Real Atlético 2014

Real-Atlético 2014, all’ultimo respiro

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Il 2014 è un anno particolare in Spagna, se parliamo di calcio. Per la prima volta da quasi un decennio, a vincere la Primera División non è un membro della diarchia centralizzatrice Real-Barcellona, è l’anno della revolución colchonera dell’Atlético di Madrid.

In uno scontro diretto dal sapore epico al Camp Nou, l’Atlético non si fa affossare dal Barcellona, diretta inseguitrice in campionato, strappando un pareggio per 1-1 grazie al gol di uno dei suoi totem, Diego Godín, mantenendo la prima posizione in classifica. Quest’ultima giornata di Liga consegna i rojiblancos alla storia assieme al loro allenatore, Diego Pablo Simeone. Una vittoria finale meritatissima, costruita su uno splendido mix di vecchie certezze e grandi scommesse, dal reparto difensivo rodato ed efficiente ad un centrocampo giovane e dinamico, fino ad arrivare ad un attacco che vanta diverse armi letali.



Il percorso verso la finale

La revolución dilaga in Spagna, ma rischia di conquistare anche l’Europa. I colchoneros si impongono da primi in classifica con cinque vittorie ed un pareggio in un girone ostico con Austria Vienna, Porto e Zenit.

Il cammino dell’Atlético prosegue con gli ottavi e la ferrea imposizione sul Milan di Clarence Seedorf, battuto 1-0 a Milano con gol di Diego Costa, e definitivamente sconfitto in uno spettacolare 4-1 al Vicente Calderón – con le reti di Arda Turan, Raúl García e una doppietta ancora di Diego Costa, che apre e chiude le marcature.

Superato in scioltezza l’ostacolo rossonero, gli uomini di Simeone si trovano davanti a quella che sembra un’impresa impossibile: ad aspettarli ai quarti di finale c’è il Barcellona di Messi e Neymar. L’andata al Camp Nou terminerà con un pareggio per 1-1, a segno l’ex Juve Diego Ribas da Cunha con un destro clamoroso e proprio l’undici brasiliano. Al ritorno, davanti ai propri tifosi, Gabi e compagni la spuntano con un risicato 1-0, con un gol immediato di Koke e tanto spirito di sacrificio.

Impressiona infatti la fase difensiva della squadra di Simeone, capace di reggere un’enorme quantità di pressione senza perdere nemmeno un pizzico di concentrazione. Godín e Miranda coprono su tutti e tutto e non sembrano in grado di essere sorpresi da nessuno, nemmeno da funamboli spaziali del calibro di Messi. La stessa situazione si ripete sulle palle alte: i due centrali sudamericani arrivano in anticipo su ogni pallone e diventano clamorosamente pericolosi nell’area di rigore avversaria, al punto che a fine stagione lo score complessivo dei loro gol ammonterà a dieci reti.

In semifinale lo scoglio da superare si chiama Chelsea, un Chelsea che solo due anni prima aveva clamorosamente vinto per la prima volta la competizione sotto la guida di Di Matteo, e che ora, con Mourinho in panchina, era ben deciso a ripetersi. A Madrid il risultato non si schioda dallo 0-0 e tocca alla gara di Stamford Bridge decidere quale delle due contendenti otterrà un posto in finale. Il vantaggio è Blues e lo firma lo storico ex Fernando Torres, ma le reti di Adrián López, Diego Costa e Arda Turan ribaltano la situazione, consegnando la finale agli spagnoli.

Il 24 maggio 2014, a Lisbona, va così in scena la prima finale/derby della storia della Champions: ad arginare la strabordante ondata insurrezionale rappresentata dall’Atlético del Cholo si presenta il Real Madrid di Carlo Ancelotti.

Indiscussi dominatori di un girone completato da Galatasaray, Juventus e Copenaghen, i Galacticos possono vantare una rosa di una qualità eccelsa, che in particolar modo può vantare la presenza di un Cristiano Ronaldo in forma strepitosa, autore di sedici gol nelle dodici partite disputate dal Real in Champions.

Ovviamente i Blancos non puntano solo su Ronaldo: nell’estate precedente Florentino Pérez si è aggiudicato il primo giocatore della storia ad essere pagato più di cento milioni di euro, Gareth Bale, prelevandolo dal Tottenham, e oltre al gallese sono presenti in rosa una serie infinita di campioni.

Il Real è reduce da una fase ad eliminazione diretta molto tedesca: schiantato lo Schalke 04 agli ottavi con un roboante 9-2 complessivo, ha rischiato di subire una rimonta clamorosa contro il Borussia Dortmund ai quarti. Infatti, dopo aver agevolmente vinto la gara di andata per 3-0 – con gol di Bale, Isco e Ronaldo –, ha perso in Germania con una doppietta di Reus, rischiando moltissimo nel finale.

