«A un passo dalla gloria»: quante volte, narrando di occasioni mancate, si utilizza questa famosa frase? Il Torino, durante la finale di Coppa UEFA della stagione 1991/1992, è andato ancora più vicino al trionfo: non un passo, ma pochi centimetri.
Il Torino e la Coppa UEFA 1991/1992 – Il percorso per arrivare a sognare
La compagine torinese, guidata da Emiliano Mondonico, tornava in Europa dopo un’assenza che durava dal 1987. Quattro anni nei quali i granata hanno conosciuto, nell’ordine, la finale di Coppa Italia nel 1988 – persa contro la Sampdoria –, un’amara retrocessione in Serie B nel 1989, l’immediata risalita nella massima serie nel 1990 e un ottimo quinto posto in Serie A – con annesso ritorno sul palcoscenico continentale – nel 1991. Proprio nella stagione 1990/1991, peraltro, si annovera anche il trionfo in Coppa Mitropa – competizione ormai soppressa alla quale, nelle ultime edizioni, partecipavano le squadre vincitrici dei campionati di secondo livello, nel nostro caso dunque la Serie B –, che spezza un digiuno di allori che durava dai tempi dello storico ed ultimo scudetto del 1975/1976.
Il primo avversario del Torino, nel primo turno di Coppa UEFA, è la compagine dilettantistica islandese del Reykjavik. Il 2-0 dell’andata sull’isola nordica porta le firme dei difensori Roberto Mussi ed Enrico Annoni, mentre la sfida di ritorno in Piemonte si conclude in goleada: 6-1, con i granata avanti con Giorgio Bresciani, raggiunti da Skulasson, ma poi scatenati e a segno con Roberto Policano, Rafael Martín Vázquez, Giuseppe Carillo e Vincenzo Scifo – quest’ultimo con una doppietta.
Archiviata senza troppa fatica la pratica islandese, il Toro è chiamato a un compito difficile già al secondo turno, che lo oppone alla sorpresa Boavista. I portoghesi nella fase precedente hanno clamorosamente eliminato dalla competizione l’Inter detentrice del trofeo, ma i ragazzi di Mondonico sfoderano due prestazioni in vecchio stile granata, superando i lusitani per 2-0 all’andata fra le mura amiche del Delle Alpi, grazie alle reti di Gianluigi Lentini e ancora di Tarzan Annoni, per poi impattare per 0-0 quindici giorni più tardi al vecchio Estádio do Bessa di Oporto, accedendo in tal modo agli ottavi di finale – l’ultimo turno prima della lunga pausa invernale –, dove la sorte assegna loro gli ostici greci dell’AEK Atene.
Il club giallonero, il cui nome è un acronimo significante Unione Sportiva di Costantinopoli – poiché fondato da rifugiati greci fuggiti dall’attuale Istanbul a causa della Guerra greco-turca del 1919-1922 –, è un osso duro, ma gli uomini di capitan Roberto Cravero lo superano con la loro proverbiale grinta. L’andata in terra ellenica termina con un combattutissimo 2-2, con i piemontesi bravi nel recuperare dallo 0-1, grazie ai centri del brasiliano Walter Junior Casagrande – uno dei tre volti principali della vecchia Democracia Corinthiana, con Wladimir e Sócrates – e di Bresciani, salvo poi incassare il pareggio a venti minuti dalla fine. Il pari con goal consente comunque al Torino di affrontare con fiducia la sfida di ritorno in Italia, confronto che i torinisti fanno loro col minimo scarto, un 1-0 griffato ancora da Casagrande, che vale il passaggio ai quarti di finale.
I quarti di finale vedono il Toro pescare bene nei sorteggi, dato che viene opposto agli sconosciuti danesi del BK 1903 Copenaghen, un sodalizio al suo ultimo anno d’attività, poiché destinato alla programmata fusione coi concittadini del KB, per dar vita all’attuale FC Copenaghen. I granata s’impongono sia all’andata in trasferta – 2-0, con centri del sempre più ispirato Casagrande e di Rambo Policano – sia al ritorno in casa – 1-0, dove è decisiva l’autorete di Nielsen –, accedendo alle semifinali, in compagnia dei connazionali del Genoa, degli spagnoli del Real Madrid e degli olandesi dell’Ajax.
La sorte evita lo scontro fratricida con il Grifone ligure, mettendo in scena l’affascinante confronto con le merengues madrilene. Andata in Spagna il primo aprile, ritorno in casa due settimane dopo.
