rifiutò di far parte della squadra teutonica fu la stella Matthias Sindelar, che disprezzava i tedeschi e il nazionalsocialismo, diventando ben presto il simbolo della resistenza austriaca. Il Mozart del calcio, come era soprannominato, si guadagnerà così le antipatie del Reich, e la mattina del 23 gennaio 1939 venne sospettosamente trovato senza vita nel suo appartamento, assieme alla compagna italiana Camilla Castagnola.

Come da tradizione a dare il via al terzo Campionato del Mondo è il sorteggio: ad ospitare la pesca degli ottavi di finale è il Salone dell’Orologio del Quai d’Orsay, star dell’evento è Yves Rimet, nipote di Jules.

Ad aprire la kermesse, il 4 giugno, è la gara tra Germania e Svizzera al Parco dei Principi di Parigi. Nonostante la presenza dei calciatori austriaci, la Nazionale tedesca non riesce a trovare la giusta amalgama: al triplice fischio è solo 1-1. Nel replay, sempre giocato al Parco dei Principi gremito di francesi anti-Reich, e arbitrata dal noto svedese Eklind, i tedeschi sono rimontati dalla Svizzera dopo il doppio vantaggio e sono eliminati, ancora una volta, dal Mondiale.



Anche i campioni del mondo dell’Italia attirano le ire dei tifosi transalpini: appena attraccati al porto di Marsiglia, gli uomini di Vittorio Pozzo sono accolti dalla contestazione dei francesi, oltre che di una folta parte della comunità di espatriati italiani, fuggiti dallo Stivale proprio a causa del regime fascista. Gli insulti e i fischi contro gli atleti del Duce raggiunsero il loro culmine quando gli italiani salutarono il pubblico con il saluto romano prima del fischio d’inizio dell’ottavo di finale del Vélodrome, contro la Norvegia, del 5 giugno. Al termine di una prestazione grigia, gli Azzurri guadagnano il pass per il quarto di finale grazie ad una rete di Silvio Piola nel recupero. Rivali dell’Italia saranno i francesi, che a Colombes avevano avuto vita facile contro il Belgio.

Negli altri ottavi di finale dominano Ungheria e Cecoslovacchia, rispettivamente contro Indie orientali olandesi e Olanda, la Svezia beneficerà del ritiro dell’Austria, mentre il Brasile ha ragione della debuttante Polonia solo nei tempi supplementari. Sorpresa di questa prima fase è Cuba, alla seconda partecipazione, che nel replay grazie a Socorro e Fernández supera la Romania.

I quarti di finale, come da tradizione, vanno in scena tutti in contemporanea il 12 giugno. Ungheria e Svezia continuano nel loro percorso netto: i magiari si sbarazzano facilmente della Svizzera, gli scandinavi dilagano con le triplette di Keller e Wetterström sulla sorpresa Cuba. L’attenzione dell’opinione pubblica è però sullo stadio Yves du Manoir di Colombes: è qui che si gioca la tanto attesa sfida tra italiani e francesi.

Gli Azzurri, per sottolineare la linea politica del regime, si presentarono con un completo interamente nero – così come avevano fatto durante le Olimpiadi del 1936. A prendersi la scena è l’attaccante della Lazio Silvio Piola, autore di una doppietta che permette all’Italia di conquistare le semifinali per la seconda edizione consecutiva. Il tabellone mette di fronte agli Azzurri il Brasile, che solo dopo un estenuante replay riesce ad avere ragione della Cecoslovacchia dell’indomabile Nejedlý.

Parigi e Marsiglia sono i teatri delle gare che il 16 giugno valgono la finale della terza Coppa del Mondo. Al Parco dei Principi si sfidano le due squadre che non avevano subito nemmeno un gol: Svezia e Ungheria. La doppietta di Gyula Zsengellér, cinque reti nella competizione per lui, lanciano i magiari verso la prima finale mondiale della loro storia.

Gli Azzurri fanno invece ritorno a Marsiglia per affrontare un Brasile privo della sua stella più luminosa, Leônidas, che sarà poi capocannoniere della competizione con sette gol. All’Italia bastano il rigore di Meazza e la prodezza di Colaussi per mettere la parola fine sulle speranze mondiali dei verdeoro – all’epoca in maglia bianca. Vittorio Pozzo conquistava così la sua seconda finale in Coppa del Mondo.

Il 19 giugno del 1938, nell’iconica cornice di Colombes, gli Azzurri, tornati al classico colore sabaudo, sfidavano i maestri della scuola ungherese. La pragmaticità e l’organizzazione dell’undici disegnato da Vittorio Pozzo permisero all’Italia di domare con facilità i tecnici giocatori magiari. Le doppiette di Colaussi e Piola mandano al tappeto gli ungheresi, l’Italia è Campione del Mondo per la seconda edizione consecutiva.

Il presidente della Repubblica francese Lebrun consegnò nelle mani di capitan Meazza, che lo omaggiò con un perentorio e austero saluto romano, la coppa Jules Rimet. Gli Azzurri conquistavano così la loro seconda Coppa del Mondo in quattro anni, ne dovranno poi attendere quarantaquattro prima di sollevare al cielo di Madrid la terza.

Il calcio non era più un semplice sport, ma un vero e proprio strumento di propaganda. Il pallone di cuoio permetteva all’Italia di ritagliarsi sul manto erboso un ruolo di primaria importanza nello scacchiere internazionale. In maniera più generale, la Coppa del Mondo del 1938 raggiunse un enorme successo di pubblico. Cresceva sempre di più quel turismo sportivo che aveva già contraddistinto l’edizione nostrana, e le due settimane di competizione permisero di vedere un ultimo spettacolo di “fratellanza” prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. I colpi del conflitto portarono infatti all’interruzione del torneo: l’edizione del 1942 sarà cancellata, e il pallone tornerà a rotolare solo nel 1950, in Brasile.

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