In semifinale però i nove volte campioni d’Europa ritrovano la lucidità. A farne le spese è il Bayern Monaco di Guardiola, che esce dal Bernabéu con una sconfitta di misura per 1-0 firmata Benzema e uno sterile 63% di possesso palla. Il ritorno è pure peggio, perché il Bayern davanti ai propri tifosi si fa impallinare due volte da Ramos e due volte dal solito Ronaldo, per un 4-0 finale che non ammette repliche, ma solo tanti fischi, a cui vanno aggiunte le veementi proteste dovute allo scarso impiego di Thomas Müller, simbolo bavarese.



Questa, dunque, è una quadra generale di quello che precede la battaglia: due squadre di altissimo livello pronte a disputare una finale storica. Con un piccolo handicap in casa cholista, perché la squadra di Simeone deve fare a meno di Arda Turan, uno degli uomini migliori della stagione, per un infortunio maturato nel finale di campionato.

Il tecnico argentino si affida a Thibaut Courtois, altro giocatore definitivamente esploso sotto la sua guida, accompagnato da una linea difensiva di fedelissimi composta da Juanfran, Miranda, Diego Godín e Filipe Luís. A centrocampo si serrano le righe, complice anche l’assenza del fantasista turco, con Tiago – altro flop ex Juve –, Raúl García, Koke e Gabi. Davanti la rivelazione Diego Costa è affiancata dal veterano David Villa.

Il Real risponde all’Atlético mettendo in mostra la squadra che si renderà protagonista di un ciclo di vittorie strepitoso, ed è alla caccia del decimo trionfo della sua storia nella massima competizione europea. In porta la leggenda Iker Casillas, difesa dal talento e dall’esperienza di Raphael Varane e Sergio Ramos. Sulla corsia di destra un appena ventiduenne Dani Carvajal vince il ballottaggio con Arbeloa, mentre a sinistra viene schierato Fabio Coentrão, preferito a Marcelo. Un centrocampo a tre assai offensivo vede protagonisti Sami Khedira, Luka Modrić e Ángel Di María, mentre l’attacco vanta tre stelle di raro splendore, che ogni allenatore vorrebbe avere in squadra: Gareth Bale, Karim Benzema e Cristiano Ronaldo.

Pronti, via, ed è subito tegola Atlético: al nono minuto Diego Costa è costretto ad uscire per un guaio muscolare, esattamente come era successo nella gara decisiva per il campionato, lasciando spazio all’eroe di Stamford Bridge Adrián López.

Il copione lo scrive il Real, i colchoneros si adeguano e difendono, e lo fanno molto bene. Per i primi venticinque minuti i blancos non trovano spazio tra le linee strette degli avversari. Poi, però, Bale ha una nitida occasione: interviene sul passaggio di un distratto Tiago, porta la palla in area e, a due passi da Courtois, spedisce a lato.

Gol sbagliato, gol subito. Detto quantomai veritiero. Al 36’ un calcio d’angolo respinto da Varane finisce sulla testa di Juanfran, che scodella in area un pallone apparentemente semplicissimo da gestire. Accade però il fattaccio: Casillas lascia la sua porta in evidente ritardo e, quando Godín spizza debolmente verso la rete, si fa trovare fuori posizione. Il portiere della Nazionale spagnola si lancia in un disperato tentativo di salvataggio, ma è troppo tardi. La palla ha varcato la linea, e il punteggio è fissato sull’1-0.

Il sogno rivoluzionario prende corpo, la nutritissima rappresentanza di tifosi dell’Atlético ci crede e comincia a cantare. C’è tempo per un altro calcio d’angolo pericoloso con il colpo di testa di Gabi, poi Kuipers manda tutti negli spogliatoi. La guerriglia imposta dal Cholo al gioco pulito e rapido del Real sembra funzionare molto bene.

Il secondo tempo conserva forti tinte bianche per tutta la sua durata. Le prime tre occasioni sono per Cristiano, prima con una punizione deviata che impegna Courtois, poi con una buona occasione sugli sviluppi di un corner, deviata anch’essa in angolo. Infine con un colpo di testa su corner, che sfila debolmente a lato. L’Atlético fa paura al Real con un tiro di López, deviato da Khedira in angolo.