Il Torino e la Coppa UEFA 1991/1992 – Fare la storia contro i padroni dell’Europa
Nella terra della corrida, il Toro non ha affatto intenzione di venir matado, anzi. Dopo una prima frazione conclusasi con un nulla di fatto, un guizzo del solito Casagrande – lesto nell’approfittare di un errore del portiere spagnolo Buyo su un tiro-cross di Roberto Policano – porta avanti i granata, zittendo l’avverso pubblico del Santiago Bernabéu.
La reazione madridista, furiosa, porta all’immediato pareggio del rumeno Gheorghe Hagi e al raddoppio di Fernando Hierro nel giro di cinque minuti. Il Toro rimane anche in dieci uomini a venti giri d’orologio dalla fine per l’espulsione di Policano, ma riesce a resistere eroicamente e mantenere il risultato sul 2-1 a favore degli iberici. La contesa resta dunque apertissima, poiché nella seconda sfida il Torino potrà contare sul calore dei suoi fedelissimi sostenitori della Curva Maratona.
Nella gara di ritorno, infatti, i quasi settantamila tifosi accorsi al Delle Alpi contribuiscono a un’altra grande impresa della compagine torinista, che surclassa il Real. Apre le danze un’autorete di Rocha – che nel tentativo di anticipare Casagrande insacca nella propria porta –, e le chiude il jolly Luca Fusi, per un 2-0 che consente al Vecchio Cuore Granata d’accedere alla prima finale europea della propria storia.
L’avversario dei torinisti nell’ultimo atto della competizione è un’altra nobile del calcio europeo: l’Ajax di Louis van Gaal, che in semifinale ha eliminato il Genoa vincendo 3-2 al Ferraris e pareggiando per 1-1 in casa.
Il Torino e la Coppa UEFA 1991/1992 – Rabbia, delusione e orgoglio granata
Il 29 aprile 1992, la gara d’andata nella città sabauda vede un Torino un po’ ingenuo dover recuperare due volte il vantaggio degli olandesi, chiudendo con un pareggio per 2-2 – frutto di una bella doppietta del sempre più implacabile Casagrande. Le reti dei Lancieri sono, invece, opera del futuro interista Win Jonk – con tiro dalla distanza che sorprende il non incolpevole estremo difensore torinista Luca Marchegiani – e dello svedese Stefan Pettersson – su rigore conquistato da Dennis Bergkamp.
Il pari con reti complica ma non compromette le possibilità dei piemontesi. Per vincere la Coppa, però, è ora necessario imporsi ad Amsterdam, dove nessuna italiana è mai riuscita a vincere fino a quel momento. E lo spirito del Torino è quello giusto fin da subito.
Per nulla intimorito dai tifosi olandesi e da un inizio migliore della squadra di casa, infatti, il Toro le prova tutte, vedendosi tuttavia dire di no dai legni della porta difesa dal comunque bravo – e fortunato – Stanley Menzo. Si comincia nel primo tempo, con un colpo di testa di Casagrande che incoccia sul palo a portiere battuto, e si continua nella ripresa, con un altro palo che respinge un tiro di Mussi e con la clamorosa traversa che dice di no a una bella girata di Sordo – che era entrato pochi minuti prima per sostituire un compagno infortunato.
A tutto questo va aggiunto un possibile calcio di rigore, richiesto dai torinisti e non concesso dal signor Zoran Petrović, per un contrasto in area olandese tra capitan Cravero e Frank de Boer – non c’erano le inquadrature dettagliate che abbiamo oggi, ma la decisione del fischietto jugoslavo sembra corretta. Questo episodio scatena le proteste del tecnico granata Mondonico, il quale esterna il suo disappunto alzando al cielo una delle sedie che nel fatiscente Stadio Olimpico di Amsterdam sostituivano la tradizionale panchina.
Uno sfogo, quello del Mondo, destinato a diventare iconico. Non tanto per la recriminazione verso un possibile errore arbitrale, ma come protesta contro il destino avverso, contro il solito fato granata, che da sempre tormenta i tifosi e i calciatori del Torino. «Esiste solo una società al mondo che possa perdere una finale così», dirà capitan Cravero al termine dei novanti minuti di gioco.
Già, perché il risultato non si schioda dallo 0-0, e in virtù della regola delle reti realizzate in trasferta, la Coppa la vince l’Ajax, per la prima volta nella propria storia. Un Ajax più fortunato ma anche più esperto del Torino, e destinato a conquistare tre anni più tardi anche la Coppa dei Campioni.
Al Toro resta la consapevolezza d’aver dato tutto e di non potersi rimproverare nulla. La fortuna, come spesso è accaduto in passato, non ha baciato i granata, che dopo una cavalcata europea entusiasmante si sono dovuti fermare, mai come allora, a pochi centimetri dalla gloria.
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