Ancelotti decide di aumentare la qualità in campo e al 57’ sostituisce Coentrão e Khedira con Marcelo e Isco. Ronaldo spizza un pericolosissimo cross di Ramos senza riuscire a indirizzarlo in rete, il neoentrato folletto spagnolo spaventa Courtois con un tiro da fuori. Poco dopo Ronaldo libera Bale al tiro, ma la prepotente conclusione del gallese si spegne sul fondo. L’assalto continua e le occasioni si fanno pian piano sempre più ghiotte: Ronaldo spedisce in orbita una buona sponda di Varane; di nuovo Bale libera la sua fisicità tremenda con trenta metri di scatto, solo per arrivare ad una conclusione imprecisa; Isco cerca la via del gol dopo un aggancio superlativo su servizio di Carvajal, ma viene chiuso dall’onnipresente Godín.

Il Real aggredisce senza sosta. Si entra nei minuti di recupero e a Ronaldo e compagni non resta che aggrapparsi agli episodi. Ramos si spinge in avanti e guadagna un angolo. È il 93’, sul pallone va Modrić. È il momento delle ultime preghiere, di quelle che si avverano di rado in partite così importanti. Il centrocampista croato lancia l’ultimo cross in area con una dolcezza e una precisione fuori dal comune. Il pallone, sospinto da qualche potere superiore, gira quasi al rallentatore. Alla fine, come se fosse il copione di un film, incontra la fronte del capitano madridista Sergio Ramos. Lanciato più in alto dei vessilli rivoluzionari del Cholo, il leader dei blancos si libra nell’aria e colpisce. Un attimo di calcio lungo quanto un respiro, dilatato all’infinito. Prima dell’urlo, prima del movimento della rete. Le trincee sono abbattute, il castello difensivo è espugnato, i torrioni finalmente atterrati. Il Real Madrid ha pareggiato la partita.

La pazza esultanza degli uomini di Ancelotti rispecchia la gioia di chi si salva dall’Inferno all’ultimo secondo, mentre Simeone e i suoi sembrano stanchi e delusi, come chi ha combattuto fino all’ultimo e non ha più forza per continuare a correre.



I supplementari sono lesti ad arrivare. Il primo tempo è brutto, monopolizzato da un lungo possesso palla dei galacticos. Il secondo supplementare procede in questo modo, anche a causa della stanchezza e dei cambi terminati.

Per sbloccare la gara serve un colpo di genio, di uno dei più puri. I giocatori del Real questo lo sanno, quindi la palla finisce spesso tra i piedi di Ángel Di María. È il minuto 110 quando el Fideo riceve palla sulla sinistra. I suoi occhi guizzano veloci, il suo passo accelera mostruosamente. Con un numero evita Juanfran e si invola verso la rete. Il suo tiro, con l’esterno, sbatte su un attento Courtois e la palla si alza. La cosa potrebbe finire lì, ma dall’altro lato della porta c’è un ragazzo gallese che la pensa diversamente: Gareth Bale prende ottimamente il tempo e spicca il volo, impattando con precisione sufficiente a centrare la porta sguarnita, sorpasso blancos.

Gli sforzi dei colchoneros sono pochi e mal gestiti, e al 118’ Marcelo approfitta della stanchezza generale per infilarsi agilmente tra le linee e bucare Courtois, aumentando il vantaggio a due reti. Il colpo di grazia lo infligge Ronaldo, su rigore causato da uno spossato Juanfran, un paio di minuti più tardi.

Björn Kuipers fischia la fine, e tutto è andato come da pronostico. A sedere sul trono d’Europa c’è il Real Madrid, la squadra più forte sulla carta e sicuramente quella più abituata al successo internazionale.

La compagine biancorossa si colloca sul secondo gradino del podio, a causa di un troppo severo 1-4. Non tutte le rivoluzioni vanno a buon fine, dopotutto. Non sempre rimangono trofei. Tuttavia, nel bene o nel male, resta il ricordo di chi ha combattuto e ha dato tutto, senza considerare l’esito, dando sfogo alla diversità, sconvolgendo schemi già scritti, rompendo le righe. Fare la rivoluzione non sempre porta alla vittoria, certo, ma di sicuro getta le basi per un futuro più radioso e alimenta venti di cambiamento. Chiedere al Cholo per credere.

Il boato che riempie lo Stadio da Luz al fischio finale non segna solo il crollo dei coraggiosi eroi che hanno guidato la bandiera cholista quasi fino in cima all’Europa, ma anche il giubilo di chi da tempo desiderava la tanto sospirata Décima. Segna anche e soprattutto l’inizio di un ciclo vincente senza precedenti nella storia del calcio moderno, lungo più di ogni altro e vittorioso in Europa come pochi, guidato da un condottiero che quella notte era presente e che già sedeva sulla panchina del Real, da secondo di Carletto, ma che in quel momento non avrebbe mai potuto immaginare cosa gli riservasse il futuro.

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